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Abbandonati nei CAS quarantena in attesa del rimpatrio

Le testimonianze da Trapani e Caltanissetta raccolte dalla campagna LasciateCIEntrare

In questi giorni la campagna LasciateCIEntrare sta raccogliendo diverse testimonianze di cittadini tunisini stritolati all’interno del sistema di controllo e trattenimento a cui sono sottoposti una volta intercettati allo sbarco. Che siano posti su navi quarantena, di fatto diventate luoghi di detenzione illegittima, o immediatamente all’interno di Cas quarantena detentivi, le procedure a cui sono sottoposti sono perlopiù funzionali ad un rimpatrio immediato. In questo dispositivo di trattenimento-rimpatrio non c’è alcuno spazio per la salvaguardia dei diritti fondamentali e per la tutela delle persone.

Quali sono gli accordi criminali stipulati tra Tunisia ed Italia? Cos’è questa orribile macchina aspira e sputa uomini?“, afferma Yasmine Accardo, referente della campagna che sta inviando segnalazioni al Garante delle persone private della libertà e insieme a LasciateCIEntrare invoca il rispetto dei diritti fondamentali.

Si tratta ancora una volta di situazioni di gravità assoluta che ricordano che in futuro sarà anche peggio e che dovrebbero portare ad una denuncia e mobilitazione univoca delle persone e delle organizzazioni che ancora credono che esista un mondo di diritto“, continua l’attivista.

I nuovi tanto acclamati decreti si inseriscono così perfettamente in questo contesto: lasciate ogni speranza voi che entrate. Noi non ci stiamo! Chiediamo un’immediata mobilitazione perché vengano liberate queste persone trattenute illegittimamente ed in condizioni di trattamenti inumani e degradanti“.

Le ultime testimonianze raccolte provengono da gruppi di persone trattenute in Sicilia a Trapani e Caltanissetta.

Testimonianze da Trapani

Arrivati il 19 settembre a Lampedusa, i cittadini tunisini dopo circa 3 giorni sono stati trasferiti in quarantena in un Cas a Valderice a Trapani, chiamato “Villa Sant’Andrea”. Fin dallo sbarco non hanno ricevuto alcuna adeguata informativa. Sono stati letteralmente sbattuti in questo centro e obbligati, per l’emergenza sanitaria Covid-19, a restare in quarantena. Nessuna figura di mediazione, nessuna attenzione per far sì che questo periodo di isolamento, reso necessario di questi tempi, potesse esser compreso come qualcosa a tutela della propria e altrui salute.

Alcuni fuggono dal centro ed immediatamente si scatena la protesta dei vicini che chiedono maggiori protezioni, con in prima linea il sindaco di Valderice che pretende maggiori controlli. Verranno quindi costruite sbarre e potenziata la sorveglianza.

La popolazione ha paura ed un “CAS quarantena” non è gradito. Nessun tentativo di portare anche solo un messaggio di vicinanza positiva, di benvenuto. Insulti e rabbia accolgono le persone che arrivano. Ben inteso di questi tempi ognuno di noi (lo sa bene chi è stato o sta in quarantena) viene evitato e guardato come un untore, con pochissimi che si preoccupano della solitudine di chi si trova “internato” o di portare un minimo di conforto anche da lontano.

La paura è fuori verso chi è imprigionato, e dentro chi è isolato non trova niente di buono, solo polizia, rabbia, insulti in stanze approntate alla bell’e meglio con materassi di gommapiuma per terra e le solite porzioni di cibo freddo ed immangiabile.

La parola “accoglienza” è qualcosa di profondamente lontano e questo gruppo di tunisini è più “fortunato di altri” perché se non altro non sono costretti a rimanere nelle navi quarantena anche per oltre un mese.

Il centro che li ospita in questa detenzione strutturata per la quarantena, e che in realtà diventa pre-rimpatrio, è gestito da Badia Grande, perché i re del business dell’accoglienza ovviamente ne hanno approfittato subito anche in questa situazione: tanto i servizi sono ridotti all’osso. Non ci sono nemmeno le coperte. Stanze e materassi buttati a terra. “Minimal reception” mentre c’è sempre un grande guadagno e intanto i diritti sono al ribasso, se non proprio in estinzione. Un lavoro facile facile: quarantena e via. Quarantena e via. Perché qui non ci sono persone. Sole ombre di cui non resteranno nemmeno i resti.

