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I luoghi mantenuti. Sulla nazionalità

I Coniugi Andrews è un dipinto di Thomas Gainsborough, databile al 1750 circa e conservato nella National Gallery di Londra.

Alla voce nazionalità incontriamo una parola che rimanda ad un concetto di nazione. La nazionalità è legata ad una data nazione e noi tutti, per nascita o per diritto (i requisiti poi per ottenere questo diritto variano da luogo a luogo e da tempo a tempo), apparteniamo ad una di esse. Infatti, ognuno di noi alla nascita si ritrova, indipendentemente dal suo volere, appartenente ad uno stato. La nazionalità determina profondamente e in più modi il nostro avvenire. Dunque, che cos’è la nazionalità e che cosa implica?

Chi possiede una nazionalità appartiene ad uno stato e lo stato vi appartiene. È un rapporto binario, vicendevole e sistematico dove, da una parte, noi individui godiamo dei diritti che il “nostro” stato offre alla cittadinanza e, dall’altra parte, abbiamo una serie di doveri da rispettare. Ma la nazionalità non finisce qui.

La nazionalità rimanda ad una cultura comune nazionale, ad una serie di pratiche sociali e ad un certo tipo di storia e memoria collettiva (o meglio, ad un certo tipo di narrazione della storia di quel territorio lì e dei suoi incontri con l’Altro) accettate e/o alimentate e, comunque, certamente conosciute, ascoltate dalle orecchie di piccoli e grandi appartenenti a quel dato territorio e a quella data comunità.

Dunque, la nazionalità non si limita ad impartire ordini e a garantire diritti, ma va più in profondità, fino a toccare e modellare la dimensione della cultura e delle pratiche comuni che fanno l’individuo. Musiche tipiche locali, cibi tipici locali ecc. ecc., rimandano echi di un dato territorio conosciuto nel mondo proprio, anche, attraverso queste immagini tipiche locali. Prendiamo l’Italia e l’italianità, per esempio, e una (delle tante) sua (volente o nolente) immagine tipica: pizza, pasta e mandolino. Ma siamo sicure e sicuri che se vai in Italia ci sia solo e ovunque pizza, pasta e canzoni neomelodiche? Quante italiane e italiani possono rispecchiarsi in quell’immagine? E che cosa vuol dire italiano? Quali requisiti devo aver affrontato e superato? A che punto della mia vita posso dirmi “italian*”?

Ecco che allora il gioco dell’elencare le cose tipiche locali si fa pericoloso, perché diventa il gioco della determinatezza e della purezza della nazionalità, ovvero la nazionalità è di chi è uguale a me. È un gioco identitario, escludente e opinabile in parte.

La studiosa Gillian Rose nell’analizzare un dipinto settecentesco di Thomas Gainsborough, noto per essere diventato il simbolo dell’Englishness, intitolato Mr e Mrs Andrew 1 – raffigurante due persone vestite elegantemente, in posa, intorno ad una campagna ben lavorata, pulita, ordinata – afferma che lì, nella tela, sono presenti i possessori del territorio, ma non certo chi lavora quella terra. Spesso, le rappresentazioni delle nazioni delineano figure pure di individui tipici di determinati stati.

Ciononostante, è bene ricordare anche ciò che non è spesso rappresentato, visto e quindi “presente”: cioè, tutte quelle persone concretamente presenti sul territorio e che però non sono riconosciute da uno stato (irriconoscente delle loro vite) o altre che, semplicemente, vivono in modo differente rispetto alle immagini stereotipate presenti. Inoltre, si tratta di rappresentazioni irreali.

La nazionalità non è mai solo riflesso di un’immagine fissa, ma, piuttosto, di una moltitudine sempre mobile di persone, di pratiche, di dialoghi in divenire. Fare cultura, creare pratiche diffuse relative ad un determinato territorio è cosa inevitabile, nel senso che essendo poste su un dato territorio, noi persone di ieri e di oggi interagiamo con esso: lo usiamo e lo conosciamo mediante le storie che vi sono state poste sopra e lo percorriamo personalmente. Noi produciamo significato, diamo senso all’intorno e certamente le narrazioni statali hanno un’importante funzione di senso (oltre che di finalità, rimandi e altro).

