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Amici dei trafficanti: il ruolo della Direzione Nazionale Antimafia e la criminalizzazione dei migranti in viaggio dalla Libia

Intervista a Lorenzo D’Agostino. Come i trafficanti libici sono stati comparati ai mafiosi italiani

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Friends of the traffickers è l’inchiesta di Lorenzo D’Agostino e Zach Campbell su come le strategie usate dal governo italiano e dall’Unione Europea per identificare e punire i trafficanti in partenza dalla Libia si sono rivelate fallimentari e hanno avuto conseguenze preoccupanti per i migranti accusati di essere presunti scafisti.

Nell’inchiesta si analizza in particolare il ruolo della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo (Dna), istituzione nata da un’idea del giudice Giovanni Falcone. Negli anni Novanta, la Dna era una delle istituzioni più importanti del paese a cui era stato affidato il compito di liberare l’Italia dall’influenza dalla mafia. Tuttavia, a partire dagli anni Duemila, l’influenza e il prestigio della Dna inizia a diminuire, come diminuisce l’attenzione mediatica rivolta alle attività criminali e agli omicidi di stampo mafioso in Italia. Quello che invece aumenta è l’attenzione mediatica rivolta al flusso di migranti che arrivano dal mare in cerca di una vita migliore in Europa. Nel 2013, sotto la guida di Franco Roberti 1, la Dna si propone come istituzione che può occupare un ruolo chiave nella lotta contro una mafia leggermente diversa, quella legata all’immigrazione irregolare in partenza dalla Libia. Roberti propone una strategia unica: utilizzare gli stessi metodi usati contro la mafia italiana per catturare gli scafisti libici e salvare i migranti in difficoltà. Ce ne parla Lorenzo D’Agostino, giornalista freelancer esperto di migrazione e polizia di frontiera.

Qual è il fondamento giuridico alla base del cambiamento di rotta della Direzione Nazionale Antimafia?

Tra la competenza della Dna rientra la tratta di esseri umani. Roberti ha dato un’interpretazione molto estensiva alla nozione di tratta di esseri umani, includendo anche la questione del contrabbando (smuggling in inglese). Nel Diritto Internazionale la questione della tratta e del contrabbando sono due nozioni molto separate. Mentre nel contrabbando c’è la volontà del soggetto di farsi contrabbandare, nella tratta, la persona viene spostata e sfruttata malgrado la sua volontà. Nel caso della migrazione libica, questi due reati hanno iniziato a essere meno distinguibili in quanto i migranti che volevano attraversare il Mediterraneo per raggiungere l’Europa si sono trovati in un giro di sfruttamento e prigionia. Inoltre la figura del trafficante (anche definito passeur) diventa sempre più sfuocata nel contesto libico, per ragioni che spiegheremo successivamente. Quest’ambiguità tra le due nozioni è stata utilizzata per far in modo che la Dna avesse potestà giuridica sulla questione della migrazione clandestina. Questa presa di posizione è stata successivamente sanzionata dalla giustizia italiana.

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Franco Roberti viene nominato Procuratore nazionale antimafia nel 2013, incarico che ricopre fino al suo pensionamento nel 2017.

Una delle cose che secondo me è interessante del nostro articolo è l’opportunismo con cui questa cosa è stata gestita. Questo tipo di reati sono stati interpretati alla luce di alcuni articoli del codice penale che consentono di ampliare la giustizia italiana sulle acque internazionali, permettendo di iniziare l’attività investigativa italiana già in acque internazionali. Per risolvere questi problemi di giurisdizione sono stati fatti degli atti interpretativi che coinvolgono la procura di Catania già prima dell’ottobre 2013. La procura di Catania aveva già iniziato a lavorare in questa maniera. C’è una relazione annuale proprio della Dna che fa riferimento al cambio di approccio della procura di Catania. Quindi cosa succede? Ci sono questi documenti della procura di Catania pronti, c’è la strage di Lampedusa ad ottobre 2013, l’Europa si indigna e Franco Roberti convoca una riunione e dice che c’è già una policy pronta, che ora di questa cosa inizia ad occuparsene la Dna. A partire dal 2013, la Dna promuove degli incontri di coordinamento che coinvolgono le forze dell’ordine italiane e tutte le procure distrettuali antimafia e poi va via via espandendosi fino a includere Frontex, alcuni procuratori legati alla Dna e anche le forze dell’ordine libiche. Le forze dell’ordine libiche si rivelano essere persone che giocano in entrambe le squadre (nelle istituzioni e nelle organizzazioni criminali). Di questo la Dna ne è a conoscenza fin da subito. Il fatto che la guardia costiera libica era dedita allo sfruttamento, all’abuso e al traffico di migranti è noto già dal 2015. La problematicità di lavorare con le istituzioni libiche emerge fin da subito. Questo progetto di collaborazione con le istituzioni libiche nel momento in cui inizia si sta già rivelando problematico e fallimentare. Roberti stesso ha confermato come questa strategia si sia rivelata del tutto fallimentare.

