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Radicamento territoriale e documentazione aggiuntiva: un sistema che continua a discriminare gli stranieri

Intervista all’Avv. Alberto Guariso, ASGI

Photo credit: Giovanna Dimitolo

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Oggetto delle numerose sentenze che hanno dichiarato discriminatorie legislazioni regionali in materia di assegnazione alloggi ERP è spesso il requisito della “lungo permanenza sul territorio”.
Potrebbe spiegare cosa si intende per “lungo permanenza sul territorio” e perché si tratta di un requisito discriminatorio?

Le sentenze, in passato, nell’esaminare questo requisito, utilizzavano maggiormente l’espressione del “radicamento territoriale”. Nelle prime legislazioni e nelle prime sentenze c’era un po’ quest’idea che per erogare prestazioni sociali – in particolare quella della casa – era necessaria una certa durata della permanenza pregressa per due ragioni. La prima di tale criterio faceva presumere che la persona sarebbe rimasta in quel territorio anche in futuro. La seconda seguiva una logica di welfare mercantile e corrispettivo, per la quale la prestazione sociale viene riconosciuta perché, stante la lunga permanenza sul territorio, hai dato qualcosa al territorio (ti sei inserito nella collettività sociale, hai pagato le tasse, etc…).

Le più recenti sentenze, in particolare la n.44/2020, poi confermata in successione da altre tre sentenze, fino alla Sent. 9/2021, hanno stravolto questa concezione. In particolare la Sent. n. 44 afferma che quel meccanismo presuntivo non ha alcun effetto, in quanto la durata della permanenza in un luogo non garantisce che l’individuo resti in quello stesso territorio per sempre.

Soltanto adesso è stato affermato in maniera netta che i requisiti per accedere ad un bene sociale devono avere a che vedere con il bisogno. Non possono essere presi in considerazione requisiti che non riguardano il bisogno, come essere in un certo posto da un certo numero di anni. Lo Stato quando eroga delle prestazioni di aiuto può darle solo se tiene in considerazione il bisogno, tant’è vero che la Corte Costituzionale nella Sent. 9/2021 ammette come unica possibilità di tener conto della permanenza pregressa sul territorio l’anzianità di presenza nelle graduatorie perché chiaramente dalla sua presenza nelle graduatorie è possibile evincere il bisogno di ottenere quella prestazione/aiuto.

Quindi la Corte Costituzionale ha affermato che questi requisiti sono irragionevoli e, ove previsti da una legge, sono incostituzionali. Poi però c’è il passaggio successivo: perché sono discriminatori in danno degli stranieri…
La Corte Costituzionale non si è pronunciata in merito. Guardando i dati ISTAT è però possibile osservare che gli stranieri si muovono sul territorio nazionale con una frequenza doppia rispetto agli italiani. Il che vuol dire che uno straniero ha la metà delle possibilità di maturare il requisito di lungo residenza, rispetto ad un italiano.
Quindi, un requisito di questo genere oltre che irragionevole – contrario all’at. 3 Cost. e al principio di eguaglianza – è anche discriminatorio in danno dei cittadini stranieri.

Si è molto contenti di questo risultato, perché se pensiamo che tutto il sistema sociale è orientato a spingere le persone verso la mobilità, a favorire i contratti a termine, dire in ogni sede possibile che bisogna avere capacità di adattamento, mentre dall’altro lato si premia chi sta fermo in un posto. È ovvio che chi sta fermo ha meno bisogno dei beni sociali, perché ha trovato una buona dimensione economica.
Va benissimo creare un tessuto locale più significativo e intenso, ma lo si creerà con la cultura, con lo scambio di esperienze; non dando i beni a chi sta fermo.

Spesso vengono messe in atto anche altre pratiche discriminatorie, come quella di richiedere “documentazione aggiuntiva”. Di che documentazione si tratta? Cosa dice la Corte Costituzionale a riguardo?

