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“Sanzionare i pubblici ufficiali che ledono i diritti umani”

I diritti umani dimenticati sulla rotta balcanica: una proposta normativa della Camera Penale di Palermo

In Bosnia e Erzegovina stiamo assistendo a una catastrofe umanitaria. Ci sono circa 8.000 migranti in tutto il paese: di questi, 5.000 sono accolti nei Centri di Transito e nei Campi, ma ce ne sono almeno 3.000 che dormono in edifici abbandonati, sistemazioni improvvisate, o all’addiaccio. Per tutte queste persone va trovata una soluzione immediata”: sono le parole pronunciate da Peter Van der Auweraert, coordinatore di IOM (OIM, Organizzazione Internazionali per i Migranti) per la Bosnia e Erzegovina.
 
La situazione di questo inverno della Bosnia Erzegovina riporta l’attenzione di tutti sulla Rotta Balcanica, che inizia in Grecia e, fisicamente, finisce in Italia, a Trieste. Una rotta che non ha mai smesso di essere percorsa da migliaia di persone, nonostante l’emergenza sanitaria causata dalla malattia pandemica del virus c.d. Covid-19, quando diversi campi profughi nei Paesi Balcanici sono stati posti in quarantena. Decine di migliaia di migranti in transito lungo questa rotta sono stati rinchiusi per mesi all’interno dei campi profughi o strutture di vario genere presenti in tutta l’area; campi, già di per sé inadeguati e sovraffollati, si sono trasformati in luoghi dalle condizioni estreme: senza servizi adeguati, in condizioni igieniche pessime, con gravi rischi per la salute psichica dei migranti. Una situazione drammatica che ha fatto aumentare esponenzialmente anche la rabbia delle comunità locali: episodi di violenza e discriminazione verso i migranti si ripetono regolarmente in tutti i paesi (dalla Grecia fino alla Bosnia Erzegovina), fino a sfociare in vere e proprie campagne di odio razziale, in ronde anti-migranti, in pestaggi e respingimenti sempre più violenti anche da parte delle polizie di frontiera. E’ di qualche mese fa (settembre 2020) la tragedia del Campo di Moria nell’isola di Lesbo, nel quale andarono distrutte tutte le strutture, già fatiscenti, di accoglienza in una situazione esplosiva per le tensioni oramai sempre più forti con le comunità locali. (Fonte Caritas Italiana).

Questa ennesima tragedia, di negazione e soppressione dei diritti umani, accade, ancora una volta, sotto gli occhi di tutti, nell’indifferenza pressoché totale dell’opinione pubblica, preoccupata dall’andamento della pandemia e dalle mosse del nuovo governo.

Così come le rotte del Mediterraneo, che continuano ad essere percorse, con altrettanti rischi, dai migranti in fuga da miseria, in primo luogo, ma anche da persecuzioni, disastri ambientali e sociali.

Senza entrare nel merito delle opzioni politiche attivate e attivabili dai singoli governi, una analisi di natura più generale, su una emergenza che da decine di anni è ormai strutturale, occorre farla, principalmente di natura giuridica.

Solo poco tempo fa, il Prof. Sabino Cassese, in una intervista radiofonica, interpellato a proposito dell’immigrazione ha toccato il tasto dolente.

L’immigrazione, in Italia, come nella totalità dei paesi europei, è affrontata, dal punto di vista giuridico, come una questione, in via prioritaria, di pubblica sicurezza, sottoposta, come tale alla vigilanza e alla gestione del Ministero dell’Interno, attraverso, in via principale, le Forze di Polizia.

In Italia, nonostante l’emanazione di una legge organica sull’immigrazione risalga ad oltre 23 anni fa, tale impostazione è rimasta.

L’immigrazione è un “problema di pubblica sicurezza” e come tale va affrontata.

Attenzione, nessuno pensa o si deve illudere che i flussi migratori non siano forieri di rischi per la collettività, per la sicurezza pubblica, o per l’apporto criminale e criminogeno che inevitabilmente, come corollario, comportano.

Ma, il punto è un altro.

E’ il vedere solo questo aspetto, questa parte, come il tutto, che innesca molti più problemi, sovente, di quelli che dovrebbe, se non arginare, risolvere.

Purtroppo, il legislatore, senza sostanziale soluzione di continuità, in questi 23 anni ha costantemente ampliato le funzioni e i poteri di Polizia a scapito del controllo giurisdizionale, in una prospettiva, che si àncora ad una visione della Pubblica Sicurezza come figura intangibile e sottratta de facto ad una verifica dibattimentale.

Si pensi ai provvedimenti di trattenimento amministrativo nei centri di permanenza per il rimpatrio, sottoposti a convalida, ma innanzi al Giudice di Pace, come se la libertà personale fosse assimilabile ad una opposizione ad una sanzione per divieto di sosta o a un reato bagatellare.

Ma il problema non è solo italiano.

La visione “monotematica” dell’immigrazione è patrimonio comune di tutta l’Europa, che ha una agenzia “Frontex” con compiti di polizia e controllo delle frontiere, e assorbe risorse enormi per il contrasto all’immigrazione irregolare, ma poco o nulla fa per assorbire, e soprattutto provare a governare, garantendo i diritti fondamentali delle persone, i flussi migratori.

E i risultati, in termini di strazio di vite umane si vedono. Al confine con la Bosnia, come sulle rotte del Mediterraneo e nei Lager libici.

Forse, dopo tanti anni, una seria riflessione, che non metta al centro solo la Sicurezza Pubblica e chi ne esercita i poteri, ma il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo, nella sua interezza, garantendo in primis quello alla vita, un controllo dei flussi con una tutela giurisdizionale effettiva, debba farsi, in Italia, come anche in tutti quei paesi che, proprio in virtù della “comoda” scappatoia della “sicurezza pubblica” non affrontano il problema collettivamente e congiuntamente, lasciando il cerino in mano al paese di turno.

E, a tal proposito, ci chiediamo anche se non sia opportuno avviare una riflessione sulla opportunità, sul piano giuridico, di prevedere specifiche disposizioni normative che impongano dei limiti, sanzionati penalmente, alle tante patologie derivanti dall’abnorme espansione delle norme del diritto di polizia.

In altri termini, forse è opportuno cominciare a riflettere su nuove tipologie di reato per i pubblici ufficiali (pur sempre tutelati dalle esimenti previste dal codice penale) che, senza incorrere nel reato di tortura, abusando del loro ufficio, o anche omettendo colposamente condotte doverose, creino un danno diretto o indiretto e/o una lesione dei diritti umani fondamentali dei soggetti in condizione di vulnerabilità, quali ad esempio i migranti in stato di bisogno o di pericolo, ma anche i soggetti sottoposti a misure limitative della libertà personale, che siano in carcere o in centri di permanenza per il rimpatrio o in strutture di accoglienza.

Ci si rende conto che la riflessione proposta possa sollevare polemiche, ma dinanzi ad una trama legislativa che consente lo sconfinamento dei poteri di polizia a scapito del controllo giurisdizionale, questo potrebbe essere un valido argine per la salvaguardia dello stato di diritto.

Il Presidente della Camera Penale
Avv. Fabio Ferrara

Il Responsabile dell’Osservatorio Diritti Umani della camera Penale
Avv. Giorgio Bisagna