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La «regolarizzazione» ha segnato una discontinuità nelle politiche migratorie contemporanee?

Photo credit: Casa Madiba Network

L’introduzione di procedure per la regolarizzazione della condizione giuridica delle persone di origine straniera è stata, nel campo delle politiche migratorie, una delle novità più rilevanti dell’ultimo anno. Ora, con la finestra temporale per regolarizzarsi chiusa dal 15 agosto, è possibile iniziare a porsi collettivamente alcune domande. Questa misura è stata effettivamente in controtendenza rispetto alla recente gestione delle migrazioni? Ha permesso l’affermazione di politiche e principi differenti da quelli che hanno caratterizzato l’azione dei governi precedenti?
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«Una questione di civiltà»

«Quella della regolarizzazione dei migranti sul nostro territorio è una questione di civiltà», dichiarava il 5 maggio la Ministra delle politiche agricole Bellanova. Il riferimento alla civiltà, ai diritti e alla dignità, ricorrente anche negli interventi di esponenti degli altri partiti della maggioranza, è stato costante nelle dichiarazioni della Ministra. Le parole, i toni, la retorica utilizzati nel dibattito precedente e successivo all’emanazione del decreto 34/2020 segnano una netta discontinuità rispetto al governo precedente.

L’introduzione di una misura effettivamente indirizzata al riconoscimento generalizzato e incondizionato di un titolo di soggiorno stabile avrebbe effettivamente segnano una sostanziale differenza rispetto all’ordinaria gestione delle politiche migratorie in Italia e in Europa.

Viceversa, la regolarizzazione, così come strutturata dal provvedimento del governo – altamente condizionata e piena di ostacoli – ha riaffermato la centralità di uno degli obiettivi di fondo delle politiche migratorie su scala europea dell’ultimo decennio: la selezione delle e dei cittadini di origine straniera in relazione alla loro utilità.

Il governo delle migrazioni tra «chiusura» e «selezione»

A partire dal 2016, l’anno del cd. EU-Turkey statement, finalizzato al contenimento forzato delle e dei migranti da parte delle autorità turche, nell’analisi critica delle politiche migratorie molta enfasi è stata posta sul tema della chiusura dell’Europa nei confronti delle migrazioni. La normalizzazione delle rotte migratorie, la politica degli accordi con i paesi di partenza, di origine e di transito e la restrizione del set di diritti a disposizione sono, a tutti gli effetti, tappe fondamentali per comprendere il presente.

L’esclusione delle e dei migranti dall’accesso allo spazio europeo è una delle cifre delle politiche migratorie contemporanee. Non è la cifra complessiva: nonostante le dichiarazioni dei leader sovranisti e l’implementazione di politiche finalizzata alla violenta gestione dei confini, le politiche attuate dalle istituzioni europee e dalla maggior parte degli stati membri non sono complessivamente finalizzate alla chiusura dei flussi, ma alla loro selezione.

L’approccio hotspot è la puntuale sintesi di quanto la selezione sia, per la governance dei flussi migratori, l’obiettivo strategico principale. È stato introdotto tra la fine del 2015 e il 2016 in Italia e in Grecia per iniziativa delle istituzioni europee – proprio in concomitanza con l’inizio della drammatica stagione del confinamento delle e dei migranti in Turchia. Ha ridisegnato le procedure applicate dopo gli sbarchi. Gli hotspot nascono per differenziare le e i richiedenti asilo, da accogliere, dalle e dai migranti considerati irregolari, da espellere.

Le procedure di selezione applicate negli hotspot – come, peraltro, ogni politica di selezione – sono tutt’altro che politicamente neutre. L’idea stessa che le persone in fuga dai paesi di origine siano selezionabili – molto spesso attraverso prassi informali ed extralegali – con una parte significativa delle e dei migranti a vario titolo esclusa, è densa di implicazioni politiche ed etiche.

Più complessivamente, intorno alla differenziazione e alla selezione è organizzato l’insieme delle procedure amministrative e giudiziali che accompagnano l’arrivo e la vita delle e dei migranti. L’accesso alla domanda di asilo, la sua valutazione nel merito, l’eventuale contenzioso giudiziale, il costante rinnovo dei permessi di soggiorno sono soltanto alcuni degli esempi di quanto le prassi selettive, che includono taluni ed escludono altri, siano la tendenza di fondo delle politiche migratorie. Anche nelle politiche del più sovranista tra i leader, i violenti dispositivi di normalizzazione delle rotte e di gestione dei confini esterni lavorano spalla a spalla con le procedure e le prassi di differenziazione e selezione interne.

