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Unsafe conditions: detenzioni, frontiere e politiche dell’Unione europea

Il rapporto di MigrEurop sui luoghi di detenzione in Italia, Spagna, Grecia e Germania

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Il rapporto di Migreurop parla chiaro: è in corso un’ulteriore inasprimento delle espulsioni da parte dei paesi membri UE osservati nei confronti delle persone migranti. Non solo. Il nuovo Patto europeo sulla migrazione e l’asilo legalizza alcune pratiche che erano già prassi da tempo. Quindi le rende “giuste”, applicabili, difficili ora da scardinare. Migreurop da tempo afferma e denuncia il regime di migrazione e di governance delle frontiere applicato dall’Unione Europea.

Questo sistema prevede il ruolo cruciale dei paesi di prima accoglienza che svolgono una funzione di filtraggio delle persone migranti, in modo tale da non farle raggiungere i paesi Ue continentali. Questi ultimi, invece, adottano politiche sofisticate di espulsione verso i paesi d’origine oppure verso i paesi di transito. La Germania nello studio ne è un esempio. Non ultimo, la doppia pratica della detenzione ed espulsione contiene in sé il ruolo cardine del sistema.

Dunque, obiettivo è espellere, il più possibile fuori da sé, gli indesiderati. Come farlo?

Nell’aumentare la possibilità di espellere chi migra, attraverso nuove leggi, nuove motivazioni, nuovi strumenti legali/legalizzati. È ciò che hanno riscontrato le/gli studios* e attivist* di Migreurop analizzando il ricorso alla detenzione amministrativa dei/delle stranier* durante l’anno 2019 in tre paesi di prima accoglienza (Italia, Spagna, Grecia) e non (Germania).

Il rapporto delinea i quadri giuridici in materia di migrazione dei quattro paesi e, attraverso dati, numeri e immagini, permette di avere una panoramica dei singoli paesi e delle politiche europee in ambito di migrazione. Nonostante l’eterogeneità della storia del sistema detentivo nei singoli paesi studiati, appare comune la finalità collettiva da raggiungere: detenere ed espellere quanto possibile.

Vediamo alcuni punti emersi dallo studio (che invito a leggere poiché denso di dati e di informazioni utili per capire il passato recente ed il presente di parte di questo grande istituto sovranazionale detto Unione Europea):

– “La detenzione alle frontiere esterne sono generalmente di breve durata (eccetto le coste greche), spesso non regolamentate, aventi come obiettivo l’espulsione rapida delle/degli esiliati/e verso un altro paese o, semplicemente, ponendoli dall’altra parte della frontiera” (p. 2 versione francese).

– La detenzione si svolge geograficamente lontano dai centri di detenzione tradizionali. Infatti, i centri di trattenimento pre-espulsione sono situati in zone di confine, in stazioni di polizia, dove il territorio è stato dimenticato o non viene vissuto e, quindi in territori lontani dallo sguardo e dai diritti (esempio, qui le persone migranti hanno limitato accesso alle informazioni e ai (pochi) diritti che le riguardano). La scelta non è causale. Più ci si allontana dallo sguardo e più il processo di invisibilizzazione dell’individuo si rafforza.

– “Il modo in cui questo tipo di detenzione è scritta e definita nelle legislazioni nazionali, fa sì che sia o meno ufficialmente considerata come detenzione: di conseguenza, a volte le cifre ufficiali sembrano diminuire, ma di fatto vi è un aumento della detenzione informale. Detto altrimenti (il modo in cui è scritto, la parola della legge), costituisce un mezzo per dissuadere, per disciplinare e per incoraggiare le persone esiliate” (cit. pag.02 versione francese).

– In tutti i paesi analizzati, vi è una continua privatizzazione nella gestione e nei servizi e forniture offerte ai centri di detenzione per migranti, tanto che alcune società private, come la Gepsa S.A. che lavora in 60 strutture tra Italia e Francia, sono specializzate in questo.

Infine:
– Nei paesi di prima accoglienza è in corso un’intensificazione dei centri di detenzione, focalizzati nella pratica dell’identificazione rapida seguita da espulsione. Vedi: hotspot italiani 7.757 detenute/i per 890 posti; in Grecia 38.423 occupanti per 6.178 posti; in Spagna 15.288 detenuti/e per 1.020 posti.

Il report spiega nel dettaglio la scarsità di spazio, di pulizia, l’insufficienza o l’assenza, a volte, di personale medico, di supporto psicologico, dei servizi di interpretariato e di traduzione, di avvocati a volte, dell’attesa interminabile che mangia queste persone e chiunque viva in condizioni simili. Persone che vivono in spazi che anche se non sono ufficialmente “carcere” ben presto lo diventano. Si tratta di spazi stretti in strutture aventi barriere metalliche e recinzioni. Spazi privi di connessione internet e, alle volte, di rapporto con l’esterno. Spazi dove sono frequenti episodi di autolesionismo e suicidio. Spazi dove i diritti ai minori molto sovente non vengono rispettati e così le donne non vengono tutelate da abusi e violenze. Questo caratterizza il vivere l’arrivo migratorio in uno dei paesi di prima accoglienza.

Il rapporto lo dice bene: non si tratta di azioni securitarie, protettive nei confronti della cittadinanza dell’Ue, o almeno questo è quello che ufficialmente si dice. Nella realtà delle cose, persone che migrano per diversi motivi vengono bloccate alle frontiere e fatte vivere in condizioni inumane perché questo è il sistema di governance delle frontiere. Se ciò è possibile è innanzitutto perché c’è una volontà politica di andare verso questa direzione, ma poi anche per via del processo d’invisibilizzazione di cui si diceva sopra. Queste pratiche disumane e violente, sono state possibili e sono possibili, da una parte perché compiute lontano dalle città, dagli sguardi comuni, in zone d’ombra; dall’altra, poiché sono legalizzate, visibili a parole scritte (per chi le va a cercare quelle parole del diritto così ostiche al solo suono).

