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Belgio: la pandemia, i migranti e il ritorno all’anormalità

Un approfondimento sul Rapporto CIRÉ 2020

Per chi non la conoscesse, CIRÉ è una struttura di coordinamento pluralista belga che riunisce 28 organizzazioni e servizi sociali a sostegno dei/delle richiedenti asilo, organizzazioni sindacali, servizi di educazione permanente e organizzazioni internazionali. Dal 1954 si dà l’obiettivo di riflettere e agire di concerto su questioni legate all’accoglienza dei/delle richiedenti asilo, al riconoscimento dei rifugiati, alla lotta contro gli arresti, all’accoglienza riservata agli stranieri e alle politiche migratorie nel loro insieme.

Innanzitutto, non sorprende che quest’anno gli arrivi siano stati meno che nel passato. Con le frontiere chiuse pochi, se non minorenni non accompagnati (MENA) e richiedenti che avevano già avuto riconosciuto lo status di rifugiato in altri paesi dell’UE e la cui richiesta è stata ritenuta inammissibile nonostante privati dei diritti di base nei paesi dell’Unione da cui provenivano, hanno fatto domanda. Tuttavia, molte sono state le sfide che i centri di accoglienza e le reti solidali hanno dovuto affrontare.

Il rapporto stilato da CIRÉ mette infatti in luce come la pandemia abbia causato particolari difficoltà a migranti e richiedenti asilo e a chi lavora per loro.

Leggendolo ci rendiamo conto che sebbene il focus sia sul Belgio, molte riflessioni sono generalizzabili a tutta l’Unione Europea. In Belgio, come nel resto d’Europa, nonostante la crisi sanitaria abbia mostrato lati inediti di solidarietà, le condizioni di vita sono peggiorate per le persone già precarie, mentre le ineguaglianze economiche si sono fatte ancora più profonde.

Chi prima della crisi aveva lavori precari, informali, ora si trova completamente dipendente dai servizi assistenziali, sia per dormire che per mangiare, come è il caso delle persone a oggi ancora senza documenti. Riuscire ad essere autonomi e acquistare una casa è stata una sfida più che in molti altri anni, ma nonostante le difficoltà con sussidi dedicati che permettono di pagare meno la casa e di pagare un mutuo in rapporto alle loro entrate, alcune famiglie hanno trovato la loro autonomia abitativa.

Le misure di contenimento del virus hanno avuto effetti su più fronti però, compreso quello giuridico-legale. Con le ambasciate chiuse o aperte a tempi ridotti, i locali chiusi e le attività economiche in difficoltà è stato difficile, quando non impossibile, rinnovare permessi di soggiorno, richiedere il ricongiungimento familiare o poter lavorare per continuare ad avere diritto di permanere nel paese. I ritardi, sia nel fare domanda per documenti, che nel riceverli, sono stati epici e così quelli relativi ai test di cittadinanza.

Le persone migranti e i richiedenti asilo hanno dovuto attendere a lungo per vedere le loro domande d’asilo registrate dall’Ufficio degli Stranieri (OE), e poi prese in considerazione, mentre i servizi sociali non hanno potuto accogliere persone per la pandemia che investiva l’Europa. Le audizioni al Commissariato Generale per i Rifugiati e gli Apolidi (CGRA) e le udienze del Consiglio dei contenziosi degli stranieri sono state infatti sospese prima di riprendere dopo l’estate e i centri d’accoglienza hanno dovuto sottostare a standard sanitari che non hanno permesso incontri di persona.

In tutto questo, le donne e i minori risultano ancora una volta essere la minoranza tra le minoranze. Confinamento e lockdown hanno significato per molte, migranti e non, un peggioramento delle violenze domestiche subite. Tra l’altro, con gli ospedali focalizzati sull’emergenza covid, per le donne maltrattate è stato particolarmente difficile trovare personale sanitario che si occupasse di loro e certificasse le violenze subite, una volta riuscite ad uscire da casa. Ma l’isolamento forzato a causa del virus ha avuto un effetto particolarmente negativo anche sui minorenni non accompagnati che hanno perso occasione di socializzazione e avuto difficoltà a seguire con costanza lo studio.
In generale, come si nota dal grafico, c’è stato e c’è un incremento di persone che soffrono di problemi psicologici o psichiatrici che ha portato all’istituzione del Progetto di Accompagnamento Ravvicinato per la Salute Mentale.
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Se gli studenti hanno dovuto vivere di fronte ad uno schermo, in generale la maggior parte delle attività formative e di supporto per le persone migranti sono state trasferite online. Questo ha reso possibile continuare le attività, ma solo per chi possiede un computer o una connessione internet stabile. Da un lato, il non potersi vedere dal vivo ha spinto ad essere creativi e ha anche portato ad una maggiore interazione con persone con difficoltà motorie e con chi non riesce normalmente a seguire le attività di persona.

