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Sgomberi a Calais: esposto al “Défenseur des Droits”

Le associazioni che lottano per la difesa dei diritti umani a Calais fanno appello al DDD e alle Nazioni Unite per denunciare gli sgomberi e i maltrattamenti

Fotografia tratta dal Rapporto 2019 sulla frontiera franco-britannica a cura di Human Rights Observers

A Calais, negli ultimi mesi, le espulsioni di massa sono diventate sempre più frequenti e violente. La situazione sembra essersi aggravata ulteriormente con l’arrivo di Gérald Darmanin al Ministero dell’Interno, nominato il 6 luglio 2020, un personaggio contestato a causa delle recenti accuse di stupro e per le dichiarazioni tipicamente di estrema destra come la richiesta di “mettere fine all’inselvatichimento di una certa parte della società“.

La Cabane Juridique, associazione di difesa dei diritti delle persone migranti, sostenuta dalle altre associazioni sul campo, ha raccolto in un mese quante più prove possibili per denunciare una situazione a dir poco catastrofica e di piena violazione dei diritti umani. Con una settantina di testimonianze, il 14 agosto è stato inviato un esposto al “Défenseur des Droits” (DDD), l’autorità indipendente in ambito amministrativo che garantisce il rispetto dei diritti e delle libertà da parte delle amministrazioni (art. 71-1 della Costituzione francese).

Non solo: tutte le prove e i documenti relativi all’inchiesta sono stati inviati a 7 relatori speciali delle Nazioni Unite, per portare alla luce a livello internazionale le condizioni inumane e degradanti a cui sono costretti i migranti sulle coste del litorale nord francese.

In questo momento, ci sono circa 1.200 persone tra uomini donne e bambini di passaggio a Calais per raggiungere l’Inghilterra. Due grosse espulsioni, il 10 e 30 luglio hanno visto la distruzione dei loro accampamenti di tende, ma anche la riduzione drastica dei servizi sanitari, le distribuzioni di cibo, le forniture d’acqua che erano state previste per rispondere un minimo ai bisogni primari.

Durante le operazioni di sgombero, le tende vengono distrutte e portate in discarica, mentre gli oggetti personali dovrebbero essere portati in un “Centro risorse“, ma spesso spariscono e recuperare i propri documenti, medicinali, telefoni, sacchi a pelo, si rivela impossibile. Gli esseri umani, i ragazzi migranti vengono arrestati, o subiscono violenze fisiche e verbali da parte delle forze dell’ordine. Uno dei testimoni racconta: “Se ci ritroviamo soli a procurarci acqua o cibo, gli agenti dei CRS (Compagnies Républicaines de Sécurité) ci spruzzano gas lacrimogeno sul viso. Mi brucia gli occhi, mi fa piangere e l’agente CRS ride davanti a me“.

L’uso abusivo di gas lacrimogeno a Calais è quotidiano come gli sgomberi e i maltrattamenti verso i migranti e i volontari. In particolare le forze dell’ordine cercano di impedire il lavoro del comitato Human Rights Observers, perché diventi molto difficile fornire prove concrete di ciò che succede sul campo. Per esempio, i furgoni della polizia possono costituire una barriera attraverso la quale diventa impossibile vedere o filmare cosa succede nel perimetro di intervento, perimetro che può essere definito molto più grande del necessario per allontanare i testimoni. Capita che per ripicca i poliziotti filmino o fotografino a loro volta i testimoni, tra le altre forme di intimidazione come i controlli frequenti di documenti e patente, le multe, commenti inappropriati e minacce.

In ogni caso, una volta distrutto l’abitato effimero dei ragazzi, nella maggior parte dei casi non seguono proposte di alloggio da parte dello Stato. Quando sono previsti degli autobus verso i centri di accoglienza, i ragazzi sono obbligati a salire con metodi coercitivi, come talvolta le manette, e senza spiegazioni in una lingua a loro comprensibile. Spesso, quando questi trasferimenti forzati hanno luogo, i ragazzi cercano di scappare. Come testimonia un ragazzo dopo lo sgombero: “Avevo paura di uscire dalla mia tenda, ma siccome continuavano a urlare sono uscito. Mentre stavo uscendo dalla tenda, un agente dei CRS mi ha colpito più volte sulla gamba destra. Non ho avuto neanche il tempo di uscire dalla mia tenda. Quando sono uscito ho sentito l’odore dei lacrimogeni. Era difficile per me respirare e avevo prurito alla gola. Davanti alla mia tenda, appena uscito, tre o quattro poliziotti mi hanno afferrato per terra (a pancia in giù) e mi hanno tenuto le braccia dietro la schiena. Mettevano tutto il loro peso su di me. Dopo pochi minuti mi hanno lasciato andare. Sono scappato il prima possibile dalla polizia. Sono riuscito a scappare prima che continuassero le loro violenze o che mi costringessero a salire sugli autobus“.

Anche le donne sole con bambini soffrono in questa situazione di disagio e violenza quotidiana. Come le famiglie e i 194 minori non accompagnati che in luglio sono stati così accolti e ascoltati dalle associazioni sul campo. Nel comunicato stampa del ricorso al Defenseur des Droits, un volontario afferma: “Ho potuto parlare con una donna incinta il 12 luglio e mi ha detto che aveva molta paura di «fare le cose male, con il suo bambino», voleva fare una doccia, mi ha detto e ripetuto più volte «voglio solo essere pulita»“.

Per accedere alle docce messe a disposizione dallo Stato tramite l’associazione La Vie Active, i ragazzi devono per forza prendere una navetta in un posto che dista fino a un’ora o un’ora e mezza a piedi dagli accampamenti. Tempo fa c’erano più navette, che arrivavo in diversi punti della città, ma ora ce n’è una sola sorvegliata dalle forze dell’ordine.

Le istituzioni che sono state sollecitate nel tempo hanno già formulato chiare raccomandazioni per assicurare il rispetto dei diritti e dei principi fondamentali alla frontiera franco-britannica e gli sgomberi di massa sono già stati denunciati inappropriati al fine di mettere al riparo le persone e permettere loro di chiedere l’asilo in Francia. Già nel 2017 e nel 2018 il Tribunale amministrativo di Lille aveva imposto la garanzia minima di accesso alle strutture igieniche e alle distribuzioni di cibo.

Ancora una volta, oggi, nel 2020, La Cabane Juridique e le altre associazioni continuano nella loro lotta per il rispetto dei diritti umani sanciti dalle convenzioni internazionali sottoscritte dallo Stato francese.

Linda Bergamo

Una grande passione per l’Afghanistan mi ha portato a far parte dell'Associazione Cisda ONLUS in sostegno alla Revolutionary Association of the Women of Afghanistan (RAWA).
In parallelo a un Dottorato di ricerca all’Università di Grenoble, lavoro come operatrice sociale con le vittime di tratta degli esseri umani per sfruttamento sessuale.