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Corte EDU su adozione: Il divieto di contatto tra la ricorrente e i suoi figli nel corso del procedimento di adozione ha violato il diritto della ricorrente al rispetto della sua vita familiare

Il comunicato emesso dalla Corte tradotto in italiano

Photo credit: Save the Children

Il 1° aprile la Prima Camera della Corte Edu nel caso A.I. v. Italia ha emesso una decisione per un caso seguito dagli avv.ti Salvatore Fachile, Giulia Crescini e Cristina Laura Cecchini.
Proponiamo la traduzione del comunicato emesso dalla Corte e la versione originale dello stesso.
La decisione è particolarmente interessante sotto vari aspetti perché peraltro emessa nel corso del giudizio sullo stesso caso su cui si è pronunciata un anno fa la Corte con la decisione sull’adozione mite 1.
In pratica, la Corte interviene sulla delicatissima questione dell’adozione a rischio giudiziario, ossia sulla brutale pratica di vietare – già dopo la sentenza di primo grado e prima della definizione del giudizio – gli incontri tra genitori e figli che sono sottoposti a un giudizio sulla loro adottabilità.
Il fenomeno della dichiarazione di adottabilità di bambini investe statisticamente in modo dirompente i cittadini stranieri (soprattutto donne sole, donne vittime di tratta, etc) e le famiglie appartenenti alla comunità Rom.

Il divieto di contatto tra la ricorrente e i suoi figli nel corso del procedimento di adozione ha violato il diritto della ricorrente al rispetto della sua vita familiare

Con la sentenza della Camera Prima nel caso di A.I. v. Italia (ricorso n. 70896/17), la Corte dei diritti dell’uomo ha dichiarato, all’unanimità, che c’è stata : Violazione dell’articolo 8 (diritto al rispetto della vita familiare) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Il caso riguarda l’impossibilità per la ricorrente – una rifugiata nigeriana vittima della tratta e in condizioni di vulnerabilità – madre di due bambine, di esercitare il diritto di visita in ragione del divieto contenuto nella decisione del Tribunale che le interrompeva i rapporti anche se il procedimento di adozione è stato pendente per più di tre anni.
La Corte EDU osserva, in particolare, che la Corte d’appello, un tribunale specializzato composto da due giudici professionisti e due giudici laici, non ha preso in considerazione le conclusioni del consulente di ufficio che aveva raccomandato di mantenere il rapporto della ricorrente con le bambine. Tale decisione non era motivata neppure sulle ragioni per cui non erano considerate le conclusioni del consulente.
In considerazione della gravità degli interessi in gioco, spettava alle autorità valutare in modo più approfondito la vulnerabilità della ricorrente nel corso del procedimento.
La Corte EDU ritiene che, nel corso del procedimento che ha portato all’interruzione dei contatti tra la ricorrente e le sue figlie, non è stato adeguatamente valutata la vulnerabilità della ricorrente non è stata data adeguata importanza alla vita familiare della ricorrente e delle sue figlie.
La procedura pertanto non aveva garantito la tutela dei diritti in gioco attraverso una ingerenza nella vita famigliare proporzionata.

Principali fatti

La ricorrente, A.I., è una cittadina nigeriana, nata nel 1981 e residente a Roma. È arrivata in Italia come vittima di tratta di esseri umani, è madre di due bambini, nate rispettivamente nel 2012 e nel 2014.
Dall’aprile 2014, A.I. e sua figlia sono state ospitate in un centro di accoglienza. Il 19 giugno 2014, sua figlia minore è stata ricoverata in ospedale con la varicella e le è stata diagnosticata un’infezione da HIV.
Il 25 giugno 2014, il pubblico ministero del tribunale dei minori ha chiesto al tribunale per i minorenni la sospensione della responsabilità genitoriale della ricorrente su sua figlia.
Il tribunale ha accolto la richiesta del procuratore, ha nominato il sindaco di Roma come tutore del bambino e gli ha ordinato di collocare la bambina in casa famiglia dopo le dimissioni dall’ospedale con il divieto di prelievo senza il permesso del tribunale. Ha chiesto al procuratore di identificare l’altra bambina, e verificare se era in pericolo.
Il 18 luglio 2014, il pubblico ministero ha chiesto al giudice di ordinare una misura cautelare nei confronti anche della figlia maggiore di A.I.