D’altra parte, la mancanza di strumenti, di computer, ma anche di competenze “tecnologiche” ha marginalizzato molti. La marginalizzazione non è però l’unico problema sorto in relazione al divario tecnologico. Quando l’Ufficio degli Stranieri (OE) ha richiesto che le domande d’asilo venissero compilate via web, questo ha portato altri problemi, quello del consenso informato e della privacy dei richiedenti, senza peraltro che il sistema online velocizzasse il processo di accoglienza. Questo sistema non ha avuto vita lunga però. Grazie all’impegno di CIRÉ le persone possono tornare a fare richiesta di persona ed avere assegnato un posto di accoglienza il giorno stesso.

Il problema più evidente sembra dunque essere la cecità del sistema, belga, italiano, europeo in generale, che chiede ai migranti cose impossibili e non ne riconosce le competenze, sprecando conoscenza e tempo. Manca una visione olistica dei problemi che sappia affrontarli non singolarmente, ma come parte di un progetto più ampio di società, e manca una seria affermazione dei diritti fondamentali.

A tratti, anche la più basilare coerenza sembra assente. In Belgio, infatti, non si è battuto ciglio nel liberare più di 300 persone nei centri di detenzione per evitare assembramenti, persone che non sono più tornate in carcere, dimostrando così che il non avere il permesso di soggiorno non equivale ad essere criminali. Eppure, questa è stata solo un’azione ad hoc, che non ha portato alcun cambiamento a livello generale. Infatti, si continua a vedere le persone sprovviste di documenti come colpevoli e meritevoli del carcere, e viene loro imposto di tornare ai loro paesi, anche in un anno in cui i viaggi sono impossibili, quando non formalmente proibiti.

Naturalmente, la stessa impossibilità di muoversi ha reso impraticabile anche il tornare in patria per fare domanda d’asilo prima di entrare in Belgio, come richiesto dall’Ufficio stranieri quando ha ritenuto inaccettabili le domande d’asilo fatte direttamente in territorio belga.

Come sottolinea CIRÉ, il sistema è cieco a suo stesso danno. L’esempio più evidente di questa miopia politica è il fatto che anche i medici stranieri desiderosi di lavorare, si sono visti negare il riconoscimento del loro titolo di studio e non hanno potuto aiutare il personale sanitario locale nella cura dei malati di COVID. Le competenze dei migranti e la ricchezza derivante da una migrazione gestita in modo competente e lungimirante sono negate da una politica che non sa accogliere.
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In conclusione, non è sorprendente che la pandemia abbia fortemente colpito i servizi destinati ai migranti. Quello che il rapporto CIRÉ ci dice però è che le associazioni, in rete, possono fare molto, per esempio da un punto di vista istituzionale. Ci sono state infatti vittorie anche sul fronte legale: in seguito al ricorso fatto da CIRÉ e dieci altre associazioni, la Corte Costituzionale ha decretato un’interruzione d’annullamento parziale della legge del 19 settembre 2017 sui riconoscimenti fraudolenti di paternità/co-maternità.

Questa interruzione sanziona l’assenza di un ricorso legale specifico contro il rifiuto da parte dell’ufficiale dello stato di riconoscere la paternità per “motivi di frode legati all’ottenimento del permesso di soggiorno”. Inoltre, abbiamo già visto che dal ricorso portato da CIRÉ e accolto dalla corte del Belgio, le richieste d’asilo online non sono più pratica comune e le persone hanno immediato diritto ad un posto dove stare in attesa che la loro richiesta venga valutata. Inoltre, CIRÉ crea rete sociale. È parte di un comitato Integrazione e Diritti di ADDE (Association pour le droit des étrangers) e istituzionale, e parla con i centri regionali di integrazione regionale e la commissione anti-razzista federale (Commission d’accompagnement Racisme).

Il supporto istituzionale è più che mai necessario e così fondi e leggi lungimiranti, cose che la società civile deve continuare a pretendere, più che mai in periodi di crisi.

  1. https://www.cire.be/rapport-annuel/le-rapport-annuel-du-cire-pour-lannee-2020

Elettra Repetto

Dopo anni di attivismo in ambito ambientalista e dopo aver lavorato e collaborato con ONG italiane e greche che si occupano di richiedenti asilo e rifugiati, ho deciso di dedicarmi alla ricerca. Ora sono una dottoranda in Teoria Politica e Diritti Umani alla Central European University di Budapest/Vienna. Come membro di Eurodoc, il Consiglio Europeo dei Dottorandi, partecipo al gruppo di lavoro che combatte per equità e uguaglianza in ambito accademico.
I miei interessi di ricerca principali sono la disobbedienza civile, la giustizia globale, l’ambiente e la migrazione.
Oltre a collaborare con Melting Pot, sono chief editor di Rights!, una piattaforma editoriale specializzata in diritti umani.
Da anni porto avanti un progetto fotografico sull'identità e i luoghi.