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Protezione umanitaria: in Nigeria il sistema sanitario non è in grado di affrontare l’emergenza da Covid-19 e garantire l’effettivo diritto alla salute

Tribunale di Bari, decreto del 26 ottobre 2020

Una pronuncia innovativa in favore di un giovane cittadino nigeriano a cui è stato riconosciuto il permesso per motivi umanitari per i seguenti motivi:

Sulla base di quanto emerge dalle risultanze istruttorie, il ricorrente, privo del padre deceduto, ha intrapreso il percorso migratorio quando era ancora giovanissimo, attraversando il Niger e la Libia, dove sfruttato dal suo datore di lavoro raggiungeva l’Italia imbarcandosi, unitamente ad altri migranti impegnati, nel medesimo “viaggio”.
In Italia ha partecipato attivamente a tutte le iniziative formative, frequentando corsi per l’apprendimento della lingua italiana e iniziando a lavorare.
Integrazione lavorativa comprovata dalle comunicazione UNILAV allegate e dalle numerose buste paga che attesta lo svolgimento concreto di attività lavorativa per periodo apprezzabile di tempo svolta anche durante gli ultimi mesi in cui difficile risulta detto inserimento.
Pur dovendosi evidenziare che l’integrazione lavorativa non sia ex se sufficiente per far ritenere sussistente un diritto alla protezione umanitaria, essendo invece necessario effettuare una valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza (Sez. U, Sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062 – 02), deve ritenersi che proprio sotto il profilo comparativo il ricorrente, sulla base di quanto non risulta sconfessato dalla Commissione territoriale, era eminentemente impiegati quale panettiere e, partito dalla Nigeria ancora minorenne, ha descritto una vita di stenti economici ed affettivi.

Nel corso del giudizio, segnatamente nelle conclusioni rassegnate a verbale in occasione della udienza del 19 ottobre 2020, il ricorrente ha rappresentato il pericolo per la propria salute in ipotesi di rimpatrio in considerazione dell’attuale emergenza connessa alla pandemia da COVID-19. I presupposti della protezione umanitaria, invero, possono essere individuati in situazioni soggettive del richiedente (ad esempio, gravi condizioni di salute incompatibili con il ritorno nel Paese d’origine, ovvero ancora la sussistenza di patologie non curabili nel proprio Paese) ovvero in situazioni generalizzate del Paese di origine non già di natura socio-politica ma alimentare (ad esempio, situazioni di carestia o grave emergenza alimentare che rendano altamente probabile che il richiedente, tornato nel proprio paese, muoia per fame) e/o sanitaria (ad esempio, la diffusione di epidemie non controllabili in un determinato Paese, cosicché la semplice permanenza del richiedente nel suo Paese determinerebbe, per lui, il rischio di contrarre la malattia) e/o ambientale (ad esempio, cataclismi naturali che abbiano sconvolto l’intero territorio statale e lasciato la popolazione senza abitazione e sostentamento alimentare)“.

Il Tribunale ha poi specificato la situazione in Nigeria “ Stato in cui il sistema sanitario non riesce ad assicurare una copertura nei confronti della generalità dei cittadini, la situazione connessa alla diffusione del COVID-19 è in crescente ascesa e, nonostante inizino a prevedersi misure di allentamento rispetto a quelle più severe disposte nel mese di marzo del 2020, a partire dal 2 giugno 2020, sono state previste stringenti limitazioni per mezzo del divieto di uscire da casa con “coprifuoco” onde attenuare la diffusione del virus. Il governo ha allentato le restrizioni il 30 giugno 2020 permettendo viaggi internazionali (Premium Times, 16 july 2020). I voli interni sono ripresi una settimana dopo, al contempo consentendo ad alcuni alunni di tornare a scuola e nei luoghi di culto. Seppur ridotto è ancora in atto il coprifuoco nazionale dalle 22 alle 4 del mattino, e le restrizioni sulle riunioni di massa e le attività sportive rimangono in vigore. Anche l’uso di maschere negli spazi pubblici è obbligatorio. Dall’esame delle fonti internazionali accreditate e da testate giornalistiche internazionali che monitorano anche sulla base delle comunicazioni ufficiali dei vari governi che la Nigeria, al 14 ottobre 2020, ha ormai raggiunto i 60.655 casi di contagi COVID (dalla consultazione del sito www.worldmeters.info/coronavirus/), tanto che la Nazione si colloca, per numero di casi, subito dopo il Sud Africa e l’Egitto.
Numerosi però sono i segnali, evidenziati dalla stampa internazionale, che portano a ritenere come questi dati, anche per il numero limitato di tamponi svolti su circa duecento milioni di cittadini nigeriani, siano notevolmente sottostimati, mentre i focolai risultano ormai diffusi su tutto il territorio nazionale; certamente più grave, per numero di casi, risulta la situazione in atto nelle grandi città, quale è quella di Benin City da cui proviene il ricorrente, dove le insolite morti venivano inizialmente attribuite a differenti cause, solo successivamente ricondotte alla diffusione del virus.
Inadeguate risultano, inoltre, le risorse a disposizione dei sanitari per poter fronteggiare l’attuale situazione ormai fuori controllo per la mancanza di dispositivi di protezione individuale e l’assenza di sanificazione delle strutture ospedaliere, tanto che numerosissimi medici, come tecnici di laboratorio ed infermieri, similmente a avvenuto in Italia, sono stati contagiati.
Da quanto sopra esposto risulta, pertanto, evidente come il ricorrente, qualora ricondotto nel paese di provenienza, sarebbe esposto all’attuale pandemia che ha interessato anche la Nigeria; concreto pericolo di contagio e conseguente compromissione del diritto alla salute che non potrebbe essere adeguatamente tutelato da quelle strutture sanitarie al contrario di quanto invece possibile grazie al servizio sanitario nazionale qualora permanesse in Italia.

Tenuto conto della complessiva vicenda personale del drammatico vissuto del ricorrente, non ultimo la migrazione da minorenne, il transito in Libia ed il viaggio in mare aperto che lo ha visto assistere alla morte di altro soggetto, deve ritenersi la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria “.

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Tribunale di Bari, decreto del 26 ottobre 2020