Ci rimangono le storie come quella di G. che deve essere raccontata perché si sappia ciò che accade.

Il 24 settembre la polizia entra nelle stanze per prendere un gruppo di uomini per portarli in un altro centro, scopriremmo poi che si tratta del Cpr di via Corelli a Milano. G. è disperato, non vuole essere rimpatriato e si butta dal secondo piano.

Cade e si rompe entrambe le gambe. Viene condotto al pronto soccorso di Trapani dove farà l’intervento il 7 ottobre. Due giorni dopo è già di nuovo sul materasso di gommapiuma buttato a terra nel centro di Badia Grande. Ha dolore alle gambe e non sa a chi chiedere aiuto.

Nei giorni di ospedalizzazione aveva detto “non voglio tornare in quel posto orribile! Fatemi restare in ospedale finchè non mi sento bene. Per camminare mi servono le stampelle, ma ora ho troppo dolore”.

Eppure il medico del reparto in cui G. è rimasto per due settimane ha ritenuto di dimetterlo solo due giorni dopo l’intervento.

G. è ancora in attesa di poter essere riconosciuto come persona. Persona. Non come richiedente protezione che è un salto troppo lungo, quando nemmeno le basi del diritto esistono più.

Vorrebbe capire se ci sono diritti dove è arrivato, vorrebbe sapere quali sono le procedure e perché fin dall’inizio è stato trattato come un vestito vuoto. Vuole capire perché qui ha trovato solo restrizioni e dolore.

Il 9 ottobre hanno rimpatriato 80 tunisini in un giorno.

Testimonianze da Caltanissetta

Erano sulla nave quarantena GNV di fronte a Trapani. L’8 ottobre, circa 200 persone sono state trasferite dentro il CARA di Caltanissetta, in un’area posta proprio a fianco del CPR, al momento inagibile.

Giunti nel centro intorno all’una di notte hanno trovato ad accoglierli materassi per terra in uno spazio circondato da polizia e militari. In condizioni disumane per tutta la notte hanno provato a protestare senza ottenere che parole monche e rimandi.

Il giorno successivo un unico operatore urlante insieme ad un mediatore ha spiegato a 200 persone, stanche e preoccupate di trovarsi in condizioni così degradanti, quali sono le procedure: se vogliono chiedere la protezione possono farlo e la domanda verrà valutata dalla Commissione in tempi rapidi: 5 gg. Chi non farà domanda verrà rimpatriato.

Tra di loro vi sono persone vulnerabili con patologie croniche, come il diabete, e da quando sono stati posti in quarantena non hanno ricevuto i farmaci a loro indispensabili. Sulla nave hanno fatto il test per il Covid-19 risultando negativi, si aspettavano dunque di raggiungere un centro di accoglienza degno di questo nome: invece il duro asfalto e materassi in gommapiuma a terra. Le condizioni dei bagni sono ovviamente impressionanti. “Se entriamo ci prendiamo una malattia certamente“, ci dicono.

C’è grande preoccupazione inoltre per il virus. Alla fine del trasferimento gestito dalla Croce Rossa, si sono ritrovati tutti insieme i gruppi provenienti dai piani diversi della nave quarantena. Alcuni di loro ci dicono che al settimo piano avevano messo i positivi: “Qui invece siamo tutti insieme. Tra noi ci sono alcuni positivi. Se eravamo negativi ora ci infetteremo tutti“.  Altri ripetono: “Ci hanno detto che proprio perché ci sono i positivi meglio che ci rimpatriano presto così non ci infettiamo”.

E’ il caos totale tra persone in lacrime e chi vorrebbe tentare il suicidio.  In una situazione di continui trattenimenti e scarsa informativa dove “ci trattano come schiavi e peggio delle bestie. Può succedere qualsiasi cosa. Siamo tutti spaventati. Quanto manterremo l’equilibrio in questa situazione?”.

Anche le informazioni relativamente a chi è infetto e chi non lo è derivano da una gestione vergognosamente approssimata, autorità e sottoposti che hanno mescolato persone senza spiegare nulla, come fossero chicchi di mais. Così aumenta la paura e il sospetto e si rischia la caccia all’untore in un gruppo di persone già fortemente provato. Nessuna di loro ha incontrato organizzazioni di tutela delle persone, tenute evidentemente alla larga o conniventi e silenti con quanto sta accadendo.