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Il nuovo patto UE sulla migrazione e l’asilo: cambiare tutto perché nulla cambi

Un'analisi degli aspetti principali che emergono dal Patto

Proteste sull'isola di Lesvos (2020)

Prima di valutare l’impatto politico e pratico e le novità che potranno essere introdotte grazie ai documenti programmatici, una serie di raccomandazioni e proposte di regolamenti promossi dalla Commissione Europea, è bene fare un breve excursus di alcuni dei principali avvenimenti politici e di cronaca che hanno influenzato il diritto migratorio dell’UE degli ultimi anni.

Nel settembre scorso uno spaventoso incendio ha distrutto in gran parte il campo profughi di Moria, il più grande in Europa, situato sull’isola greca di Lesbo, dove risiedevano in condizioni ai limiti dell’umano quasi 13.000 richiedenti asilo, a fronte di un hotspot pensato per accogliere al massimo 3.100 persone.

La situazione drammatica del campo/baraccopoli costruito nel 2015 era da tempo nota: alle proibitive condizioni abitative e igienico sanitarie si sommavano le violazioni dei diritti umani fondamentali, in particolare dei soggetti più vulnerabili e dei minori bloccati all’interno del campo per mesi e persino anni in attesa che la loro domanda di asilo venisse esaminata, in molti casi senza assistenza medica e psicologica se non quella, minima visti i mezzi inadeguati, offerta da ONG e organizzazioni del terzo settore insieme all’UNHCR.

L’hotpost di Moria era nato nel contesto dell’Agenda europea sulle migrazioni che prevedeva che i migranti provenienti via mare dalla Turchia vi rimanessero per breve tempo in attesa di essere ricollocati in altri stati membri dell’Unione tramite delle quote di ricollocamento obbligatorie.

Tale sistema prevedeva varie riforme del Sistema Comune Europeo sull’Asilo in buona parte non applicate e che purtroppo è stato sospeso nel 2017, e ciò ha trasformato le isole greche in vere e proprie prigioni diventate simbolo del fallimento delle politiche migratorie europee e del loro parallelo inasprimento. Si è giunti così al rafforzamento sempre maggiore delle frontiere esterne, alla collaborazione e finanziamento dei paesi mediterranei limitrofi, in quanto luoghi di partenza e di transito dei migranti, per controllare e impedire i flussi.

Tale linea di azione può essere sintetizzata nell’Accordo UE-Turchia del 2016 secondo il quale, tramite un cospicuo finanziamento, la Turchia si impegnava a incrementare fortemente i controlli alle proprie frontiere per evitare le partenze e diminuire così i flussi migratori.

Allo stesso tempo, il governo di Ankara si dichiarava disponibile a “riprendere” i migranti giunti irregolarmente sul suolo greco, impegnandosi a fare una selezione sul territorio turco dei richiedenti asilo, in particolare dei profughi siriani, che sarebbero stati in un secondo tempo, in una sorta di scambio, ricollocati in UE in quanto non rei di un tentativo di immigrazione irregolare.

I rischi legati all’apparente, e non infondata, violazione del diritto di asilo, dei diritti fondamentali protetti dall’UE, nonché del diritto internazionale per la tutela dei diritti umani non sono stati esaminati dalla Corte di Giustizia Europea in quanto si tratterebbe di un accordo concluso dai singoli stati membri e non dall’Unione Europea, non rientrando quindi nella giurisdizione e competenza della Corte.

L’esplosione della situazione già a rischio collasso è avvenuta nel contesto della pandemia che aveva portato a indire un lockdown molto severo nel campo profughi di Moria, riducendo ulteriormente i margini di libertà e movimento dei migranti.
Benché a seguito dell’accaduto la Francia e la Germania abbiano accolto 400 minori non accompagnati salvati dall’inferno del campo e la Germania abbia dichiarato la prossima accoglienza di 1.533 profughi presenti nei campi greci, l’Unione Europea si è limitata a promettere lo stanziamento di fondi europei per la costruzione di un nuovo campo. Questa dichiarazione è risultata come una punizione per la popolazione migrante del campo già vulnerabile e fortemente provata dalle condizioni di emergenza, precarietà e privazioni affrontate e alla quale non è stata fornita direttamente assistenza né aiuti materiali né dal governo greco né dall’UE.