Le leggi regionali da molti anni hanno introdotto questo requisito soprannominato dell’ “impossidenza planetaria”, cioè per accedere ad una serie di prestazioni sociali, bisogna dimostrare di non possedere beni in nessuna parte del mondo. Come sostenuto dalla Corte Costituzionale, si tratta di un requisito irragionevole. È chiaro che se possiedo una casa in Bangladesh rientrerà nella mia dichiarazione dei redditi, ma se adesso mi trovo in Italia, in una condizione di bisogno, è illogico escludere il soggetto dalla possibilità di ottenere, ad esempio, un alloggio ERP. Ciò non è ancora stato dichiarato incostituzionale. Il problema pratico si pone per quanto riguarda la documentazione per mezzo della quale dimostrare questa “impossidenza”. Se la documentazione fosse semplificata, anche questo requisito – per quanto assurdo – non porrebbe particolari problemi. Invece, mentre per l’italiano è sufficiente fare una dichiarazione di non possedere immobili, per lo straniero bisogna allegare anche dei documenti dei paese d’origine o di provenienza che attesti l’inesistenza di immobili.

Questo chiaramente costituisce l’ostacolo maggiore sia per la difficoltà “geografica” e anche in termini economici nel reperire tali documenti, sia perché magari i governi stranieri non sono in grado di produrre le documentazioni richieste, banalmente perché non esiste un registro catastale. Caso più clamoroso è stato quello del Comune di Sesto San Giovanni che aveva fatto tabula rasa di quasi tutti gli stranieri iscritti nelle graduatorie perché mancavano questi documenti.

Due regioni prevedono queste modalità di documentazione nella Legge, Friuli e Abruzzo. La prima non era stata impugnata dal Governo, mentre quella dell’Abruzzo, invece, è stata impugnata dal primo consiglio dei ministri del Conte II. La Corte Costituzionale ne ha rilevato l’illegittimità e il carattere discriminatorio. Dal momento in cui si richiede di dimostrare l’assenza di proprietà in nessuna parte del mondo, bisognerebbe dover accettare un’autodichiarazione come per l’italiano, da verificare per l’Italia tramite l’agenzia dell’entrate e per l’estero solo sfruttando i rapporti che l’Italia ha con gli altri stati stranieri per lo scambio di dati sulla situazione immobiliare. Non si può precludere l’accesso ad un bene importante come la casa gravando solo gli stranieri di un onere gravosissimo e onerosissimo che rischia di escluderli senza alcun beneficio in termini di controllo, senza nessun obbligo che corrisponda a nessuna situazione effettivamente diversa. Italiano e stranieri sono nella stessa condizione.

Bisogna aggiungere, per altro, che in molti Stati non esistono sistemi anagrafici o catastali. A tal proposito è importante citare la clamorosa vicenda del reddito di cittadinanza. Un deputato/senatore lodigiano, perché Lodi è stato il primo comune dove si è posto questo problema dove addirittura i documenti del paese di origine venivano richiesti per l’accesso a tutte le prestazioni sociali e quindi l’Isee dello straniero doveva essere integrato con questi documenti. Il Tribunale ha detto che non si poteva fare, il Comune ha impugnato in appello, l’appello ha confermato che la discriminatoria non si poteva fare e per fortuna la questione si è risolta con queste sentenze ma dopo aver creato varie difficoltà e tensioni soprattutto nel dibattito pubblico locale. Intanto che c’era questa vicenda, si è votato nel Conte 1 le norme sul reddito di cittadinanza, ed è stata inserita una norma che dice specificatamente per legge che per accedere al reddito di cittadinanza lo straniero deve portare questi documenti del paese di origine.

In sede di conversione del reddito di cittadinanza hanno aggiunto un comma che esclude tale obbligo per quei paesi che non sono in grado di fornire informazioni sulla situazione immobiliare, redditi e patrimoni, come determinato da un elenco che farà il ministero degli Esteri in accordo con il Ministero del Lavoro. Come è possibile immaginare, questa scelta ha creato un certo ostacolo per gli stranieri, i quali spesso si trovavano impossibilitati a far domanda. Con il cambio del governo, però, ci si è resi conto della sciocchezza ed è stato emanato un decreto che elenca tutti gli stati del mondo che, dotati di un sistema catastale affidabile, sarebbero in grado di fornire informazioni circa le proprietà immobiliari, per un totale di soli 18.
Attualmente, tra questi Stati non c’è nessuna nazionalità effettivamente presente in Italia, salvo il Kosovo. Mentre, per quanto riguarda i redditi nessuno è in grado di fornire informazioni adeguate.