Ora, se apriamo i giornali o scrolliamo i titoli della stampa (nazionale ed estera) noteremo facilmente che alcuni stati se la vivono meglio o peggio di altri: c’è chi vive in una guerra in corso, chi in una democratura 2 e così via. Sembra che ogni stato viva la sua storia, le sue tragedie e le sue glorie. Di fatto, però, la storia del mondo è una storia corale, composta da una pluralità di (ri)posizionamenti e di interpretazioni ufficiali della Storia (tante storie, quante le nazioni e non solo). Rimane almeno un punto fermo, cioè che la nazione è una costruzione. Di fatto è una scelta collettiva recente quella di dividere il territorio del pianeta in linee statali.

Tuttavia, attualmente il mondo è così diviso e ciò ha delle conseguenze in diversi ambiti, tra cui quella della mobilità. Infatti, in base alla nazionalità che ci ritroviamo ad avere, avremo una maggiore o minore possibilità di muoverci nel mondo. Alcune nazionalità vengono preferite rispetto ad altre. In un certo senso, la nazionalità determina il nostro posto in esso.

Ci sono diversi documenti che attestano la nazionalità degli individui: abbiamo la carta d’identità, il passaporto ecc., ecc., sono tutti documenti burocratici statali, legali, nazionali facenti parte di quel circuito legale e reale del mondo strutturato in nazioni (e di istituti sovra-nazionali) che regolano, anche, la mobilità. Non è un dono della natura la nazionalità, è un costrutto umano. Anche se alle volte non sembra così: ci sono volte in cui la nazionalità viene descritta come diritto naturale per gente che è naturalmente nata lì, cresciuta lì, da gente di là.

La nazionalità è un pezzo di carta che dà diritti, doveri, ma accende anche questioni come chi ha il diritto ad appartenere a quel dato territorio e a dibattiti tangibili come i corpi che combattono per cambiare nazione e nazionalità e lo fanno attraverso il migrare oppure quei corpi che non volevano o non vogliono combattere in guerre di stato che non sentono proprie e che, però, si ritrovano a vivere.

Ci sono anche persone che lottano per stati non ancora riconosciuti e però, queste persone sono accumunate da pratiche socio – culturali e da valori che rimangono presenti anche al di là di un riconoscimento ufficiale. Se sfogliamo un vecchio atlante poi, troveremo nazioni ancora presenti e altre scomparse o rinominate. Va da sé che la nazionalità è legata alle decisioni collettive della Storia, a quella narrazione di Storia che vince sulle altre storie.

La storia, le scelte, le alleanze, gli obiettivi ecc., mutano. In una prefazione ad un libro cuore 3, Rossana Rossanda affermava:
«Se è vero, e Predrag Matvejević lo ricorda, che in ognuno di noi c’è più di una persona, siamo interconnessi ormai su scala mondiale, che cosa è una nazione? Che cosa è una cultura nazionale? Se fosse un bellissimo museo da visitare e conservare, invece che un appiglio per l’identità? Va da sé che sono incline a questa avventura».

  1. • Gillian Rose, Luoghi, culture e globalizzazione, a cura di, Pat Jess e Doreen Massey, UTET, Torino, 2001.
  2. • Predrag Matvejević, Mondo ex e tempo del dopo. Identità, ideologie, nazioni nell’una e nell’altra Europa, Garzanti, Milano, 2006, p.13.
  3. • Ibidem.

Mara Degiorgi

Per dire qualcosa, bisogna essere qualcosa/qualcuno? E cos’è che fa di te quel qualcuno/qualcosa? Scrivo, leggo, penso. Sono un’antropologa, una geografa, altro. Nata a Lausanne nei primi anni Novanta da un padre salentino e da una madre limeña. Cresciuta tra San Francisco, Torre Vado, Lima.