In un certo qual modo quindi non hanno sorpreso le dichiarazioni della commissaria UE Ursula von der Leyen che a metà settembre ha annunciato l’accelerazione dei lavori della Commissione per l’adozione di un nuovo patto europeo sull’immigrazione, in lavorazione da oltre un anno. In particolare, la commissaria ha annunciato il superamento e abolizione del c.d. regolamento di Dublino che era nato dall’accordo internazionale di natura intergorvernativa tra dodici stati europei. L’accordo era stato trasformato in un Regolamento UE applicabile a tutti gli stati membri con esclusione della Danimarca con i c.d. regolamenti di Dublino II del 2003 e di Dublino III del 2013 e l’introduzione di un nuovo meccanismo di solidarietà effettiva tra gli stati membri.

Il 23 settembre è stato presentato il pacchetto di documenti che costituisce il “New Pact on Migration and Asylum” rappresentato da una comunicazione di carattere generale della Commissione accompagnata da una tabella di marcia degli impegni; da cinque proposte di regolamento che modificano quelli già esistenti facenti parte del CEAS (Common European Asylum System) e ne introducono di nuovi, riguardanti i controlli alle frontiere esterne dei cittadini stranieri non adempienti alle condizioni di ingresso nell’UE o salvati in una operazione SAR nelle acque europee; le procedure di asilo; la banca dati Eurodac; la gestione di situazioni di crisi e di forza maggiore causate da pressioni migratorie ingenti.

Data la mole e complessità dei documenti e il fatto che possano essere giudicati solo a livello teorico non sapendo quali saranno gli esiti pragmatici di tali eventuali riforme e innovazioni legislative è arduo fare un’analisi approfondita e oggettiva. Ciò è reso ancora più complesso dal fatto che il documento e le proposte elaborate dalla Commissione dovranno passare ed essere discusse sia in sede di Consiglio dell’UE che di Parlamento Europeo.

È quindi altamente probabile che, come per l’Agenda europea sulle migrazioni del 2015, i governi dei paesi membri, in particolare quelli del gruppo Visegrád, puntino a rendere le proposte della Commissione ancora più restrittive nei confronti dei flussi di richiedenti asilo e soprattutto puntino a renderle più flessibili e meno vincolanti possibili a tutela dei propri interessi e tendenze politiche nazionali. D’altro canto, c’è da aspettarsi che il Parlamento Europeo si esprima con forza perché venga garantito il rispetto del diritto d’asilo e dei diritti fondamentali di tutti i richiedenti e migranti.

Ciò detto, è comunque opportuno soffermarsi sugli aspetti principali che emergono dal Patto oggetto di questo scritto, riflettendo su quelle che sono le continuità e quali gli elementi apparentemente di rottura rispetto al passato.

In primo luogo, risulta del tutto evidente che ancora una volta la massima istituzione dell’Unione rinuncia ad affrontare quello che sarebbe il tema principale per risolvere in gran parte i risvolti più drammatici legati ai flussi migratori diretti verso l’Europa, ovvero l’ampliamento di canali di migrazione legale in particolare per motivi legati alla ricerca lavoro e al lavoro.

