Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
/

Diritti in rotta. L’esperimento delle navi quarantena e le procedure di determinazione della condizione giuridica: una radicalizzazione dell’approccio hotspot

Il terzo di sei articoli di approfondimento del progetto In Limine di ASGI

Tramite le interviste effettuate nell’ambito del progetto In limine e grazie alle richieste di accesso civico inviate alle amministrazioni coinvolte nella gestione e nell’organizzazione delle procedure di sbarco, incluse quelle riguardanti la sorveglianza sanitaria, è stato possibile ricostruire, almeno parzialmente, le procedure relative all’accertamento dello status giuridico dei cittadini stranieri trasferiti sulle navi quarantena.

Se in un primo momento1 le amministrazioni hanno riferito che le procedure di identificazione e fotosegnalamento venivano svolte direttamente a bordo delle navi quarantena, successivamente è stato chiarito che queste sono condotte nella maggioranza dei casi prima del trasferimento sulle navi, ad esempio presso l’hotspot di Lampedusa, secondo le modalità tipiche dell’approccio hotspot con rilevamento dattiloscopico, fotosegnalamento e compilazione del foglio-notizie.

E’ stato possibile osservare che, così come succedeva quando le procedure si svolgevano interamente all’interno degli hotspot, i cittadini stranieri appartenenti ad alcune nazionalità – nello specifico i cittadini tunisini – incontrano numerosi ostacoli nell’accesso alle procedure di asilo. Grazie alle interviste effettuate con cittadini tunisini che hanno trascorso la quarantena sulle navi si rileva che in molti casi questi non sono stati correttamente informati della possibilità di chiedere asilo in Italia e – più in generale – in merito al loro status o alla possibilità di opporsi ad un eventuale ordine di allontanamento, nonostante il lungo periodo trascorso in Italia fra l’hotspot di Lampedusa e le navi per la sorveglianza sanitaria.

Non solo, la prassi di far compilare un “doppio” foglio-notizie2, già rilevata con riferimento ai cittadini tunisini sbarcati a Lampedusa prima del periodo della pandemia, sembra essere oggi riprodotta con la conseguenza che, al momento dello sbarco dalla nave quarantena, alla maggior parte dei cittadini provenienti dalla Tunisia viene notificato un provvedimento di espulsione o di respingimento differito. Il primo foglio-notizie viene compilato a terra prima del trasferimento sulla nave quarantena ed il secondo, contenente le dichiarazioni dell’interessato circa la supposta assenza di cause ostative all’allontanamento, al momento del nuovo sbarco al termine della quarantena. Le Questure dei luoghi di sbarco (principalmente Palermo, Augusta e Trapani, ma anche Siracusa, Catania, Messina e Bari), nei casi osservati, hanno dato esecuzione a questi provvedimenti (espulsione o respingimento differito) tramite accompagnamento forzato alla frontiera, talvolta con la predisposizione di ordini di allontanamento da parte del questore. Pertanto, in molti casi, allo sbarco è seguito un periodo di trattenimento nei centri di permanenza per il rimpatrio (CPR), con tutte le conseguenze che questo comporta in termini di ulteriori difficoltà di accesso alla procedura di asilo, diritto all’informazione e alla difesa. Ciò è accaduto anche quando la persona interessata aveva espresso, anche formalmente, la volontà di chiedere protezione in Italia.

In merito agli oneri che gravano sulla CRI con riferimento all’accesso alla richiesta di protezione internazionale, può essere utile un riferimento alla sentenza della CGUE del 25 giugno 2020 nella causa C-36/20 PPU3, in cui la Corte ha precisato come una domanda d’asilo presentata ad una autorità differente da quella competente a ricevere l’istanza debba intendersi comunque idonea per l’avvio della procedura, incombendo su tale amministrazione l’obbligo di trasmettere la domanda all’autorità competente.

