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La risposta umanitaria al fenomeno migratorio

Studio etnografico di un campo nel Nord d’Italia

Photo credit: Veronica Ravelo (MSF)

Università degli studi di Milano

Corso di Dottorato in Scienze Giuridiche
Dipartimento “Cesare Beccaria
Curriculum in Filosofia e Sociologia del Diritto – XXXI ciclo
A.A. 2017/2018


Abstract

Con la presente ricerca propongo di indagare il campo per migranti come espressione dell’umanitario, nel contesto attuale, locale e pacifico. Supportata dalla letteratura, sostengo che l’umanitario, un approccio teorico e un insieme di interventi per far fronte alla sofferenza altrui, abbia esteso il suo ambito d’azione dal suo contesto originario, quello bellico, alla vita politica quotidiana, attestandosi come forma di gestione, e contemporaneamente di interpretazione, del fenomeno migratorio verso (e attraverso) l’Italia.

I due filoni teorici intorno a cui si incentra l’analisi riguardano dunque il concetto di umanitario e di campo. In primo luogo, ripercorro l’evoluzione dell’umanitario, individuandone le fondamenta in una condizione di emergenza, tipicamente quella bellica. In tale contesto, esso si pone come limite giuridico alle brutalità della guerra, nonché come attenuazione pratica dei suoi danni fisici. A fronte di un’analisi della trasformazione dell’umanitario e dell’espansione del suo ambito di intervento, sostengo che esso abbia valicato i confini della politica, smentendo di fatto uno dei suoi attributi rivendicati, quello appunto di apoliticità, lo stesso che gli garantiva margine di manovra in condizioni belliche. L’umanitario, come conferma la letteratura, è diventato una forma di governo: ciò si rileva con maggior forza nelle politiche attinenti alla regolazione dei flussi migratori e all’amministrazione dei migranti giunti sul territorio nazionale. In questo ambito, l’umanitario interviene secondo proprie modalità di pensiero e di azione, quelle tipiche dei contesti emergenziali.

Come chiarirò, i campi per migranti, quelli destinati a vario titolo alla loro ricezione, sono gli eredi concreti dell’umanitario di ieri: il dispositivo attraverso cui esso opera e protegge in contesti di emergenza. Oggi, i campi, giuridicamente chiamati “centri”, assumono più funzioni: accanto a quelli disposti per scopi prettamente umanitari, cioè di soccorso e assistenza, ve ne sono altri finalizzati alla detenzione amministrativa dei propri abitanti, e altri ancora che si propongono obbiettivi di “accoglienza”. Le loro finalità, le loro forme specifiche, gli enti che li gestiscono e i servizi erogati al loro interno sono variegati e continuamente discussi, ma tali dispositivi si impongono oggi come forma ricettiva per eccellenza. Sono la risposta immediata ed emergenziale, benché durevole e strutturata, al fenomeno dell’immigrazione non regolarizzata in Italia. Nonostante questo processo di “normalizzazione” dei campi, essi mantengono una natura eccezionale, prima di tutto in quanto spazi istituiti ad hoc, per contenere – ospitare, recludere o accogliere – soggetti “altri”, quelli che non appartengono alla comunità nazionale, e che marginalizzano di fatto o di proposito i propri abitanti.

La riflessione teorica sulla relazione biunivoca tra la visione umanitaria e il sistema del campo, unita all’osservazione di un campo nel Nord d’Italia, dove ho condotto uno studio etnografico tra novembre 2016 e ottobre 2017, mi ha condotto verso l’elaborazione di un nuovo modello di studio di questo ambiente, ossia il “campo umanitario”. Propongo tale strumento concettuale per comprendere e analizzare un numero crescente di spazi simili in Italia e in Europa.

Una volta individuati gli elementi che connotano lo spazio e l’organizzazione del campo in tal senso, procedo allo studio del campo umanitario osservato. Prima di tutto, affronto gli aspetti metodologici ed etici della ricerca empirica. In seguito, introduco il campo selezionato: ripercorro gli eventi all’origine dello stesso, ne ricostruisco e analizzo la natura giuridica, e introduco i soggetti che abitano o lavorano in questo spazio. Procedo poi all’analisi dei suoi spazi interni, che ripartisco in due categorie: gli “spazi-servizio” e gli “spazi-non-servizio”.

Tale suddivisione è dettata dall’esigenza di osservare questi ambienti proprio in relazione alla loro funzione umanitaria, di cui il servizio, inteso come prestazione direttamente o indirettamente finalizzata a prestare assistenza ai migranti ospiti al campo, rappresenta la principale espressione pratica. Tra i primi si individuano la “carraia”, la mensa e la tenda-scuola. La seconda categoria di spazi, introdotta a fronte di una rielaborazione metodologico-concettuale della ricerca, si suddivide invece in “spazi eccezionalmente non-servizio” e in “spazi-non-servizio” veri e propri, di cui analizzo lo spazio esterno.

Concludo il lavoro puntualizzando gli elementi che fanno di questo campo un “campo umanitario”, e sollevando nuovi spunti di indagine a partire dalla riflessione sul rapporto osservato tra operatori ed ospiti del campo.

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