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Per affrontare il traffico di migranti dalla Libia, la Dna propone di trattare i trafficanti libici come i mafiosi italiani. Ma come si fa a capire chi è un trafficante? Come funzionano in pratica le indagini?

Comparare i trafficanti libici ai mafiosi italiani significa estendere la giurisdizione sulle acque internazionali, oltre i confini del territorio italiano. Ovvero significa poter salire a bordo delle navi, sequestrarle in alto mare e condurre indagini. Ti descrivo come funziona un’indagine tipo per individuare i trafficanti. Tutti sono d’accordo sul fatto che bisogna iniziare le indagini subito dopo il salvataggio. Nei documenti leggiamo di un capitano della guardia costiera che sosteneva l’importanza di condurre le indagini nei momenti subito successivi al salvataggio per stabilire un rapporto di empatia. Permettimi di rileggere quest’idea. I migranti parlano per empatia o per puro terrore? Immaginiamoci la scena: i migranti vengono interrogati sulla nave minuti dopo aver rischiato di morire annegati e aver visto i cadaveri di persone con cui hanno condiviso il viaggio. Vengono sottoposti a questi interrogatori senza sapere se sono analizzati come vittime, come informatori o come sospettati. Vengono interrogati senza un interprete formale in quanto in molti casi viene semplicemente utilizzato un migrante che riesce a farsi capire in due lingue, senza avvocato e senza che venga chiarita la sua posizione (di indagato o testimone). Spesso risulta che venga fatta una proposta suggestiva di permesso di soggiorno in cambio di collaborazione con le autorità. I migranti vengono interrogati in una situazione di estrema fragilità.

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Migranti soccorsi dalla Guardia Costiera (2017)

C’è un secondo problema. Questo ragionamento parte dal presupposto che c’è un equipaggio che porta i migranti dalla Libia verso l’Europa. Le domande che vengono fatte ai migranti sono fatte per chiarire le dinamiche e per identificare i membri dell’equipaggio. Ma come si possono identificare i membri dell’equipaggio? Viene spesso chiesto se c’è qualcuno a bordo che distribuisce l’acqua in quanto molte persone condividono l’idea che chi distribuisce l’acqua è un membro dell’equipaggio, di conseguenza un trafficante. Immaginiamoci un interrogatorio in cui viene chiesto a un migrante se ha visto qualcuno che distribuiva l’acqua durante il viaggio. Il testimone risponde che ha visto qualcuno che passava delle bottigliette d’acqua. La persona in questione viene identificata tramite una foto e questa diventa automaticamente una prova di affiliazione alle organizzazioni di trafficanti secondo la procura.

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Terzo problema. Quando vieni visto come un membro dell’equipaggio, quindi affiliato a un’organizzazione criminale, tutto quello che è successo risulta a carico tuo. Ci sono stati dei morti durante il viaggio? Anche se sono morti per asfissia o per naufragio, sono a carico tuo. E rischi di essere condannato a venticinque o trent’anni di prigione per strage oppure omicidio.

Spesso questi presunti scafisti sono persone normali che sono state costrette a guidare una barca da veri trafficanti in Libia“.
Gigi Modica

Chiudiamo con una riflessione: perché le istituzioni africane giocano in due squadre? Come si può spiegare questo doppio gioco- da un lato collaborano con l’Europa, dall’altro con le organizzazioni criminali?

Si parla spesso del doppio gioco di molte autorità africane nei confronti dell’Europa. Però io vorrei “spezzare una lancia” nei confronti delle istituzioni locali, inclusa la guardia costiera libica. Questa maniera di comportarsi è il risultato del fatto che le autorità libiche interpretano correttamente che il nostro unico interesse nei confronti di quello che succede in Libia è solo la questione migranti. All’Italia e a tanti altri paesi europei interessa solo fermare i flussi migratori. Non interessa né lo sviluppo né le attività senza interessi economici o politici in Libia. Di conseguenza, le autorità libiche sanno che possono ottenere qualcosa solo dandoci a credere che possono fermare i flussi migratori. Hanno capito perfettamente che questa è l’unica cosa che ci interessa. Visto che l’Europa si occupa solo dei propri interessi, perché dovrebbero comportarsi in maniera diversa?

Per approfondire:
– Inchiesta sul sito The Intercept (in inglese)
– Inchiesta sul sito di Internazionale (in italiano)

  1. Attualmente europarlamentare eletto con il PD: https://www.francoroberti.eu/

Silvia Peirolo

Dottoranda presso l'Università di Trento (IT), mi sono laureata in Studi Internazionali all'Università di Wageningen (NL), all'Università di Torino (IT) e a Sciences Po Bordeaux (FR). Nata e cresciuta a Torino, ho vissuto in vari paesi per studi e lavoro. Di tutti i paesi, sono rimasta appassionata alla Sierra Leone, dove ho vissuto per sei mesi. Mi interesso alle questioni legate alla polizia e alla migrazione, con un focus geografico sull'Africa occidentale. Ho lavorato precedentemente con varie agenzie delle Nazioni Unite e parlo fluentemente inglese e francese.