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Georgia – Protezione speciale alla richiedente: il rimpatrio la porrebbe in una situazione di vulnerabilità nei suoi diritti fondamentali, violando anche il diritto alla vita privata

Tribunale di Bari, decreto del 16 aprile 2021

Photo credit: Oxfam Italia

Il Tribunale Civile di Bari – sezione immigrazione ha valutato la storia di una cittadina georgiana vittima di violenza domestica come caso vulnerabile, riconoscendole la protezione speciale ai sensi e per gli effetti dell’art. 19 comma 1.1 e comma 1.2. del D.lgs. n. 286/98 e facendo anche un interessantissimo excursus normativo e giurisprudenziale che merita di essere evidenziato.

La Corte ha rilevato che che la protezione c.d. umanitaria e la “protezione speciale” attualmente vigente hanno in comune i seguenti elementi:

1) il subordinare il riconoscimento della tutela ed il conseguente divieto di espulsione ex art. 19 TUIMM all’accertamento della sussistenza di un rischio di compromissione di diritti fondamentali – ora espressamente compendiati nel diritto al rispetto della vita privata e familiare – dipendente dal rimpatrio in ragione delle particolari condizioni personali dello straniero;

2) la necessaria contestualizzazione delle condizioni personali del richiedente e, dunque, la comparazione tra l’esperienza dello straniero sul territorio nazionale e quella nel Paese d’origine.

Ora come allora, non è sufficiente l’allegazione di un’esistenza migliore in Italia, sotto il profilo dell’integrazione sociale, personale o lavorativa, ma è necessaria una valutazione comparativa tra la vita privata e familiare del richiedente in Italia e quella che egli ha vissuto prima della partenza e alla quale si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio (Cass., Sez. I, n. 7733/2020), al fine di accertare se lo straniero sia sradicato dal paese di provenienza sul piano socio-economico e su quello personale e che il solo rimpatrio costituisca motivo di pregiudizio di diritti fondamentali personali.

Resta comunque ferma la possibilità di applicare la normativa di cui all’art. 5 comma 6 del DLvo n. 286/1998, nella formulazione antecedente all’intervento abrogativo di cui al DL n. 113/2018 e nel caso in cui la domanda di protezione sia stata presentata in data anteriore all’entrata in vigore del DL 113 cit., con riferimento a quelle vicende in cui ci siano situazioni non rientranti nella previsione di cui all’art. 19 comma 1.1 nella formulazione introdotto con il DL n. 130/2020, e si ritenga che invece ricorrano i “gravi motivi” di cui al citato art. 5 comma 6 nella formulazione ante DL n. 113/2018.

In tale prospettiva, non sono quindi condivisibili interpretazioni che propongono una abrogazione implicita della protezione umanitaria ex art. 5 comma 6 previgente.

Tale interpretazione pare peraltro avvalorata dallo stesso Dossier di presentazione del D.L. 130/20 degli Uffici studi della Camera dei Deputati e del Senato1, che a pag. 132, dopo essersi diffuso sull’applicabilità – tra l’altro – del nuovo art. 19 comma 1.1 ai procedimenti in corso davanti alle Commissioni territoriali, al Questore ed alle Sezioni specializzate dei Tribunali, precisa quanto segue: “In relazione alla operatività dell’intervento legislativo nei procedimenti e nei giudizi in corso, ove la legge non disponga espressamente in merito, si ricorda che è intervenuta la pronuncia della Suprema Corte di Cassazione n. 4890/2019, relativa all’applicabilità della normativa introdotta con il D.L. 113/2018 in materia di permessi di soggiorno per motivi umanitari”.
Effettuate le esposte considerazioni, s’impone di individuare la norma ratione temporis applicabile al caso di specie.

Il D.L. n. 130/2020 disciplina questo aspetto all’articolo 15, comma 1,(“Disposizioni transitorie”), che prevede che le norme di cui all’articolo 1, comma 1, lettera e) si applicano anche ai procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore del decreto legge avanti alle Commissioni Territoriali, al Questore e alle Sezioni Specializzate dei Tribunali.

Ritiene, quindi, il collegio che al procedimento trovi applicazione la nuova disciplina, attesa la pendenza dello stesso alla data di entrata in vigore del decreto-legge, fissata dall’articolo 16 nel giorno successivo a quello della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, avvenuta il 21.10.2020.

Privo di rilievo si mostra, pertanto, il momento della presentazione della domanda. Questo criterio era stato infatti individuato dalla Corte di Cassazione per stabilire, nel silenzio circa il regime transitorio di cui alla novella del 2018, quando trovasse applicazione la disciplina previgente – protezione umanitaria – e quando trovasse applicazione quello nuovo – protezioni speciali – (Cass. Civ., Sez. Un., 13.11.2019, nn. 29459, 29460, 29461).

Al contrario, il D.L. n. 130/2020, al fine di non far residuare dubbi in merito alla normativa di volta in volta applicabile, ha regolato in maniera inequivoca anche siffatto aspetto. Sicché, il dato letterale è sicuro vincolo per l’interprete.
Questo collegio, peraltro, non ravvisa vizi di incostituzionalità nella determinazione del legislatore, dipendenti da possibili disparità di trattamento di situazioni identiche o analoghe ovvero da irrazionalità, proprio in virtù della continuità di disciplina.

Quanto all’integrazione sociale, la richiedente ha prodotto buste paga da agosto a dicembre 2018, la busta paga di gennaio 2019, altre buste paga dei mesi da aprile a maggio 2019 nonché buste paga dei mesi da agosto a novembre 2020 (si noti che l’ultima udienza è dell’11.1.2021).

Può quindi valutarsi in termini sufficientemente positivi il percorso di integrazione sociale e lavorativo posto in essere almeno negli ultimi anni dalla ricorrente, valutazione cui deve aggiungersi il fatto che quest’ultima ha verosimile una stabile abitazione come emerge da quanto riportato sulla denuncia di contratto di lavoro e dalle buste paga dell’anno 2020.

La ricorrente è in Italia da diversi anni, il che rimanda quanto meno ad un effettivo sradicamento dagli ambienti sociali e soprattutto lavorativi del Paese di provenienza. Può quindi ritenersi che il rimpatrio della ricorrente, in un tessuto sociale e familiare da cui si è allontanata e nel quale appare difficile un rapido e soprattutto efficace reinserimento, interromperebbe il percorso di integrazione sociale in atto e porrebbe la stessa ricorrente in una situazione di vulnerabilità nei suoi diritti fondamentali, violando anche il suo il suo diritto alla vita privata.
In conclusione, ricorrono i presupposti di cui all’art. 19 comma 1.1 del DLvo n. 286/1998, come modificato dal DL n. 130/2020.

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Tribunale di Bari, decreto del 16 aprile 2021

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