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La Grecia sta utilizzando il Coronavirus come arma contro i rifugiati

Moira Lavelle, Vice - 13 novembre 2020

Sull’isola di Chios, a partire da questa settimana, la maggior parte dei residenti deve inviare un messaggio ad un numero governativo quando va al supermercato o a fare una passeggiata, ed è stato imposto un coprifuoco a partire dalle 21.00 che costringe tutti all’interno dei loro alloggi.

A venti minuti di distanza, i rifugiati che vivono nel campo di Vial sono praticamente tenuti prigionieri. Nessuno dei circa 4.000 richiedenti asilo o rifugiati può uscire dal campo per una passeggiata o per andare al negozio di alimentari della città, e la polizia presiede tutte le strade circostanti la zona. Nelle tende e nei container sparsi nei campi di ulivi la gente può solo sedersi e aspettare.

È la peggiore esperienza che abbia mai vissuto“, dice Dalmar Hassan, 22 anni, un richiedente asilo della Somalia. Hassan vive sull’isola di Chios nell’Egeo da oltre un anno, in attesa che la sua richiesta di asilo venga esaminata. “È come se qualcuno si sia preso l’unica speranza che ci è rimasta. Non c’è vita qui“.

All’interno del campo, le tende sono montate a pochi passi di distanza l’una dall’altra, rendendo impossibile il distanziamento sociale. Decine di persone sono costrette a usare le stesse squallide docce, e, nonostante sia obbligatorio indossare le mascherine sanitarie, procurarsele è quasi impossibile. Il 14 ottobre il campo rifugiati di Vial è stato messo in una rigida quarantena di due settimane, e nessuno si è sorpreso quando, due settimane dopo, la quarantena è stata prolungata. Infine, dopo altri 14 giorni, la proroga è stata estesa.


Semplicemente a loro non importa

È così che mi sento ora: come quando ti dicono che sei in prigione e verrai rilasciato, ma poi ritrattano e ti comunicano che la tua pena è stata prolungata“, ha detto Hassan a VICE News. “Semplicemente a loro non importa“.

Anche a Vial il lockdown è stato continuamente esteso durante l’estate; il Ministero dell’Immigrazione greco o i responsabili del campo hanno annunciato ogni due settimane la proroga delle misure. Le misure sono state applicate a tutti i campi rifugiati del paese, con un impatto su decine di migliaia di persone.

All’inizio della pandemia, la Grecia era stata elogiata per la sua risposta all’emergenza, dal momento che il paese aveva imposto un lockdown di quasi due mesi che aveva in gran parte limitato la diffusione del virus. A inizio di maggio però, mentre nel resto del Paese è iniziata una riapertura, decine di campi rifugiati e di strutture di accoglienza sono rimasti chiusi. Questi lockdown sono stati estesi più volte, bloccati e ripristinati di continuo e in forme diverse, nonostante il basso tasso di diffusione del virus. Nel momento in cui molte restrizioni sono venute meno, il governo greco ha deciso di strumentalizzare i regolamenti COVID19 e di usarli contro i rifugiati, additandoli come colpevoli della diffusione del virus invece di proteggerli.
La Grecia è attualmente al suo secondo lockdown, ma molte delle persone che vivono nei campi rifugiati del paese sono rinchiusi da mesi con lucchetti e fili spinati.

Quando il COVID-19 è apparso in Grecia alla fine di febbraio, una delle prime mosse del primo ministro Kyriakos Mitsotakis è stata aumentare i controlli alle frontiere intorno alle isole dell’Egeo e al confine terrestre con la Turchia. Cosi facendo il ministro ha esplicitamente collegato la diffusione del nuovo Coronavirus agli “ingressi illegali” nel Paese, anche se i primi casi di COVID-19 in Grecia erano legati all’Italia.

Questo tipo di comportamento segue la retorica anti-rifugiati che caratterizza il nuovo governo greco. Da quando è salito al potere lo scorso luglio, il partito Nuova Democrazia ha fatto dei rimpatri dei migranti e della deterrenza degli arrivi una parte fondamentale del suo programma. Nei primi mesi al potere, il governo ha aumentato la sicurezza delle frontiere, ha spinto perché tutti i campi diventassero campi chiusi di detenzione, e ha affermato che solo migranti con un certo profilo potranno entrare nel Paese.