Da questa prospettiva, i confini non corrono soltanto lungo le frontiere esterne dello spazio europeo. Passano per le Questure, i Tribunali, i centri di accoglienza e, appunto, le regolarizzazioni.

I confini della regolarizzazione

«Si parla di regolarizzare non tutti gli irregolari presenti, ma quelli che servono» dichiarava la Ministra dell’Interno Lamorgese il 21 aprile, prima dell’entrata in vigore del provvedimento. Sempre la Ministra riferiva che la discussione in seno al governo «nasce(va) dall’esigenza di trovare una soluzione specifica ai problemi che stanno emergendo dai settori dell’agricoltura e della pesca per sopperire alle carenze dei lavoratori in quegli ambiti senza pregiudicare la produzione nazionale».

Le parole della Ministra Lamorgese contribuiscono a sgombrare il campo dagli equivoci. Più che una questione di civiltà, di dignità e di diritti, i rigidi criteri configurati dal governo, strettamente connessi alle esigenze del mercato del lavoro, iscrivono la regolarizzazione nel solco delle politiche di differenziazione e selezione che caratterizzano la gestione delle migrazioni su scala europea e accompagnano quelle di normalizzazione delle rotte migratorie.

La regolarizzazione varata dal governo ha avuto, infatti, caratteri altamente selettivi. La limitazione ad alcuni settori produttivi, lo specifico meccanismo predisposto e l’inserimento di determinate condizioni di accesso hanno limitato la platea dei potenziali beneficiari. La regolarizzazione non ha consentito l’emersione dalla condizione di irregolarità di tutte le persone che ne avrebbero avuto necessità – resa ancora più marcata dall’emergenza sanitaria in corso. Ha riaffermato un principio classico nella gestione delle politiche: la posta in gioco non è costituita dall’esclusione generalizzata delle e dei migranti ma dalla selezione degli stessi in funzione delle specifiche necessità del mercato del lavoro.

Gli obiettivi che il governo si è esplicitamente posto sono stati raggiunti? Oltre alla puntuale analisi dei dati finali, per abbozzare considerazioni conclusive sulla congruità della regolarizzazione rispetto agli obiettivi sarà necessario interrogarsi a fondo sulle specifiche tendenze, le strategie, le prassi, i conflitti che hanno caratterizzato la fase attuativa del provvedimento. In ogni caso, l’impianto complessivo della regolarizzazione la iscrive a pieno titolo nel solco delle politiche di selezione.

Appunti per il futuro

Dal 2016 in poi, il tema della violenta gestione dei confini esterni ha costituito il campo di riflessione e di azione principale dei movimenti antirazzisti. La ragione è chiara: si tratta di vicende drammatiche, ad alto contenuto politico, che segnano la qualità della vita di moltissime persone e sono una delle cifre complessive dell’europa contemporanea. Le vicende della regolarizzazione evidenziano quanto sia ugualmente importante cartografare anche le politiche di differenziazione e selezione applicate oltre le zone di frontiera. Anch’esse condizionano profondamente la vita delle e dei migranti, organizzano il mercato del lavoro, ridisegnano i confini della società.

Se il momento sovranista, in Italia e in Europa, dovesse essere effettivamente superato in ragione di una governance caratterizzata da uno stile comunicativo più sobrio e ambivalente, è possibile che nel campo della gestione delle politiche migratorie l’ordine del discorso ricominci ad essere organizzato intorno all’inclusione selettiva delle e dei migranti. Cogliere la violenza strutturale delle politiche di differenziazione e selezione è il primo passo per contrastarle adeguatamente.

Francesco Ferri

Francesco Ferri

Sono nato a Taranto e vivo a Roma. Mi occupo di diritto d'asilo, politiche migratorie e strategie di resistenza sia come attivista sia professionalmente. Ho partecipato a movimenti solidali e a ricerche collettive in Italia e in altri paesi europei. Sono migration advisor per l’ONG ActionAid Italia.