Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
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Violenze ai confini greci. Ottobre 2020

Un rapporto di Border Violence Monitoring Network, 27 ottobre 2020 (traduzione integrale)

Introduzione

Questo progetto dà il via ad un nuovo focus del Border Violence Monitoring Network (BVMN), distinto dai resoconti relativi ai respingimenti transfrontalieri: la violenza perpetrata all’interno degli Stati lungo la rotta balcanica contro le persone in movimento (People On the Move, POM).

Per violenza interna si intende una diretta aggressione fisica, contro i migranti o contro le necessità immediate come cibo o rifugio, o la minaccia specifica di una imminente e diretta violenza fisica all’interno di un territorio. Da maggio 2020, BVMN raccoglie testimonianze dei migranti riguardanti le esperienze di tale violenza.

In questa relazione, la prima di una nuova serie, esamineremo la Grecia. Dopo aver delineato il contesto politico greco, si analizzerà innanzitutto la violenza in carcere, con particolare focus su Keratea, Petrou Ralli e Paranesti. Poi, si discuterà della repressione della polizia sulla scia dell’incendio di Moria e della proliferazione di gruppi di vigilanti di estrema destra. Infine, sarà esplorata la situazione nel porto di Patrasso.
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L’obiettivo di questo rapporto è quello di riunire i resoconti sulla violenza e le violazioni dei diritti umani, creando al contempo una risorsa informativa sulla situazione in Grecia. La nostra analisi rivela che gli assalti subiti dai POM non sono incidenti isolati, ma piuttosto rientrano in un modello di crescente violenza esercitato dalle forze dell’ordine greche dal 2019.

È un processo sistemico, che coinvolge vari attori statali e non statali in tutta la Grecia. Attraverso la raccolta di testimonianze, BVNM ha coinvolto agenti di polizia locali e nazionali, la Guardia Costiera Ellenica, le forze militari, compagnie di sicurezza private e gruppi locali. Le località includono aree di transito, le isole greche, strutture statali e spazi pubblici.
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Contesto politico

Lungi dall’essere perfetta sotto il governo Syriza, la situazione dei migranti in Grecia si è notevolmente deteriorata con l’elezione del partito Nuova Democrazia a luglio 2019. Con il primo ministro Kyriakos Mitsotakis, che ha definito la migrazione una “minaccia asimmetrica“, è stata seguita un’agenda altamente securitaria e anti-immigrazione, creando un ambiente ostile per le comunità in transito. Se BVMN ha documentato a lungo le implicazioni di queste politiche al confine, questa relazione offre una nuova prospettiva dall’interno della Grecia.

Le politiche promosse includono il rafforzamento delle forze di polizia greche, con l’aggiunta di 2.000 agenti, e il lancio dell’”Operation Net” ad Atene, che vedrà circa 130 ufficiali armati, incongruamente soprannominati Black Panthers, pattugliare i trasporti nella capitale.

In Grecia è stato di recente registrato un aumento dell’uso eccessivo della forza e dei maltrattamenti da parte della polizia, colpevole di gravi percosse, arresti illegali e pratiche umilianti come quella di far spogliare e fotografare i detenuti. La recente ‘militarizzazione dello spazio pubblico‘, ha accompagnato la concentrazione di potere senza precedenti nelle mani del Ministero della Protezione Dei Cittadini, che sovrintende la polizia, e che nel mese di luglio ha assunto anche la guida del Ministero delle Migrazioni e del sistema penitenziario. Come dice il Nuovo Internazionalista, in Grecia sta emergendo uno “stato di polizia“.

È importante notare, tuttavia, che la violenza contro i POM è il risultato dell’azione dell’Unione europea (UE), che agisce secondo ciò che percepisce come proprio interesse personale. Dal 2015 l’UE ha utilizzato la Grecia come zona cuscinetto contro la migrazione indesiderata. Oltre a fornire 130 milioni di euro per i centri di detenzione sulle isole dell’Egeo, ha concesso alla Grecia l’accesso a oltre 700 milioni di euro per la gestione della migrazione. Il bilancio non chiarisce per cosa saranno spesi questi fondi.
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Nonostante ciò, il ruolo dell’UE nella violenza all’interno della Grecia è più una questione di pressioni e di omissioni sottili, piuttosto che di politiche dirette. Quando la Grecia, nel 2019, ha adottato una nuova legislazione, con la quale ha ampliato la detenzione in materia di asilo e ridotto le garanzie per i gruppi vulnerabili, l’UE è rimasta in silenzio. Quando sono emerse testimonianze che descrivevano condizioni terribili e violazioni dei diritti nelle strutture di detenzione e pre-rimozione, ha di nuovo taciuto. Ciò, nonostante le relazioni avessero evidenziato la violazione da parte dell’UE dei requisiti giuridici che prevedono che i richiedenti asilo abbiano un “adeguato tenore di vita che protegga la loro salute fisica e mentale“.

