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Libia: crimini di guerra e fosse comuni

Tarhuna, ennesima necropoli del XXI secolo

Ad una settimana dalla fine dell’anno, una squadra della Corte Penale Internazionale (CPI) ha effettuato 3 sopralluoghi a Tarhuna, ultima e strategica roccaforte ad est del Generale cirenaico Khalifa Haftar, capo dell’autoproclamato Esercito Nazionale Libico (ENL).

L’attuale Ministro degli Esteri e la CPI, hanno incontrato gli esponenti delle più alte cariche dello “Stato Libico”, fra cui il Ministro della Difesa Salah Al-Namroush, il Procuratore Militare, esperti forensi e Funzionari della Pubblica Accusa, allo scopo di indagare, esaminare e porre fine ad una lunga serie di crimini di guerra contro i civili commessi, in ultimo, dalle milizie di Haftar e che ora, emergono in numerose fosse comuni.

Dal mese di dicembre si sono intensificate le ricerche dentro e intorno a Tarhuna, cittadina a circa 93 km a sud-est di Tripoli, nel tentativo di identificare un alto numero di persone scomparse e restituire loro un nome, un volto ed una degna sepoltura.

Le prime ricerche, sono iniziate nel mese di giugno, dopo che le forze legate a Fayez Al-Serraj ed appartenenti al Governo di Accordo Nazionale (GNA) di Tripoli, hanno, con un’offensiva, riconquistato la città.

Da allora sono emerse 27 fosse comuni, a cui se ne sono aggiunte, nell’ultima settimana, almeno altre due ma, non è ancora possibile quantificare con precisione le vittime al loro interno.

Di sicuro emergono atrocità e massacri indicibili da Tarhuna, che si aggiungono a quelle, troppo spesso tenute nascoste anche dalle autorità internazionali, commesse dallo stesso governo di Al Serraj. Il dottor Kamal Al-Siwi, capo dell’Autorità pubblica per la ricerca e l’identificazione delle persone scomparse, ha affermato che la stragrande maggioranza dei residenti sono svaniti durante i combattimenti iniziati nell’aprile 2019 e terminati nel giugno 2020.

A giugno i funzionari del cosidetto “Governo Libico”, hanno riesumato circa 120 corpi, tra cui donne e bambini. Il più piccolo ritrovato aveva solo 3 anni. Il 9 gennaio, il portavoce delle famiglie degli scomparsi, Abdulaziz Al-Jaafari, ha confermato la riesumazione di altre 4 persone. Su tutte, sono presenti chiari segni di tortura.

Sono tante le tombe non contrassegnate a Tarhuna e dintorni. Ogni sito funerario riesumato contiene da 1 a 12 corpi e in alcuni casi solo parti di essi. La maggior parte si trovano in una vasta area agricola conosciuta come Mashrou ‘al-Rabt. Due corpi sono stati trovati in un pozzo d’acqua e un altro all’interno di un’area appartenente al Ministero dell’Interno. Molte delle vittime erano ammanettate e in uno stato di decomposizione avanzato, tale da impedire ai parenti di identificarli. Ad un corpo era ancora collegato un ventilatore di emergenza.

Centinaia di vittime civili e prigionieri di guerra, massacrati ed uccisi dalla milizia locale al-Kani, nota come Keniyat.

Nell’ultimo rapporto di Human Right Watch, si parla di almeno 338 residenti dati per dispersi dalle autorità locali in seguito al ritiro delle forze di Haftar.

I racconti dei familiari degli scomparsi sono inquietanti. Hanno riferito che, la milizia era solita rapire, detenere, torturare, uccidere e occultare i sospettati oppositori di Haftar, sequestrando, altresì, proprietà private e denaro.

La milizia al-Kaniyat ha piantonato ogni aspetto della vita a Tarhuna dal 2015 fino a giugno 2020. Infatti, prima dei combattimenti dell’aprile 2019, la milizia aveva agito per conto del GNA a cui era originalmente affiliata sin dall’inizio del conflitto del luglio 2014. Si è poi alleata alle forze armate di Haftar (LAAF) quando è iniziato il conflitto nell’aprile 2019, adottando il nome di “9°Brigata”.

Come spesso accade in Libia, la milizia era un’impresa familiare. Mohammed Khalifa al-Kani, ampiamente considerato come il leader del gruppo, è stato raggiunto da quattro dei suoi fratelli: Abdelkhaleq, Muammar (Omar), Abdulrahim e Muhsen.