Il 27 novembre 2014, il tribunale ha deciso di sospendere la responsabilità genitoriale di A.I. sulla figlia maggiore, ha nominato il sindaco di Roma come tutore provvisorio del minore e lo ha incaricato di collocare questa bambina insieme alla madre in una struttura madre-bambino, con il divieto per chiunque di portarla via. Ha incaricato inoltre un centro per gli abusi sui minori di effettuare una valutazione urgente della personalità della bambina e la valutazione della personalità e delle capacità genitoriali di A.I., la disponibilità di risorse per la cura delle minori e lo stato psicofisico della minore.

La ricorrente e la figlia sono state così trasferite in un’altra struttura di assistenza, è stata ricoverata dal 27 febbraio al 10 marzo 2015.
L’11 giugno 2015 il tribunale ha incaricato il tutore di collocare entrambe le bambine insieme alla loro madre in un luogo adatto struttura adatta.
Il 18 marzo 2016, il tribunale ha ordinato l’avvio del procedimento per l’accertamento dello stato di abbandono delle minori, e ha ordinato il collocamento delle minori in un’adeguata struttura con la possibilità per la madre di visitare le bambine una volta alla settimana.
Il 23 maggio 2016 il tribunale ha ordinato una perizia d’ufficio e ha concesso alla ricorrente le visite alle bambine per due ore alla settimana.
Il 9 gennaio 2017 il tribunale, sulla base della perizia, ha dichiarato le minori in stato di abbandono.
Al fine di gestire la situazione delle bambine, ha confermato la nomina del tutore, ha ordinato il collocamento delle bambine presso una famiglia adottiva e ha proibito ogni contatto tra queste e la loro madre.
Il 1° marzo 2017, A.I. ha impugnato la sentenza e ha presentato una domanda di provvedimenti provvisori, ai sensi dell’Articolo 700 del codice di procedura civile, cercando di sospendere il divieto di contatto con le minori.
All’udienza del 7 novembre 2017, A.I. veniva informata che le sue due figlie erano state date in adozione a due diverse famiglie.
Nel considerare la domanda di provvedimenti provvisori, la Corte d’appello ha sottolineato che era nell’interesse delle ragazze mantenere la sospensione dei contatti con la madre per la durata del procedimento d’appello. Ciò nonostante, la Corte d’appello ordinasse una nuova perizia.
Con la sentenza del 2 ottobre 2018, la Corte d’appello ha confermato la sentenza del tribunale. Ha ritenuto che la perizia aveva dimostrato che A.I. era priva di capacità genitoriale e che non era pienamente consapevole della sua malattia, delle malattie delle sue figlie e delle sue difficoltà psicologiche.
La Corte d’appello ha respinto la sua richiesta di sospendere il divieto di contatto con i suoi figli.
A.I. ha fatto appello alla Corte Suprema di Cassazione.
Il 13 febbraio 2020, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza della Corte d’appello e ha rinviato il caso a un’altra sezione della Corte d’appello. Ha ricordato che una volta che un bambino è stato dichiarato adottabile viene inserito in una famiglia. L’interruzione della relazione tra il genitore biologico e il bambino è la conseguenza dell’adozione e non il risultato dell’accertamento dello stato di abbandono. I legami vengono meno solo ai fini dell’adozione legittimante poiché questa è incompatibile con i rapporti con i genitori biologici.

La Corte di Cassazione ha notato che la Corte d’appello non aveva adeguatamente valutato la parte della perizia tecnica che sottolineava che il legame dei bambini con la madre doveva essere preservato. La Corte d’appello non aveva ritenuto necessario fare questa valutazione non ritenendo che ci fosse un diverso modello di adozione che, nell’interesse dei bambini, avrebbe potuto essere applicata nel caso in questione. In realtà secondo la Corte di Cassazione la Corte d’appello avrebbe dovuto esaminare se l’interesse delle minori a non interrompere il legame con la madre prevaleva sulle incapacità genitoriali della ricorrente.
Il caso è attualmente pendente dinanzi alla Corte d’appello ove è stato rinviato a seguito della sentenza della Suprema Corte.

