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Condannato un peschereccio per la strage del 3 ottobre 2013

Oggi, dopo sette anni, il Mediterraneo è ancora un cimitero di invisibili

Sono trascorsi sette anni dal 3 ottobre 2013. Al largo di Lampedusa, a 800 metri dall’isola dei Conigli, quel giorno morirono 368 persone. Oggi per quei soccorsi negati sono stati condannati sette componenti dell’equipaggio del peschereccio “Aristeus“, accusati di non essersi fermati a soccorrere l’imbarcazione che stava affondando. A bordo c’erano 500 migranti. La maggior parte eritrei, in fuga dal proprio Paese.

È stato grazie alle testimonianze dei sopravvissuti che la magistratura ha potuto ricostruire quando accaduto. Chi è stato tratto in salvo ha raccontato di avere visto passare un peschereccio che, nonostante i segnali di allarme, non si è fermato e non ha avvertito le autorità marittime. Donne, uomini, bambini sono stati abbandonati in mezzo al mare.

Quelle vittime, quei corpi senza vita, sono diventati il simbolo di una crisi che le istituzioni europee e italiane non hanno potuto più ignorare. Dal 2016 il 3 ottobre è diventata è la “Giornata della memoria e dell’accoglienza”. Fu in seguito a quella strage che venne creata l’operazione Mare Nostrum. Ma oggi, dopo sette anni, il Mediterraneo è ancora un cimitero di invisibili. Naufraghi senza nome, che quando non perdono la vita in mare, vengono riportati dalle stesse autorità europee nell’inferno dei centri di detenzione libici.

Il 3 ottobre di due anni fa Mediterranea Saving Humans ha preso il mare per quelle 368 vittime: per dare un volto, una voce e una possibilità a chi cerca salvezza. E per salvarci anche noi, dall’essere spettatori obbedienti e addomesticati alla logica dell’odio e dell’indifferenza. Oggi, come due anni fa, siamo ancora qui per testimoniare e raccontare cosa succede a poche miglia dalle nostre coste. Per soccorrere chi attraversa il Mediterraneo centrale. Per smuovere le coscienze di chi, dopo sette anni, continua a far finta di non vedere.