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Camp Lipa brucia e si aggrava la crisi umanitaria sulla rotta balcanica

Le fiamme che hanno avvolto il campo: un altro segnale del fallimento delle politiche europee

Le prime informazioni riguardo all’incendio scoppiato nel campo di Lipa (cantone di Una Sana, Bosnia-Erzegovina) risalgono alla mattina del 23 dicembre.
Le testate giornalistiche locali e internazionali hanno riportato che le fiamme hanno cominciato a diffondersi subito dopo che gli ultimi migranti stavano finendo di abbandonare il campo. Sembrerebbe che nessuno dei residenti e del personale sia risultato ferito.

Fin dallo scoppio dell’incendio si sono rincorse voci contrastanti sulle responsabilità.
Peter Van der Auweraert, direttore dell’IOM per la Bosnia-Erzegovina, ha affermato su Twitter che le fiamme sono state appiccate da un gruppo di ex-residenti:

Disaster upon disaster in #Lipa #Bihac #BiH – as far as we know now a group of former residents put three tents and containers on fire after most of the migrants had left the camp. Luckily no casualties to our knowledge at this point but disaster nevertheless”.

Anche alcuni giornali locali riportano che l’incendio, scoppiato in un’area in cui erano presenti generatori di corrente ed attrezzature elettriche, abbia avuto un’origine dolosa.
I vari testimoni sul luogo, tra cui No Name Kitchen, riportano che le fiamme hanno cominciato a divampare subito dopo che erano iniziate le operazioni di sgombero della struttura.

Nei giorni precedenti infatti il dibattito sul destino del Campo di Lipa era stato serrato, con l’IOM, il governo cantonale e quello centrale che si rimpallavano la responsabilità riguardo la messa a norma del sito. Ricordiamo infatti che Lipa era stata istituita in seguito allo sgombero della jungle di Vucjack e ulteriormente “riempita” di persone in transito in seguito all’istituzione del lockdown nei campi, durante la prima ondata di Covid-19.
L’IOM aveva più volte espresso preoccupazione per le condizioni di vita dei residenti, mentre le autorità bosniache affermavano la loro incapacità economica di fronte alla gestione delle migliaia di persone presenti in Bosnia-Erzegovina.

Al momento una delle opzioni ventilate dal ministro della sicurezza parrebbe essere la riapertura momentanea del campo di Bira, nella periferia della città di Bihać, per impedire alle circa mille persone di disperdersi nei boschi e negli alloggi di fortuna lungo il confine. Dichiarazioni che non tengono conto della recente ostilità delle autorità e della popolazione locale nei confronti di questa possibilità. Ostilità che, in alcuni casi, si è trasformata in una vera e propria conflittualità, come riportato dalla stampa locale e denunciato dalle attivist*.

Altre testimonianze raccolte in loco da Sos Balkan Route raccontano che molti migranti si starebbero dirigendo al camp Bira, ma che sarebbero stati fermati dalla polizia nel nulla.

In questo momento quello che appare certo è che molte persone migranti andranno ad aggiungersi alle migliaia di coloro che già si trovano al di fuori dei siti ufficiali, patendo il rigore dell’inverno, le violenze e gli abusi delle polizie di frontiera nel tentativo di attraversare il confine mettendo in pratica il loro “diritto di fuga”.

L’incendio nel campo di Lipa, così come quello di Moria a Lesvos dimostrano sempre di più la totale inadeguatezza delle politiche migratorie dell’UE che, militarizzando ed esternalizzando i confini dell’Unione, provocano queste crisi umanitarie.

Come infatti riporta la dichiarazione della Commissione europea del 30 novembre 2020, il libero movimento all’interno degli Stati membri viene presentato come un valore imprescindibile, al quale molto può essere sacrificato. Fondamentale infatti appare il nuovo patto europeo sulla migrazione e l’asilo, nel quale si opta senza alcun tentennamento al rafforzamento delle guardie costiere e di frontiera, a partire da Frontex senza che venga fatta alcuna menzione degli abusi compiuti nel Mediterraneo o lungo la rotta balcanica.
E’ forse il tanto decantato stile di vita europeo a fornire l’alibi per le nefandezze che si compiono nelle zone di frontiera?
L’unica soluzione presentata agli occhi dei cittadini europei appare per quello che è: un maggior controllo securitario (collaborazione e aumento dell’azione delle varie polizie, le torture croate inflitte ai profughi fanno scuola) per difendersi da chi non possiede niente.

Fino a che non avverrà quindi un cambiamento radicale delle policy sulle migrazioni non possiamo che dichiararci complici delle persone in transito, che tentano di oltrepassare i confini con ogni mezzo necessario, destreggiandosi tra abusi di polizia e strumentalizzazioni politiche.

#Lesvoscalling

Una campagna solidale per la libertà di movimento
Dopo il viaggio conoscitivo a ottobre 2019 a Lesvos e sulla Balkan route, per documentare e raccontare la drammatica situazione sull'isola hotspot greca e conoscere attivisti/e e volontari/e che si adoperano a sostegno delle persone migranti, è iniziata una campagna solidale lungo la rotta balcanica e le "isole confino" del mar Egeo.
Questa pagina raccoglie tutti gli articoli e il testo di promozione della campagna.
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