Reclami, procedura e composizione della Corte EDU

Ai sensi dell’articolo 8 (diritto al rispetto della vita familiare), la ricorrente ha denunciato la violazione in ragione dell’impedimento automatico del suo diritto di visitare i suoi figli che è seguito alla decisione di primo grado adottata dal Tribunale per i minorenni che ha dichiarato lo stato di abbandono delle minori interruzione che si protraeva con un ricorso pendente da tre anni. Assumeva inoltre una violazione in relazione alla circostanza che le minori erano state separate e date in affidamento preadottivo a due diverse famiglie.

Il ricorso è stato presentato alla Corte europea dei diritti dell’uomo il 13 ottobre 2017.

La sentenza è stata pronunciata da una camera di sette giudici composta da:
Ksenija Turković (Croazia), Presidente,
Krzysztof Wojtyczek (Polonia),
Alena Poláčková (Slovacchia),
Gilberto Felici (San Marino),
Erik Wennerström (Svezia),
Raffaele Sabato (Italia),
Lorena Schembri Orland (Malta),
così come Renata Degener, impiegata della sezione

Decisione della Corte
Articolo 8

La Corte EDU osserva che le parti non contestano che le decisioni in questione costituiscono un’ingerenza nel diritto della ricorrente al rispetto della sua vita familiare, come previsto dalla legge.
La Corte è pienamente consapevole che, in qualsiasi processo decisionale, l’interesse del bambino deve essere la considerazione principale in qualsiasi processo decisionale.
La Corte riconosce che, nonostante l’assenza di prove di violenze o abusi commessi contro le sue figlie e contrariamente alle conclusioni della perizia, la ricorrente è stata privata di ogni diritto di visita con le sue figlie anche mentre il procedimento di valutazione dello stato di abbandono era ancora in corso. La Corte nota anche che il Tribunale ha collocato le minori in due famiglie diverse, il che questo rende difficile il mantenimento della sorellanza. Questa misura ha portato alla disgregazione della famiglia ed è quindi contraria al principio del diritto all’unità familiare e al superiore ‘interesse superiore dei minori.
La Corte osserva inoltre che la ricorrente è stato vittima di tratta. Le autorità le hanno fornito assistenza sanitaria e sociale, ma i tribunali non hanno preso in considerazione la sua situazione di vulnerabilità nel valutare le sue capacità genitoriali e la sua richiesta di mantenere i contatti con le sue figlie. Nel caso di persone vulnerabili, le autorità devono avene particolare cura e devono fornire loro una maggiore protezione.
La Corte ritiene che, tenuto conto della gravità degli interessi in gioco, le autorità dovevano valutare più seriamente la vulnerabilità della ricorrente nel corso del procedimento. È anche evidente dalla decisione del Tribunale e della Corte d’Appello che i tribunali nazionali hanno valutato la capacità genitoriali della ricorrente senza prendere in considerazione la sua origine nigeriana e il diverso modello di attaccamento tra genitori e figli che si può trovare nella cultura africana, come ila relazione della consulente aveva chiarito abbondantemente.
La Corte conclude che, nel corso del procedimento che ha portato all’interruzione dei contatti tra la ricorrente e le sue non è stato dato sufficiente peso alla necessità di garantite la relazione tra la stessa e le sue figlie sperimentando diverse forme di vita familiare. La procedura non era stata caratterizzata da garanzie di proporzionalità. C’era quindi una violazione dell’articolo 8 della Convenzione.

Equa riparazione (articolo 41)

La Corte ha stabilito che l’Italia deve pagare alla ricorrente 15.000 euro (EUR) per danni non patrimoniali.
La sentenza è disponibile solo in francese.
Questa comunicazione è stata redatta dalla cancelleria e non è vincolante per la Corte. Le decisioni e le sentenze della Corte, così come ulteriori informazioni possono essere reperite su www.echr.coe.int .

  1. https://www.meltingpot.org/Primo-caso-in-italia-di-adozione-mite-per-rispondere-all.html