Di conseguenza, ci sono dubbi sul fatto che il “monitoraggio indipendente del rispetto dei diritti umani“, promesso nel Patto 2020 dell’UE sulla migrazione e l’asilo, venga effettivamente condotto.

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Caso studio individuale

Il costo umano della violenza è elevato. Il 25 settembre un uomo marocchino di 23 anni era seduto a cenare con due amici alla periferia di Kavala, in Grecia. Un’auto della polizia è arrivata, disperdendo il gruppo, e l’uomo è stato arrestato da tre agenti che hanno cominciato a picchiarlo con una raffica selvaggia di calci, pugni, e colpi con manganelli di metallo. Ha riportato una frattura al naso, gonfiore alla testa, stinchi fratturati su entrambe le gambe, abrasioni alle braccia e ha perso un dente anteriore. Mentre l’uomo era privo di sensi a terra, gli agenti hanno svuotato il contenuto della sua borsa in un fiume vicino. Conteneva il suo telefono, denaro, una powerbank, una giacca e una piccola quantità di cibo. Nonostante le condizioni, la polizia si è allontanata e l’uomo ha dovuto camminare per tre giorni verso Salonicco per cercare cibo e assistenza medica.

Il 39% dei casi potrebbe essere qualificato come crimine d’odio a causa del riferimento alla razza, etnia, religione o paese di origine della vittima durante il violento incidente.

Violenza in carcere – Keratea, Petrou Ralli, Paranesti

In questa relazione, BVMN ha esaminato diversi episodi di violenza all’interno di strutture statali, in particolare centri di detenzione, in Grecia. L’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo afferma esplicitamente che “nessuno deve essere sottoposto a torture o trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti“. Si tratta di un diritto assoluto, non derogabile (anche se l’individuo interessato è entrato illegalmente nel paese), e contiene l’obbligo positivo che le condizioni carcerarie siano coerenti con la dignità umana. Ciò viene ulteriormente sottolineato dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura (CPT), che richiede che la cella abbia una dimensione ragionevole, sia pulita, e in condizioni dignitose, e che venga fornito almeno un pasto decente.

Le relazioni raccolte da BVMN indicano che la realtà della detenzione in Grecia contravviene costantemente a tali obblighi. Il centro di detenzione di pre-respingimento di Paranesti (PRDF) a Drama, nel nord-est della Grecia, è notoriamente duro. Le testimonianze raccolte dalla Rete rivelano che le “percosse di massa” dei detenuti da parte della polizia, aggressioni individuali e condizioni deplorevoli, tra cui l’accesso insufficiente al cibo, sono all’ordine del giorno all’interno della struttura. Un intervistato ha riferito di essere stato ricoverato in ospedale 5 volte in 45 giorni a causa di violenti scontri con la polizia.

Il 15% degli individui che subiscono violenza all’interno dei confini greci sono minori

BVMN ha identificato modelli di violenza simili nel PRDF di Petrou Ralli vicino ad Atene, un focolaio di lunga data di violazioni dei diritti umani. Oltre a rompersi la spalla e la costola in un feroce pestaggio, un intervistato ha riferito che diversi agenti di polizia all’interno del campo hanno insultato la sua religione e nazionalità. In seguito, ha fatto ricorso all’autolesionismo a causa dell’esperienza traumatica.

In base al diritto nazionale e internazionale, tali atti costituiscono un crimine d’odio. Tuttavia, le prove suggeriscono che, a causa del razzismo istituzionale fortemente radicato in Grecia, le autorità non prendono sul serio le segnalazioni di crimini razzisti o non credono alle vittime di tali reati.

Altrove ad Atene, Are You Syrious (AYS) ha rivelato condizioni disumane presso la stazione di polizia di Keratea, dove i bisogni di base e i diritti umani, diritto all’acqua calda, letti, strutture igieniche, luce naturale, accesso al mondo esterno, cure mediche e supporto legale, sono stati negati. A seguito di uno sciopero della fame da parte di 12 detenuti per protestare contro il terribile stato delle cose all’interno di Keratea, AYS ha ricevuto una richiesta di aiuto e la richiesta del diritto a una vita dignitosa. Questi casi sono indicativi dei modelli più ampi di violenza di Stato descritti nella presente relazione.