È intuitivo affermare che canali di ingresso regolare, regolamentati a livello europeo, non costringerebbero decine di migliaia di persone a scegliere come unica opzione attuabile la migrazione irregolare, con i rischi e la sofferenza che viaggi di tale genere comportano. Infatti, per questa ragione anche i c.d. migranti economici che raggiungono in maniera irregolare le coste europee si dichiarano richiedenti asilo pur sapendo che quasi sicuramente la loro domanda verrà respinta, in quanto solo i ricongiungimenti familiari e pochi altri canali tra cui i motivi di studio permettono, non senza vincoli e severi criteri da rispettare, una migrazione legale nell’UE a cittadini stranieri non europei.

Oltre a non menzionare questo fondamentale aspetto, il nuovo Patto punta a rafforzare ulteriormente le frontiere esterne, aumentando i finanziamenti all’agenzia Frontex, aumentare in larga misura i rimpatri e rafforzare la cooperazione tramite finanziamenti e condizionalità con i paesi terzi di origine e transito per evitare in ogni modo che i migranti partano e raggiungano l’Europa.

A questo proposito, la vice commissaria UE Margaritis Schias ha descritto questo nuovo approccio usando la metafora di un edificio a tre piani: al primo piano si trova la dimensione esterna rafforzata tramite gli accordi coi paesi di partenza; al secondo si trova la gestione e difesa delle frontiere esterne in particolare tramite Frontex; all’ultimo piano si ha il sistema di solidarietà tra stati membri rispetto alla sorte dei pochi profughi che nonostante questa dedalo denso di ostacoli riescono a raggiungere l’Europa e di cui parleremo meglio tra poco.

Va messo in luce come non venga minimamente nascosto che l’obiettivo finale è impedire ai cittadini stranieri di raggiungere le coste europee, di fatto mantenendo la fama di una Fortezza Europa.

Inoltre, si sottolinea con forza la logica della lotta all’immigrazione irregolare e al traffico di migranti pur nella consapevolezza del rischio di alimentare la tendenza manifestata da diversi stati membri a criminalizzare le operazioni umanitarie di soccorso in mare di migranti in difficoltà effettuate da privati e ONG. Infatti, la Commissione tenta in parte di ammorbidire questo approccio mettendo in evidenza come le operazioni di soccorso in mare non debbano essere considerate foriere di immigrazione irregolare e siano tutelate dal diritto del mare e dal diritto internazionale.

Nonostante questo, la logica securitaria e di chiusura di fondo sebbene con qualche modifica non appare mutata. A conferma di questa interpretazione, si propone l’introduzione di iter accelerati di pre-ingresso alle frontiere esterne per rendere più efficaci e immediati i rimpatri per stabilire se le persone straniere, sbarcate dopo un’operazione di soccorso o presenti ai confini esterni senza i requisiti necessari all’ingresso, possano presentare domanda di asilo nel paese membro di arrivo, in quanto bona fide asylum seekers, o debbano immediatamente essere rimpatriati in quanto non rientrando nei criteri perché la loro domanda possa essere valutata. È in questo contesto che si parla di superamento di Dublino e di solidarietà “permanente ed effettiva” tra stati membri.

In realtà, il sistema Dublino rimane però nella sostanza dato che i criteri per stabilire lo stato competente a esaminare la domanda di asilo e accogliere il richiedente durante il disbrigo della pratica sono mantenuti nel nuovo regolamento sulla gestione della migrazione e l’asilo. Ciò che cambia è l’introduzione del già menzionato screening di pre-accesso che dovrebbe permettere a un numero nettamente inferiore di persone di permanere sul territorio dello stato di sbarco o arrivo presentando effettivamente domanda di asilo.

Per quanto riguarda invece il nuovo meccanismo di solidarietà è necessario notare come si muta sostanzialmente il concetto di solidarietà in quanto oltre alla ricollocazione dei richiedenti asilo, e potenzialmente in un secondo tempo di coloro che ottengono lo status di rifugiato, gli stati membri possono optare per il finanziamento dei rimpatri di coloro giudicati irregolari dalla procedura di pre-ingresso.