Secondo il principio affermato dalla Corte, la CRI, in qualità di autorità sanitaria incaricata della gestione delle navi quarantena, dovrebbe ricevere le istanze di protezione per poi trasmetterle all’amministrazione competente per la loro registrazione. Da ciò deriverebbe, secondo quanto precisato nella sentenza, da un lato, l’obbligo di informare i cittadini di paesi terzi in situazione irregolare delle modalità di inoltro di una domanda di protezione e, dall’altro, quello di trasmettere i fascicoli relativi alle istanze presentate all’autorità competente per la loro registrazione in modo da garantire l’accesso ai diritti connessi allo status di richiedente asilo.

Avvocati-e e operatori-trici del progetto In limine hanno seguito i percorsi di alcune persone dopo lo sbarco e continuato ad assisterli durante il trattenimento presso i CPR di Milano, Gradisca d’Isonzo e Roma4. Come appena accennato, diverse questure, contrariamente a quanto previsto per legge, non hanno dato avvio alla procedura di asilo, anche con riferimento a chi aveva manifestato la propria volontà di chiedere protezione non solo verbalmente ma anche a mezzo PEC tramite il proprio difensore, dietro delega orale e telematica5. Ciò ha portato in alcuni casi alla mancata convalida dei provvedimenti di trattenimento da parte di alcuni Giudici di Pace, come accaduto a Roma e Milano nel mese di novembre.

In definitiva, l’utilizzo delle navi quarantena si pone in perfetta continuità con i dispositivi già utilizzati in precedenza e finalizzati alla selezione e differenziazione spesso arbitraria delle persone sbarcate in Italia fra “richiedenti asilo” e “migranti economici”, accentuandone però le criticità dal punto di vista della tutela dei diritti di chi li attraversa. E’ necessario sottolineare, infatti, come la misura in questione aggravi la condizione di sofferenza fisica e psicologica di persone che hanno appena compiuto un viaggio estremamente pericoloso e prolunghi lo stato di assenza o carenza di informazioni circa la propria situazione giuridica. Tale pratica ha gravi conseguenze anche in tema di rispetto del principio di non respingimento e aumenta gravemente il rischio di contagio o l’aggravarsi di patologie o traumi pregressi che non possono essere adeguatamente trattati sulle navi.

I primi due contributi di approfondimento:
Le condizioni materiali di permanenza, i servizi e l’accesso alle cure
L’esperimento delle navi quarantena e i principali profili di criticità

  1. Si veda la risposta all’accesso civico della Questura di Palermo del 22/6/2020 relativa alla nave Rubattino.
  2. Con la prassi del “doppio foglio notizie”, attuata in maniera sistematica a Lampedusa, le autorità di polizia, nonostante i cittadini stranieri abbiano manifestato la volontà di chiedere protezione e questa sia stata registrata, sottopongono alla firma dei cittadini stranieri un ulteriore foglio notizie con cui questi “rinunciano” alla richiesta di protezione affermando che non sussistono motivi ostativi al loro rimpatrio.
  3. La vicenda riguardava una imbarcazione a bordo della quale si trovavano 45 cittadini di paesi terzi, intercettata dal soccorso marittimo spagnolo nei pressi dell’isola di Gran Canaria, dove poi sono stati condotti. Il giorno successivo all’arrivo, un’autorità amministrativa ne ha disposto l’allontanamento e il trattenimento. A questo punto un cittadino del Mali ha manifestato l’intenzione di chiedere protezione. In mancanza di posti disponibili in accoglienza il giudice ha disposto il collocamento in un centro di trattenimento. Da qui il ricorso contro la decisione rimesso poi alla Corte UE.
  4. Si precisa che nel periodo da giugno a dicembre 2020 è stata svolta attività di assistenza legale nei confronti di circa 400 cittadini stranieri presenti presso le navi quarantena, molti dei quali sono stati successivamente trattenuti presso i CPR presenti sul territorio nazionale.
  5. http://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snciv&id=./20200220/snciv@s6L@a2020@[email protected]