Violenza dopo l’incendio di Moria

Gli incendi di settembre nel campo di Moria hanno attirato l’attenzione internazionale con immagini di tende in fiamme e migliaia di persone che dormivano per le strade.

Negli ultimi anni, Moria è diventata famosa per le condizioni di vita disumane, l’incuria sistemica e la violenza di Stato: un triste simbolo della politica di frontiera dell’Europa. Eppure, dopo l’incendio, la repressione punitiva della polizia si è unita a forme di violenza strutturale di lunga data per creare una situazione in cui le persone danneggiate dall’incendio sono state spogliate di tutte le opzioni e costrette in un nuovo campo temporaneo nella zona di Kara Tepe, nonostante le chiare richieste di evacuazione e libertà di movimento.

Nei mesi che hanno portato all’incendio, le tensioni a Lesbo sono aumentate per la costruzione di campi chiusi, la pandemia di COVID-19, il rapido deterioramento delle condizioni di vita a Moria e il fatto che 20.000 persone sono rimaste confinate in uno spazio originariamente costruito per 3.000.

Da febbraio, lo sforzo dello Stato di aprire i campi chiusi a Lesbo è stato accolto con forte opposizione dalla gente del posto, contraria ad avere migranti sull’isola. In primavera c’è stato un aumento della violenza contro i POM da parte di gruppi di vigilanti di estrema destra, che hanno istituito posti di blocco per fare controlli informali di identità, attaccato le barche dei migranti e persino sparato ai POM. Quando la pandemia di COVID-19 ha raggiunto la Grecia, Moria è stata posta sotto un blocco che è diventato praticamente permanente, durando molto tempo dopo la revoca delle restrizioni per il resto dell’isola.

La causa esatta dell’incendio è sconosciuta, nonostante sia girata la notizia che gruppi di estrema destra abbiano portato taniche di benzina per facilitare la diffusione delle fiamme. Ciò che è chiaro, tuttavia, è che coloro che fuggivano dall’incendio, e che nella maggior parte dei casi tentavano di raggiungere la capitale dell’isola Mytilini, sono stati fermati dalla polizia, che ha stabilito dei blocchi. Nelle strade più strette del villaggio di Moria, la gente del posto, insieme a noti fascisti, ha bloccato le strade.

Secondo gli intervistati di BVMN, questi gruppi, armati di bastoni, rocce, e spesso indossando passamontagna, hanno intimidito, molestato e persino attaccato i migranti che stavano tentando di sfuggire all’incendio.

La notte seguente sono scoppiati altri incendi, che hanno bruciato ciò che restava del campo. Il 10 settembre, quasi tutti i migranti che prima vivevano nel campo di Moria sono finiti a dormire per le strade e sulle colline tra Moria, Panagiouda e Karatepe.

Accerchiati dalla polizia con gas lacrimogeni e granate stordenti, non potevano proseguire. Diversi testimoni parlano di pesanti attacchi con gas lacrimogeni, a volte direttamente diretti alle gambe o alla testa delle persone, di POM aggrediti e picchiati con manganelli. Migliaia di persone sono rimaste intrappolate per più di una settimana senza accesso a cibo, riparo o acqua. Durante i primi giorni, i migranti hanno organizzato manifestazioni, chiedendo di essere lasciati liberi e di non essere inviati in un altro campo; richieste che sono state accolte con l’aumento di gas lacrimogeni e con detenzioni di massa.

L’esercito, originariamente incaricato della disposizione del cibo, ha deciso di non distribuirlo per paura di incitare una sommossa. Questa responsabilità è stata infine assegnata alle ONG precedentemente attive nel campo, ma solo dopo che i migranti erano rimasti senza generi di base per quattro giorni. In effetti, la risposta principale dello Stato è stata l’invio di nove contingenti di polizia antisommossa da Atene per “mantenere l’ordine pubblico“, di cannoni ad acqua e di un’unità anti-criminalità organizzata, la Direzione della sicurezza di Attika. Con una mossa ampiamente condannata come atto di femminilizzazione della sicurezza delle frontiere, 70 agenti di polizia donne sono state inviate ad “ammorbidirela situazione e “convincere” donne e bambini a trasferirsi nel nuovo campo. È stato impedito in diverse occasioni alle squadre mediche di incontrare i migranti che si trovavano tra i blocchi della polizia, e alle ambulanze è stato negato l’ingresso.

Il 18 settembre, ha avuto inizio un’operazione di polizia per spostare tutti i migranti in un nuovo campo temporaneo vicino a Kara Tepe. Le persone sono state minacciate dalla polizia; se non fossero andate al campo volontariamente, sarebbero state imprigionate o le loro domande di asilo sarebbero state bloccate.