Giorni dopo l’inizio dell’epidemia, un portavoce del governo e il ministro dell’immigrazione hanno ripetutamente affermato che solo i campi chiusi avrebbero consentito i controlli sanitari necessari per prevenire la diffusione del Coronavirus. Il 18 marzo la Grecia ha annunciato restrizioni della durata di un mese sulla circolazione dei rifugiati nei campi di tutto il paese ed è stato imposto un coprifuoco, permettendo a un solo membro per ogni nucleo familiare di lasciare la propria casa per i viaggi essenziali. Allo stesso tempo, il paese è entrato in un lockdown generale. Tutti i negozi non essenziali sono stati chiusi e le persone sono state obbligate a compilare un modulo di autocertificazione per motivare gli spostamenti.

Quando però il 4 maggio per i cittadini greci è cominciata la riapertura, il governo ha annunciato che l’isolamento nei campi rifugiati e nei centri di accoglienza del paese sarebbe continuato fino al 21 maggio. A giugno la Grecia ha inoltre iniziato una campagna di promozione aggressiva per invogliare i viaggiatori stranieri a trascorrere le vacanze sulle isole del Paese, usando slogan come: “l’estate greca è uno stato d’animo“. Nel frattempo, la quarantena all’interno dei campi rifugiati continuava a essere prolungata e, nonostante al loro interno non ci fossero casi positivi, l’isolamento è stata esteso per ben cinque volte.

Dentro ai campi erano tutti negativi, in salute; il pericolo veniva da fuori, da noi“, ha detto a VICE News un traduttore (che ha voluto rimanere anonimo per motivi di sicurezza) di un campo vicino a Orestiada, nel nord della Grecia. Ci ha raccontato che gli assistenti sociali che cercavano di assistere i minori non accompagnati non erano in grado di farlo per telefono, e per mesi, la maggior parte dei servizi legali e medici si sono fermati, incluso il suo lavoro come traduttore. I rifugiati residenti erano stati abbandonati all’interno del campo.

Abbiamo detto loro che c’era un lockdown in tutto il campo, che sarebbe durato 14 giorni e poi avremmo capito che fare. Poi dopo due settimane l’hanno prolungato“, ha aggiunto. “In quel periodo i bambini erano molto arrabbiati. Erano psicologicamente stanchi, frustrati, delusi. Sono dispiaciuto per loro“.

L’unica cosa che tutti aspettano sono i documenti. Quando c’è un lockdown, tutto il sistema si blocca“, ha detto Hassan. “Nessuno sta lavorando, ci siamo solo noi rifugiati che rimaniamo qui. Se abbiamo o no il Coronavirus poco importa“.

Il campo Vial a Chios non ha avuto casi confermati di Coronavirus fino ad agosto. Per mesi la gente ha aspettato, mentre l’accesso ai servizi sociali, al supporto legale o alle procedure di asilo si è ridotto quasi a zero. I due campi che durante l’estate hanno registrato alcuni casi sono stati messi in una quarantena ancora più stretta e a nessuno è stato permesso di andarsene.

Semin Ahmadi, 22 anni, ci ha raccontato di quanto fosse esausto per le difficoltà nell’accesso alle cure di base durante i lockdown. Ahmadi, un richiedente asilo afgano, ha vissuto per 12 mesi sull’isola greca di Lesbo. Durante l’isolamento estivo del famigerato campo di Moria, la famiglia di Ahmadi ha avuto difficoltà ad accedere all’assistenza medica necessaria per la madre, una donna con problemi cronici alla gola e allo stomaco e con una lesione permanente alla gamba causata da un attacco dei talebani. Sono rimasti intrappolati nel campo con altre 13.000 persone, ammassati in tende o in rifugi improvvisati, senza quasi nessun accesso all’acqua corrente. “Non c’era sicurezza, non c’era protezione, non c’erano docce, non c’era una scuola, non c’erano buoni medici“, ha detto Ahmadi a VICE News. “Non avevamo una vita normale“.

Moria è stata in isolamento per quasi sei mesi prima che si verificasse un solo caso di Coronavirus. Il 2 settembre, per la prima volta una persona che viveva lì è risultata positiva e il campo è stato messo in una quarantena ancora più rigida. Meno di una settimana dopo, il campo è andato completamente a fuoco. In due giorni il più grande campo rifugiati d’Europa si è ridotto a cumuli di teloni fumanti e migliaia di persone sono state lasciate per strada.