Unsafe conditions: i luoghi di detenzione in Italia, Spagna, Grecia e Germania

Italia
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In Italia, per legge, solo i Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) dovrebbero svolgere questa attività. Eppure non è così. Accanto ad essi, le persone migranti bloccate e in attesa possono trovarsi anche negli hotspot e nelle zone di confine. Della condizione dei CPR si dice:
caratterizzati da infrastrutture scadenti, con alcune strutture di base mancanti come il riscaldamento. Le stanze di pernottamento sono condivise da almeno quattro persone, ma spesso di più. In alcuni CPR, come quello di Torino, le stanze degli alloggi sono dotate di servizi igienici alla turca che non sono separati dal resto della stanza: i servizi igienici sono a pochi metri da alcuni dei letti; (…) mancanza di articoli di base come lenzuola, maniglie delle porte e interruttori della luce (per accendere e spegnere la luce) o i contenitori per la racolta dei rifiuti. (…) La spazzatura lasciata sul pavimento ha portato a stanze occupate da scarafaggi e altri insetti”(p. 13 report completo).

Altre testimonianze affermano: “Ci sono state segnalazioni di richieste dei/delle detenut* ignorate dall’amministrazione e di assistenza medica fornita con gravi ritardi. Se i detenuti sono autorizzati a lasciare il CPR a causa di gravi problemi di salute o ferite, vengono riportati al Centro immediatamente dopo averle ricevuto” (p. 13)

Spagna
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Una nuova forma di detenzione è data dalla creazione dei centri di assistenza temporanea per stranieri (CATE), nati fuori da qualsiasi quadro giuridico e realizzati in seguito alle critiche dell’uso delle stazioni di polizia per l’identificazione delle/dei migrant*; di fatto, sono un’estensione della stessa.
Qui arriva la metà delle persone migranti via mare. Struttura simile, ma con nome diverso, sono i centri di soggiorno temporaneo per migranti (CETI) che si trovano nelle città autonome di Ceuta e di Melilla dagli anni duemila. Obiettivo è sempre bloccarli e respingerli.
Nonostante per legge si affermi che i CETI non hanno una natura penitenziaria, nella sostanza ci vanno molto vicini:
Guardie pesantemente armate (equipaggiamento antisommossa, armi da fuoco), segnalazioni di maltrattamenti, tortura e uso sproporzionato di azioni della forza da parte di agenti di polizia, mancanza di assistenza sanitaria adeguata, assistenza legale e altri servizi, casi di suicidio e tentato suicidio, nonché discriminazione sulla base della nazionalità” (p. 24).

Nelle zone d’ombra degli aeroporti o dei porti marittimi ci sono poi stanze adibite a detenere ed espellere chi migra, dette stanze di inammissione di frontiera.

Grecia
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L’uso della detenzione avviene all’arrivo, di solito in tre o quattro luoghi: i centri di detenzione preliminare all’allontanamento (PRDC), i centri di ricezione e di identificazione (RIC), o anche detti hotspot, e le stazioni di polizia. La finalità è di collocare la persona migrante in un programma di ricollocamento e di effettuare il rimpatrio il prima possibile. La situazione in Grecia è talmente grave da più punti vista, come il sovraffollamento che le persone vivono in tende accanto agli hotspot:
Soprattutto nelle parti informali degli hotspot, simili a slum, non esiste un sistema efficace di gestione dei rifiuti, che trasforma questi campi in discariche a cielo aperto infettate da ratti e parassiti. Tali condizioni di vita hanno un impatto estremamente grave sulla salute delle persone, sia fisica e mentale – a volte inclusa la morte” (p. 37).

E ancora:

Le condizioni generali sono ancora peggiori nelle stazioni di polizia. Sebbene sia stato ripetutamente affermato che queste strutture non sono adatte a detenzioni superiori a 24 ore, sono state ampiamente utilizzate per detenzioni a volte di lunga durata. Ad esempio, un cittadino pakistano è stato detenuto nella stazione di polizia del Pireo per due mesi” (p. 37).

Germania
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A differenza degli altri paesi studiati, in Germania le condizioni delle/dei detenuti/e sono più dignitose. Tuttavia, è da osservare la nuova legge, l’Orderly Return Act che amplia i poteri e le possibilità di arrestare e di trattenere le persone in vista del rimpatrio. Di fatto, la legge permette molti poteri, come, per esempio:

Alle autorità sono stati concessi nuovi poteri di accesso ed ingresso in appartamenti privati ​​per la ricerca di persone da espellere (articolo 58 Legge sul soggiorno). Le autorità che effettuano una deportazione hanno il diritto di arrestare la persona interessata: questa custodia a breve termine (Festhalten) è legalmente distinta dalla “detenzione” e non è soggetta a un ordine del tribunale. Deve essere limitata a un breve periodo di tempo, necessaria per il trasporto delle persone da deportare all’aeroporto o al confine (articolo 58 IV Legge sul soggiorno). I motivi di detenzione in attesa di espulsione sono stati ampliati nel testo della legge, in particolare aggiungendo nuovi criteri alla definizione di “rischio di fuga” (art. 62 Legge sul soggiorno)” (p. 44).

Mara Degiorgi

Per dire qualcosa, bisogna essere qualcosa/qualcuno? E cos’è che fa di te quel qualcuno/qualcosa? Scrivo, leggo, penso. Sono un’antropologa, una geografa, altro. Nata a Lausanne nei primi anni Novanta da un padre salentino e da una madre limeña. Cresciuta tra San Francisco, Torre Vado, Lima.