Una caratteristica preoccupante della crisi di Lesbo è il comportamento dei gruppi di vigilanti. Nel contesto militarizzato imposto dal partito Nuova Democrazia, i gruppi di estrema destra, anti-migranti si sono moltiplicati in tutta la Grecia. Nel nord, gli abitanti dei villaggi vestiti di nero e con stivali pesanti, in modo simile alle forze speciali greche, hanno formato gruppi di vigilanti che ora pattugliano il confine di Evros “alla ricerca di migranti“.
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Considerate nel contesto di modelli più ampi di violenza strutturale da parte delle istituzioni statali, nonché di forme immediate di brutalità della polizia, tali reazioni locali nei confronti dei migranti segnano una significativa e notevole escalation della violenza diretta in Grecia.

Porto di Patrasso

Per decenni, i migranti hanno affrontato la brutalità delle autorità pubbliche e private di Patrasso, rischiando la vita cercando di salire su camion a bordo di traghetti diretti in Italia. Oggi, ci sono circa 200 migranti a Patrasso che vivono, o meglio sopravvivono, in condizioni deplorevoli, con accesso limitato all’assistenza umanitaria, in balia dei contrabbandieri e della politica.
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Tra la barriera a due blocchi che circonda il porto e le strutture portuali ad accesso limitato, le attività di pattugliamento sono svolte da ICTS Hellas, una società di sicurezza privata con dispiegamenti all’interno del porto da oltre 10 anni, e la polizia greca. Entrambi hanno ricevuto finanziamenti dall’UE dal 2015.

Al punto di ingresso dei passeggeri dove i veicoli si imbarcano sul traghetto, le autorità di frontiera e ICTS Hellas utilizzano unità cinofile e scanner per cercare i migranti. Interviste condotte da No Name Kitchen (NNK), rivelano la presenza di attori non identificati con uniformi mimetiche che lavorano al fianco di questi agenti.

Un’analisi del porto di Patrasso, delle località circostanti, e degli attori in gioco rivela una logica stratificata di violenza contro migranti, i cui movimenti sono brutalmente limitati.

I rapporti raccolti mostrano diversi livelli di violenza perpetrata da agenti di polizia locale, autorità di frontiera e personale dell’ICTS Hellas. Il primo, più immediato, livello di violenza è in gran parte “reattivo” e si verifica nel momento in cui gli individui entrano nello spazio portuale.

I migranti sono sottoposti ad abusi fisici e psicologici, sotto forma di insulti alla loro cultura, sputi, calci, pestaggi, distruzione di telefoni cellulari, minacce di deportazione forzata e attacchi da parte dei cani. Inoltre, può succedere che i migranti siano trattenuti per giorni in celle non ufficiali all’interno dell’area del porto.

L’area tra le fabbriche adiacenti e il porto ospita il secondo livello di violenza. Ci sono tre strade e due barriere che separano il porto dalle fabbriche.
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Questa zona è meticolosamente perquisita da pattuglie di polizia e moto che inseguono coloro che cercano di entrare nel porto. All’interno di queste fabbriche si verifica il terzo livello di violenza. Questo riguarda l’invasione della sfera privata dei migranti a Patrasso, con agenti di polizia riuniti intorno agli alloggi e incursioni inaspettate, spesso di notte.

Durante questi episodi gli agenti svegliano i migranti, li picchiano, fanno perquisizioni, distruggono gli effetti personali ed effettuano arresti, come testimoniano le interviste fatte da NNK alle vittime. Riluttanti o incapaci di tornare indietro e impossibilitati a proseguire, i migranti sono intrappolati nella violenza di Patrasso. Questa situazione è tutt’altro che nuova, ma il fatto che una violenza così evidente e totale vada avanti è sintomatico della violenza presente all’interno dell’intero Stato greco.

L’aggressione diretta e fisica contro i migranti e le loro immediate necessità continua indisturbata, e addirittura si intensifica sulla scia dell’ambiente ostile creato da Mitsotakis. Eppure l’UE chiude gli occhi mentre i confini esterni vengono fortificati e rimangono ostili.
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Border Violence Monitoring Network (BVMN)

Border Violence Monitoring Network (BVMN) è una rete indipendente di ONG e associazioni con sede nella regione dei Balcani e in Grecia. BVMN monitora le violazioni dei diritti umani ai confini esterni dell'UE e si impegna per mettere fine ai respingimenti e alle pratiche illegali. Il network utilizza un database condiviso per raccogliere le testimonianze delle violenze subite da chi transita sulla rotta dei Balcani.
In questa pagina trovate le traduzioni integrali dei rapporti mensili curati da BVMN.