Funzionari e operatori umanitari hanno dichiarato che l’incendio è stato appiccato come una disperata obiezione alla quarantena forzata, ma il governo greco ha preferito punire i migranti per le proteste. “Riconosco le difficili condizioni“, ha dichiarato il primo ministro Kyriakos Mitsotakis. “Tuttavia, non possono esserci scuse alle reazioni violente ai controlli sanitari. Ma soprattutto non si possono scusare disordini di questa portata

Siamo uomini, non animali.”

Dopo l’incendio, i residenti del campo hanno protestato per giorni. Sono stati poi spinti verso una nuova struttura nelle vicinanze, attrezzata con tende estive temporanee. Ora possono uscire solamente dalle otto di mattina alle otto di sera dal lunedì al venerdì, e dalle otto di mattina alle tre del pomeriggio il sabato. Su Whatsapp Ahmadi ci spiega la sua frustrazione per essere bloccato dentro il campo: “Non è vero, non è vero che tutti nel campo hanno il Coronavirus. È una bugia,” dice Ahmadi. “Siamo esseri umani, non animali. Non dovrebbero costringerci a rimanere in un campo chiuso.”

Essere chiusi da fili di ferro e recinzioni è una sensazione veramente brutta,” racconta Parwana Amiri, una diciassettenne richiedente asilo dall’Afghanistan che vive nel campo rifugiati di Ritsona, uno dei due messi in quarantena rigida. Questa quarantena è stata estesa molte volte per tutta l’estate fino all’autunno. Parwara ha rivelato a VICE News che entrambe le entrate del campo, situato un’ora a nord di Atene, sono state chiuse e sorvegliate dai bus della polizia per tutto ottobre. L’avanzamento dei procedimenti di richiesta d’asilo nel campo è rallentato fino a fermarsi quasi completamente; quasi nessuno poteva uscire, nemmeno per una visita medica.

Amiri è arrivata a Ritsona con la sua famiglia all’inizio dello scorso anno, dopo aver passato quattro mesi nel campo di Moria. Desiderosa di iscriversi alla scuola superiore del posto, le era stato detto di aspettare l’anno scolastico successivo. Ha passato ore e ore studiando inglese, tedesco e greco, ma dopo otto mesi le è stato comunicato che a causa della quarantena non avrebbe potuto frequentare le lezioni.

Amiri ha iniziato a guidare delle dimostrazioni dentro il campo di Ritsona, postando foto online di bambini che marciano dietro fili spinati mentre chiedono l’accesso all’istruzione. “Il virus non può essere una scusa,” dice. “E la nostra sicurezza? Non si tratta solo della nostra educazione ma anche della nostra sicurezza. Nessuno pensa alla sicurezza dei bambini dentro il campo.

La scorsa settimana, il 7 novembre, la Grecia è entrata nel suo secondo lockdown. Le scuole primarie del paese sono rimaste aperte, mentre le medie e le superiori continueranno le lezioni online. I bambini di Ritsona però non hanno ancora accesso alle classi. Secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM), che aiuta la Grecia nella gestione dei campi continentali, circa 3 852 bambini in sette campi profughi all’interno del Paese non hanno la possibilità di andare a scuola proprio a causa delle misure di lockdown.

Quello che notiamo è una sorta di doppio standard”.

Le organizzazioni per i diritti umani hanno criticato il modo discriminatorio con cui le misure anti-pandemiche sono state implementate in Grecia. “Mettiamo in guardia contro l’utilizzo della quarantena come misura globale. Determinate misure dovrebbero essere attuate solo quando allo stesso tempo vi è una tutela dei diritti essenziali delle persone” dice Adriana Tidona, ricercatrice di Amnesty International. “Questo si vede nell’accesso ai diritti economici e sociali. Le restrizioni stanno impattando sull’accesso ai servizi, agli avvocati e ad altri bisogni essenziali, semplicemente perché alle persone non è permesso entrare nelle città circostanti.”

Quello che notiamo è una sorta di doppio standard,” ci racconta Andrea Contenta, rappresentante regionale di Doctors Without Borders. “Da un punto di vista medico crediamo che le misure prese siano più per il contenimento, che per affrontare realmente le esigenze mediche della popolazione.”

Il governo greco, con questi lockdown tendenziosi, ha unito la questione dell’immigrazione e dei rifugiati con il problema del Coronavirus. A settembre il portavoce del governo Stelios Petsas ha dichiarato in un’intervista radiofonica che “metà dei casi dell’Attica sono concentrati nel centro di Atene, e di questi, una larga parte sono tra i rifugiati e in generale i migranti.” Lo stesso ha anche affermato che la Grecia non esclude la possibilità di bloccare quartieri specifici dove vive la maggior parte degli immigrati; allo stesso tempo il ministro della salute, Vasilis Kikilias, si è espresso a favore di una quarantena per “i giovani malati di COVID asintomatici… principalmente immigrati, rifugiati, in modo da non creare un ulteriore problema nel centro di Atene.” Il Ministero dell’Immigrazione non ha risposto alle ripetute richieste di commentare queste dichiarazioni.