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Quali soluzioni alternative all’Erp per gli stranieri potrebbero essere utili? Al di là del mercato privato che ovviamente nasconde le sue insidie discriminatorie. Cosa pensa delle soluzioni alternative quali cohousing o social housing?

Non sono certamente un politicante, ma come avvocato, dal punto di vista tecnico, sono dell’idea che bisognerebbe investire di più sull’edilizia residenziale pubblica. Da sempre il problema è quello delle quantità: le case a disposizione dell’ERP sono veramente poche. L’obiettivo deve essere quello di sbarazzarsi di tutte quelle clausole/ requisiti discriminatori, servendosi delle numerose sentenze chiarificatrici della Corte Costituzionale. Bisogna quindi, più che pensare a soluzioni alternative, agevolare l’accesso al pubblico.
La cosa più semplice e urgente sarebbe “fare pulizia”. Chiudiamo questa fase di “prima gli italiani, prima gli stranieri” e ripartiamo con una razionalità e una conformità alla costituzione. 

Ci avviamo alla conclusione: qual è secondo lei il problema che ruota attorno alla questione abitativa? 

Sulla casa si riversano molte delle tensioni generate dal tema della migrazione. La questione è spesso fonte di tensione sia per chi vuole usare questi argomenti in termini razzisti e aggressivi nei confronti degli stranieri, sia nei confronti di chi invece magari in buona fede è davvero in difficoltà e non capisce quali soluzioni prendere.
Il tema diventa delicato e fonte di tensioni proprio per il motivo che dicevo prima, perché non si riesce ad avere una offerta pubblica che sia minimamente in grado di rispondere a questa domanda sociale e se questo ci fosse ovvio che le tensioni diminuirebbero. Abbiamo tantissimi di questi problemi su tutte le prestazioni sociali che vengono erogate, come il Reddito di cittadinanza. Secondo clausole discriminatorie però è chiaro che la casa è il bene più importante, è più urgente e quindi più delicato. Credo che lì si rispecchino un po’ tutte le tensioni su questa materia e che vengano utilizzate in modo strumentale. 

Cosa si può fare non lo so, sicuramente ciò su cui bisogna lavorare è allentare le tensioni sul tema della ripartizione del welfare tra italiani e stranieri. Tutto sommato si potrebbe dire che più ci impoveriamo più le tensioni aumentano.
Sono troppo ottimista? Può essere, ma potrebbe anche darsi che l’attenzione finalmente si sposti su temi quali il welfare e l’obiettivo di creare una società più coesa.

É pur vero che non esiste un diritto alla casa “formalizzato”. Bisogna, però, tener conto della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea che all’art. 1 sancisce il rispetto e l’inviolabilità della dignità umana e all’articolo 34 che parla di Assistenza sociale. Non viene previsto espressamente un diritto alla casa, ma viene garantita l’assistenza abitativa. Inoltre, la stessa Corte Costituzionale ne riconosce il carattere fondamentale, in quanto trattasi di un diritto fondamentale per la tutelare la persona nella sua dignità e nelle sue esigenze di base riconosciute dall’art 2 e 3 della Costituzione come un diritto costituzionale.  

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Questa nuova stagione 2024/2025 prevede la realizzazione di 8 episodi.
La prima call pubblica, che ha avuto come obiettivo quello di promuovere un protagonismo diretto delle persone coinvolte nei processi migratori, si è svolta nel dicembre del 2023 ed ha formato la redazione del nuovo progetto.

 

Il progetto è realizzato con i Fondi dell'Otto per Mille della Chiesa Valdese.