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Faresti uno sciopero della fame se l’alternativa fosse la morte certa?

di Jade MacRury*, Immigration Advice Service (UK)

Immagina di svegliarti una mattina e scoprire che il quartiere che una volta chiamavi casa è stato ridotto a nient’altro che macerie. Immagina il dolore di sapere che la vita che ti sei costruito è stata irrevocabilmente distrutta. Immagina di vedere le persone che conosci, amici e familiari che ami, venir portati via uno per uno – detenuti, torturati o uccisi. Immagina di sapere che lo stesso destino spetta a te, che i tuoi giorni sono contati, e che se vuoi vivere devi lasciare tutto ciò che conosci alle spalle. Cosa faresti? O meglio: cosa non faresti, solo per sopravvivere?

Tienilo a mente quando leggi del pericolo rappresentato da questi cosiddetti richiedenti asilo illegali, che vengono nel Regno Unito per infiltrarsi nella comunità britannica, minando ciò che rende grande questo paese e decisi a trarre vantaggio dalla generosità della società britannica. Nulla potrebbe essere più lontano dalla verità. E questa cruda verità è straziante nella sua semplicità: coloro che chiedono asilo nel Regno Unito sono alla disperata ricerca di sicurezza. Vengono qui semplicemente perché non hanno altra scelta. È una questione di vita o di morte.

Infatti, proprio il mese scorso, ben 22 detenuti del centro di detenzione di Brook House hanno iniziato uno sciopero della fame per protestare contro la loro imminente deportazione dal Regno Unito – e tra questi, 8 persone hanno tentato di togliersi la vita. Non lo hanno fatto come gesto di inutile teatralità o per fare appello alla discutibile compassione del Ministero degli Interni. Come hanno detto gli stessi rifugiati, “preferiamo morire nel Regno Unito piuttosto che tornare indietro“. E perché no? Se le uniche due scelte rimaste a disposizione coinvolgono in ogni caso la morte, non faresti lo stesso?

Ancora una volta, questa non è teatralità. È l’esperienza di persone che chiedono asilo nel Regno Unito. Detained Voices collective – un sito dedicato alle voci ed esperienze di coloro che sono trattenuti in centri di detenzione in tutto il Regno Unito – ha condiviso il racconto di una persona che ha spiegato la ragione che lo ha spinto ad intraprendere uno sciopero della fame.

L’uomo ha descritto il viaggio traumatico dal suo paese d’origine devastato dalla guerra, lo Yemen, e le atrocità che ha subito nei suoi tentativi di chiedere asilo ed ottenere per sé stesso una vita sicura e migliore. Dalla Turchia alla Grecia, alla Francia e infine al Regno Unito, ha descritto gli infiniti abusi, l’instabilità e i rifiuti subiti. Dopo essere arrivato nel Regno Unito, i suoi sogni di ricominciare si sono trasformati in cenere. Invece di ricevere sostegno, è stato trattenuto all’interno di Brook House vicino all’aeroporto di Gatwick ed informato che sarebbe stato deportato in Europa.

E non è solo. Sei detenuti siriani detenuti a Brook House sono stati informati che sarebbero stati riportati in Spagna, dove in precedenza erano stati lasciati ad arrangiarsi in strada, aggrediti da agenti di polizia e ricattati dai trafficanti di esseri umani. Non è comprensibile che abbiano lasciato la Spagna per trovare un posto più sicuro da chiamare casa? E non è comprensibile che abbiano scelto di partecipare ad uno sciopero della fame piuttosto che tornare indietro?

Pur conoscendo le strazianti esperienze che molti migranti vivono in tutta Europa per cercare di chiedere asilo, il Ministero degli Interni sceglie di lavarsi le mani da ogni responsabilità sfruttando il regolamento Dublino dell’UE, che afferma che se un richiedente rilascia le impronte digitali in uno Stato membro dell’UE e poi decide di andare in un altro Stato membro dell’UE, può essere rimandato al primo paese d’ingresso, dove la sua richiesta di asilo potrà essere processata.

Questo è esattamente ciò che il Regno Unito sta facendo. Visto che altri Stati membri dell’UE hanno le impronte digitali dei richiedenti, il Regno Unito non si preoccupa di fare una propria valutazione adeguata e sceglie invece di rimandare semplicemente indietro le persone. Tuttavia il regolamento Dublino chiarisce anche che i richiedenti non hanno alcun obbligo di chiedere asilo nel primo paese “sicuro” dove arrivano e che hanno invece possibilità di scelta su dove avanzare la richiesta.

A peggiorare le cose ci sono i politici e i media tradizionali, che amano fomentare il malcontento sostenendo che i paesi europei sono tutti stabili e possono offrire la stessa protezione del Regno Unito. In altre parole si suggerisce che i richiedenti asilo che scelgono di prolungare il loro viaggio per raggiungere la Gran Bretagna non sono affatto alla ricerca di sicurezza; questo li rende migranti illegali piuttosto che rifugiati.

Questa ignoranza fa dimenticare alle persone che la sicurezza è relativa. Il fatto che un paese sia sicuro per qualcuno non lo rende assolutamente sicuro per tutti gli altri. Per esempio, se sei una donna richiedente asilo che è più a suo agio indossando un burqa, ti sentiresti al sicuro in Francia, sapendo che hanno vietato ogni forma di velo islamico? Se vai in Grecia e ti picchiano con i teaser, ti sentiresti abbastanza sicuro da rimanere? Se sei fluente in inglese, ma non parli spagnolo, ti sentiresti abbastanza sicuro in Spagna dove non capisci nulla di quello che dicono? Se hai familiari in Gran Bretagna, non ti sentiresti più al sicuro lì piuttosto che in Germania dove non conosci assolutamente nessuno?

Ci sono anche ragioni politiche. Alcuni paesi dell’UE, come la Grecia e la Francia, sono diventati famosi per essere stati sopraffatti dalle richieste di asilo e per il terribile trattamento dei migranti, con violenze da parte della polizia, abusi e campi profughi sovraffollati e di fortuna. Perché lasciare un paese non sicuro, fare un viaggio pericoloso, solo per rimanere in un altro paese altrettanto pericoloso?

Per molti richiedenti asilo il Regno Unito è l’ultima speranza per una vita stabile, e i tentativi di espellere le persone vulnerabili in altri paesi dell’UE “sicuri” sono immorali e ripugnanti. Con il Regno Unito che ospita solo l’1% dei rifugiati del mondo, dobbiamo fare di più. Ci consideriamo un baluardo della giustizia in tutto il mondo. È ora di essere coerenti con questa definizione.