Lo stato membro che non accetterà volontariamente il ricollocamento dei richiedenti asilo recentemente arrivati in Europa potrà quindi dimostrare la propria responsabilità fornendo una sponsorship ai rimpatri e aiutando in questo modo i paesi membri di primo arrivo. Questa sponsorship sarà molto elastica e potrà attuarsi in forma di finanziamento al rimpatrio, dialogo col paese terzo verso cui il migrante irregolare verrà inviato, e presa in carica diretta del rimpatrio stesso.

Anche l’effettiva obbligatorietà di questi impegni andrà valutata nel momento specifico in quanto perché gli Stati Membri vengano chiamati in causa a sostegno del paese membro costiero meta di arrivo di migranti, la Commissione dovrà stabilire che il sistema nazionale in questione sia effettivamente sotto pressione migratoria o a rischio. In aggiunta, la stessa Commissione dovrà definire l’impegno che dovranno assumere gli stati membri stabilendolo in base a PIL e popolazione del singolo paese, concedendo un tempo abbastanza lungo perché gli altri stati entrino in azione.

Per di più, in occasione di circostanze di forza maggiore, si prevede la “legalizzazione” di azioni di deroga alla direttiva sull’asilo. In pratica lo stato che dovesse fronteggiare un alto arrivo di migranti avrà la possibilità di sospendere fino a un mese le procedure per la registrazione delle domande di asilo. Di fatto si creerà una situazione di accettabilità e legalità di realtà che già vengono messe in pratica in Grecia, in Italia e in Spagna e che violano il diritto internazionale, i diritti umani e l’ordinamento costituzionale di molte nazioni che tutelano il diritto di asilo. Ciò inoltre presumibilmente darà adito a ulteriori violazioni di diritti fondamentali garantendo più arbitrarietà e impunità per esempio in occasione della detenzione dei richiedenti asilo.

Innanzitutto, si evince come molte di queste proposte in modo palese o potenziale si scontrino col diritto internazionale, con le convenzioni a tutela dei diritti umani, nonché con lo stesso acquìs dell’Unione in particolare coi suoi Trattati fondativi e con la Carta dei Diritti Fondamentali. La cooperazione con paesi terzi per contrastare l’arrivo dei migranti avverrà continuando a non tenere conto del fatto che tali paesi non possono essere considerati sicuri, e soprattutto evitando del tutto di considerare che in molti casi si tratta di regimi dittatoriali dove i diritti umani vengono regolarmente violati, in modo ancora più sistematico quando si tratta di migranti, una categoria fortemente vulnerabile.

Anche il finanziamento di Frontex avviene senza il minimo cenno alle varie inchieste giornalistiche e avviate da eurodeputati e ONG rispetto alla denuncia di azioni di respingimento illegittimo di imbarcazioni di migranti verso la Libia. Nonostante si sappia o si sospetti la collaborazione dell’agenzia Frontex con la c.d. Guardia Costiera Libica si sceglie di ignorare la cosa forse nella consapevolezza che la mission di quest’ultima è il controllo delle frontiere e non il soccorso di esseri umani in difficoltà.
Per quanto riguarda la “selezione” dei migranti operata al momento del c.d. pre-ingressso i rischi di violazioni del diritto e delle garanzie procedurali al momento della domanda nonché dello stesso diritto a presentare domanda di asilo ai danni dei migranti sono lampanti. La velocizzazione e maggior efficienza di questo iter non potrà che trasformarsi in esami più superficiali e frettolosi non tenendo in conto le circostanze individuali di ogni singolo caso e soprattutto portando a più rimpatri coatti, non dando da un lato la possibilità di ricorso effettivo e dall’altro non garantendo appieno il rispetto da parte dell’Ue e dei suoi stati membri del principio di non-refoulment.