Queste argomentazioni, però, non sono supportate dai dati. L’Organizzazione Nazionale per la Salute Pubblica spesso classifica i tassi di contagio degli stranieri separatamente da quelli della popolazione generale, ma nessuno dei conteggi effettuati indica che i migranti o rifugiati hanno preso il COVID-19 in percentuale maggiore ai cittadini greci.

Eppure in tutto il paese si è diffusa una retorica anti-rifugiati: in marzo, i giornali locali hanno pubblicato articoli in cui si legge che il Coronavirus e i migranti si sono dimostrati una minaccia simile per la crescita del paese, e che i migranti non seguono le regole di igiene. Ad aprile, il più importante giornale greco ha dichiarato che la Turchia stava pianificando un complotto per inviare i migranti positivi al Coronavirus in Grecia e in Europa. Sui titoli di molti quotidiani si è continuato a parlare di migranti che “evadevano” dalla quarantena e, verso la fine di settembre, notiziari locali hanno riferito che il 10-15% dei letti di terapia intensiva del paese erano occupati da stranieri, e che gli stranieri erano la maggioranza dei pazienti COVID-19. Tutti questi numeri sono stati spesso segnalati ai giornali da fonti anonime, e non corrispondono ai dati ufficiali dell’Organizzazione Nazionale della Salute Pubblica.

Le persone che vengono disumanizzate o a cui sta per essere tolta l’umanità sono viste come contaminanti” spiega a Vice News David Livingstone Smith, professore di filosofia all’Università del New England e autore di On Inhumanity: Dehumanization and How to Resist It. “I popoli temuti, disprezzati o odiati, vengono spesso visti come portatori di malattie. Oppure vengono rappresentati come entità malate, che infettano il corpo della nazione.”

Smith ci mette in guardia dell’impatto di questa retorica, che potrebbe essere a lungo termine. “Le paure realistiche riguardanti la pandemia sono solo una componente di questo,” spiega. “Questi sentimenti xenofobi e razzisti, invece, non se ne andranno quando l’emergenza sarà finita. Prenderanno solo una forma diversa.

Anche il campo profughi di Eleonas è stato in lockdown tutta l’estate, e da settembre è stato messo in una quarantena ancora più stretta. Questa è stata estesa molte volte, ed è finalmente scaduta a fine ottobre. Eleonas si trova tra magazzini e detriti industriali nella periferia di Atene ed è la casa di 2.400 rifugiati e richiedenti asilo da più di 31 paesi. Normalmente, l’accesso al cibo, all’acqua, ai servizi igienici e sanitari e all’istruzione è difficoltoso, e per tutto l’autunno i residenti hanno manifestato con continuità, chiedendo migliori condizioni di vita e la fine del lockdown nel campo.

Credetemi, mi piace questo paese, voglio restare. Ma non abbiamo nessun tipo di supporto. Stanno giocando con noi.

È stato veramente brutto. Sono tutti depressi,” spiega Aman Allah Khajahgere, un rifugiato iraniano che vive ad Eleonas da più di un anno. “Ci sono molti bambini nel campo. Per loro la situazione è grave. Non c’è la scuola, non c’è posto per giocare, tutto il tempo litigano tra di loro.

Khajahgere passa molte ore ogni settimana a fare volontariato per portare beni di prima necessità come pannolini, vestiti e cibo negli altri campi vicino ad Atene. “Non viene dato il supporto necessario. Come possono le persone vivere qui dentro?” si chiede. “Dicono di voler un campo chiuso per proteggere le persone, ma se il virus è dentro il campo, dovrebbero portare la gente fuori.

Khajahgere è preoccupato per l’impatto che le restrizioni del governo avranno sui bambini del campo, e per il possibile futuro che lo aspetta in Grecia. Una certa esasperazione lo coglie quando gli viene ribadito che le misure all’interno del campo sono semplici preoccupazioni di salute pubblica. “Tutto c’entra con la politica. Giocano con i rifugiati,” racconta a VICE News. “Credetemi, mi piace questo paese, voglio restare. Ma non abbiamo nessun tipo di supporto. Stanno giocando con noi.