Quest’ultimo è stato ucciso nel settembre 2019. Le strutture utilizzate dalla milizia di al-Kaniyat come luoghi per interrogatori e detenzione includevano un’ex fabbrica di acqua in bottiglia (Ain al-Rumiya) e due strutture di polizia, quella giudiziaria di Qadhai’ya e quella militare di Da’am. Il fatto che questa stessa banda di assassini prima servisse il governo ufficialmente riconosciuto dalle Nazioni Unite, e poi abbia cominciato a vendere i suoi servigi ad Haftar, la dice lunga anche sul reale stato delle cose in Libia. L’ipocrisia dell’uno non copre la barbarie dell’altro, e viceversa.

D’altronde oggi il “governo ufficiale”, quello che dovrebbe fare giustizia dei crimini commessi da Haftar, è lo stesso dei lager dei migranti, della cosidetta “guardia costiera libica” comandata da un criminale ricercato come Bija, ed ha anche come principale alleato uno dei peggiori dittatori del mondo, il turco Erdogan.

La governance in Libia rimane dunque divisa tra il GNA, riconosciuto a livello internazionale e con sede a Tripoli e il Governo ad interim rivale, con sede nella Libia orientale e affiliato al LAAF. Quest’ultimo ha ricevuto sostegno militare da Emirati Arabi Uniti, Giordania, Egitto e Russia e sostegno politico dalla Francia. Comprende combattenti del Sudan, del Ciad e della Siria e di una compagnia militare privata collegata al Cremlino, il Gruppo Wagner.

La Turchia come detto, è invece il principale sostenitore militare del GNA, con alcuni combattenti provenienti da Ciad, Sudan e Siria. Nonostante sia ancora nominalmente in vigore l’embargo sulle armi ordinato dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite già nel 2011 e più volte rinnovato, nell’aprile 2019, le forze LAAF sotto il comando di Haftar hanno aperto un attacco contro i gruppi armati affiliati al GNA, nel tentativo di occupare e prendere il controllo di Tripoli. Gruppi armati rivali con il sostegno straniero hanno effettuato attacchi indiscriminati di artiglieria, droni e aerei dentro e intorno alla capitale, uccidendo e sfollando civili e distruggendo pubbliche infrastrutture. E per rispondere all’offensiva, i mercenari al servizio del Governo di Tripoli non hanno fatto da meno, infischiandosene se di mezzo ci andavano i civili.

Il LAAF e le forze affiliate hanno sparato munizioni a grappolo, ovvero, armi proibite a livello internazionale per via della loro natura indiscriminata. Queste forze hanno anche lasciato dietro di sé un numero enorme di mine antiuomo e trappole esplosive che continuano a mietere vittime. I combattimenti hanno provocato lo sfollamento di 200.000 civili e hanno interferito con la scolarizzazione di decine di migliaia di bambini.

Gli scontri si sono conclusi il 5 giugno 2020, dopo che le forze del GNA supportate dalla Turchia hanno costretto il LAAF ed i suoi alleati a ritirarsi da Tarhuna.
Il 23 ottobre, il GNA e il LAAF hanno firmato un cessate il fuoco “completo e permanente” sotto gli auspici delle Nazioni Unite ma, entrambe le parti, si accusano a vicenda di violare l’accordo.

Tutte le forze armate coinvolte nelle molteplici fasi dei conflitti in Libia erano vincolate dal diritto internazionale umanitario e dalle leggi di guerra che proibiscono, tra le altre violazioni, la tortura, i rapimenti, la detenzione illegale di civili e le uccisioni in custodia. Nonostante ciò, un vero e proprio genocidio si sta consumando in Libia, ed interessa non solo i migranti imprigionati e trattati come schiavi, ma anche la popolazione civile libica.

Spetta ora alla Corte Penale Internazionale (CPI), identificare tutti i diretti responsabili di questi crimini contro l’umanità, compiuti da individui senza scrupoli e con indiscutibili intenti criminali.

A novembre, il Governo degli Stati Uniti con l’ordine esecutivo n.13818 ha indicato Mohamed al-Kani e la milizia di al-Kaniyat, nonché gli alti comandanti della LAAF, perseguibili per l’omicidio dei civili recentemente ritrovati nelle numerose fosse comuni di Tarhuna, nonché per le torture, le sparizioni forzate e lo sfollamento di migliaia di civili.

Il cammino verso la stabilizzazione della Libia, in vista anche delle prossime elezioni governative, previste per dicembre 2021, appare ad oggi ancora molto complicato e ricco di variabili ed interessi possibili. La penna qui si ferma, in segno di cordoglio dinanzi alle immagini di Tarhuna, ennesima necropoli del XXI secolo.

Eleana Elefante

Giurista esperta in Advocacy & Communication dei Flussi Migratori del Mediterraneo Centrale.
Collabora con diverse NGO’s e Patners Europei nel Monitoraggio & Valutazione dei flussi migratori in linea con l’analisi geopolitica di aree geografiche quali il Nord - Africa ed il Medio-Oriente.