Paradossalmente, se anche si dovesse raggiungere una maggiore cooperazione e “solidarietà” sulle politiche migratorie tra stati europei, un esito in ogni caso poco probabile visto che l’Ue non è una federazione di stati e i governi dei 27 stati membri in sede di Consiglio possono fare arenare o svuotare in buona parte le proposte della Commissione, essa si tratterebbe di una collaborazione basata su una logica securitaria e repressiva nei confronti dei flussi migratori.

È a dir poco triste per chi crede nei principi fondativi del progetto europeo e nei valori dell’Unione vedere come il processo di integrazione europeo, l’impegno da parte degli stati membri a contribuire economicamente, operativamente e cooperare come un gruppo di stati retti da valori e obiettivi comuni, possa concretizzarsi solamente in misura di sicurezza e di chiusura quando si tratta del tema migratorio, quasi riducendo a questi aspetti tutta la complessità del fenomeno delle migrazioni.

Di fatto, i singoli stati membri sono sempre stati gelosi della propria sovranità rispetto alle politiche migratorie e nel tempo hanno accettato di rinunciare alla gestione nazionale di alcuni specifici aspetti di esse perché venissero affrontate a livello comunitario solo nella misura in cui esse avevano un’impronta di protezione e chiusura rispetto agli arrivi di flussi di stranieri indesiderati.

Per concludere, i cittadini stranieri migranti e immigrati, i richiedenti asilo e rifugiati bloccati nei campi come quello di Moira, sono ancora una volta i grandi assenti di questo ampio dibattito e concertazione europea; essi sono invisibili considerati spesso soggetti passivi eppure protagonisti a tutto tondo in prima persona dell’azione migratoria, vivendo nel quotidiano gli effetti deteriori di queste politiche che a livello nazionale sfociano in discriminazione, esclusione, mancanza di opportunità, disuguaglianze, finanche vero e proprio razzismo.

Per queste persone le modifiche legislative, i programmi politici di cui abbiamo finora parlato non cambieranno la situazione di precarietà e sofferenza e mancanza di giustizia in cui vivono. Anche se il Nuovo Patto sull’Immigrazione dovesse vedere la luce nella forma attuale esso non muterà la loro realtà e soprattutto non affronterà le problematiche legate alle migrazioni internazionali partendo da misure che mettano al centro diritto europeo e i diritti fondamentali.

Viene pertanto da chiedersi per quanto l’Europa, fondata su democrazia e tutela dei diritti, e tutti noi assisteremo in maniera sempre più ipocrita alla morte di esseri umani in mare, alla violazione di diritti essenziali in campi detentivi alle sponde di casa nostra prima che ci possiamo sentire realmente colpevoli e responsabili e agiamo concretamente per invertire la rotta di questa linea politica.


Fonti:

Il patto europeo sulla migrazione e l’asilo: “C’è qualcosa di nuovo, anzi d’antico”, Asgi
Rafforzare la fiducia grazie a procedure migliori e più efficaci, Commissione Europea
https://eur-lex.europa.eu/legalcontent/EN/TXT/?qid=1601291190831&uri=COM%3A2020%3A612%3AFIN
Commission Guidance on the implementation of EU rules on definition and prevention of the facilitation of unauthorised entry, transit and residence, Commissione Europea
Perché il regolamento di Dublino è un problema, Il Post
Che cos’è il patto europeo sull’immigrazione e l’asilo, Internazionale
Moria brucia, mai più Moria, Melting Pot
Cronache da Lesbo, dove l’Europa fallisce ancora una volta, Melting Pot

Cecilia Claudia Poli

Sono laureata in Mediazione Linguistica e Culturale, specializzata  in Studi Internazionali- Governance delle Migrazioni con una tesi sul rapporto tra la Sinistra e la presenza straniera in Italia. Scrivo e mi interesso per passione accademica e personale di diritti umani, politica internazionale e questioni sociali. Oltre a molti viaggi, ho svolto periodi di studio e lavoro all'estero che mi hanno permesso scoprire la bellezza e ricchezza che nascondono “il diverso da noi”.