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Assegno sociale – L’INPS non può richiedere la restituzione sulla base di temporanei e brevi allontanamenti dal territorio nazionale

Tribunale di Bari, Sez. Lavoro, sentenza del 28 aprile 2021

Il caso riguarda una cittadina albanese beneficiaria dell’assegno sociale con decorrenza dall’1/3/2004 e invalida al 100% che nel 2010 acquistava la cittadinanza italiana.
Con comunicazione del 20/06/2016 l’INPS informava la ricorrente che “nel periodo che va dal 01/06/2011 al 31/10/2015, le erano stati pagati 13.068,42 euro in più sulla Sua pensione per i seguenti motivi: periodi di permanenza all’estero superiori a 30 giorni. Il pagamento dell’assegno sociale è sospeso“.
La difesa affidava dapprima il ricorso amministrativo ed in assenza di determinazioni da parte dell’INPS decorsi i 90 gg il ricorso al Giudice del Lavoro, le seguenti doglianze:
l’assenza di motivazione del provvedimento con cui si annunciava il recupero del presunto indebito con sospensione di AS, rendeva lo stesso illegittimo per violazione dell’art. 3, Legge 241 del 1990, ai sensi del quale ogni provvedimento amministrativo dev’essere motivato con l’indicazione dei presupposti e delle ragioni giuridiche che lo hanno determinato, tanto più se si tratta di atti che incidono direttamente sulla sfera patrimoniale del destinatario (si vedano le sentenze della Cassazione n. 19762 del 2008 e n. 198 del 2011); detta comunicazione, inoltre, non specificava né i periodi in cui la ricorrente si sarebbe recata all’estero, né i periodi in cui la stessa sarebbe stata in Italia, mancando altresì ogni riferimento ai controlli o alle verifiche che sarebbero state fatte presso la propria abitazione nonché alle risultanze delle stesse;
non vi era alcuna norma che imponeva un onere di comunicazione legale circa l’allontanamento temporaneo dal luogo di dimora ovvero dal territorio nazionale da parte del beneficiario dell’assegno sociale, salvo il mutamento radicale dei requisiti necessari all’ottenimento del beneficio, che ora come allora sono solo due quello reddituale e quello della residenza continuativa nel nostro paese; le verifiche dei requisiti, dovevano essere accertati dall’ente erogatore ogni anno, poiché l’assegno sociale viene sempre liquidato con carattere di provvisorietà, con la possibilità nell’anno successivo, di operare la liquidazione definitiva, la modifica o la sospensione del beneficio sulla base delle risultanze dei controlli effettuati;
all’esito dei controlli ove venivano riscontrate irregolarità, l’ente erogatore, doveva comunicare formalmente un provvedimento motivato di modifica o di sospensione della prestazione e, successivamente, come previsto dalla circolare INPS n. 012886 del 04/06/2008, provvedere, previa verifica del permanere delle irregolarità, al riaccredito del beneficio ove siano venute meno le cause di sospensione;
la richiesta di restituzione delle somme erogate appariva oltre che illegittima anche tardiva dovendosi ritenere, sulle prestazioni già corrisposte, intervenuta la prescrizione del diritto alla ripetizione, ciò per due ragioni, la prima perché l’eventuale richiesta di restituzione doveva essere avanzata anno per anno, la seconda perché se fossero stati avviati i controlli anno per anno, un’eventuale accertamento della modifica dei requisiti per la corresponsione dell’assegno avrebbe comportato la sospensione dell’erogazione dello stesso nell’anno solare, con una richiesta di un eventuale indebito assai inferiore, nonché, la possibilità per la ricorrente di chiarire immediatamente, e non dopo diversi anni, eventuali irregolarità; ex art. 52 1. 88/1989, peraltro, in assenza di dolo, come nel caso della ricorrente, non si poteva fare luogo al recupero delle somme corrisposte e non dovute;
l’allontanamento dalla dimora ovvero la permanenza all’estero per brevi periodi che eventualmente dovesse essere provata dall’INPS, previo accertamento legale da parte del competente ufficiale di stato civile, non poteva comportare la violazione del principio di inesportabilità della prestazione poiché la stessa veniva completamente utilizzata in Italia.

Ai sensi dell’art. 43 del c.c., infatti, la residenza è il luogo in cui la persona ha la dimora abituale e sussiste, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, in presenza “dell’elemento obiettivo della permanenza in tale luogo e dell’elemento soggettivo dell’intenzione di abitarvi stabilmente, rilevata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali” (Cass. n. 25726 del 2011). Risultava, pertanto, oltremodo gravoso subordinare il mantenimento della residenza della persona alla sua ininterrotta presenza in quel luogo, sicché è sufficiente che, nonostante momentanei allontanamenti dovuti ad esempio a motivi di lavoro, salute o villeggiatura, la stessa, secondo la Cass. Sez. II n. 1738 del 14 marzo 1986 “conservi in esso l’abitazione, vi ritorni quando è possibile e vi mantenga il centro delle proprie relazioni familiari e sociali”. In senso conforme la recentissima pronuncia della Suprema Corte di Cassazione, sent. n. 05 luglio 2019, n. 18189 che nei confronti di un cittadino extracomunitario: “Inoltre, la tesi dell’Inps, secondo cui l’allontanamento anche solo temporaneo farebbe venir meno il diritto alla prestazione per il principio della “inesportabilità” delle prestazioni assistenziali, introdurrebbe un limite al diritto non previsto dalla legge e discriminatorio in ragione della oggettiva diversità della posizione dello straniero extracomunitario rispetto al cittadino italiano. Ne consegue che non essendo in discussione la residenza, ma venendo in rilievo solo un mero allontanamento temporaneo, sussiste il diritto della assistita alla prestazione anche per il periodo in cui si è volontariamente allontanata dal luogo di dimora abituale. Occorre, infatti, ricordare che la residenza è determinata dalla abituale volontaria dimora di una persona in un dato luogo, sicché concorrono ad instaurare tale relazione giuridicamente rilevante sia il fatto oggettivo della stabile permanenza in quel luogo, sia l’elemento soggettivo della volontà di rimanervi, la quale estrinsecandosi in fatti univoci evidenzianti tale intenzione, è normalmente compenetrata nel primo elemento (Cass., 5 febbraio 1985, numero 791; Cass., 14 marzo 1986, n. 1738, secondo la quale questa stabile permanenza sussiste anche in caso di temporaneo allontanamento sempre che la persona vi ritorni quando possibile e vi mantenga il centro delle proprie relazioni familiari e sociali).”.

Deve aggiungersi, peraltro, che la prestazione assistenziale de quo, fu introdotta dalla Legge 335/95 (art. 3 c. 3), e si rivolgeva a cittadini italiani e stranieri quest’ultimi in possesso di permesso UE per soggiornanti di lungo periodo, residenti nel territorio nazionale, che versano in “stato di bisogno”. La norma originaria venne integrata dall’art. 20 c. 10 D.L. 112/2008, convertito con modificazioni in L. n. 133/2008, il quale dispose che a decorrere dal 1° gennaio 2009, l’assegno sociale è corrisposto agli aventi diritto a condizione che abbiano soggiornato legalmente, in via continuativa, per almeno dieci anni nel territorio nazionale.

Orbene, poiché il ricorrente è beneficiario dell’assegno sociale AS con decorrenza da marzo 2004, non si ritiene detto ultimo requisito sia a lei estendibile. Sul punto si richiama la Sentenza della Corte di Cassazione n. 10460 del 6 maggio 2013. Nel caso de quo l’INPS, quindi, non aveva considerato che la ricorrente è cittadina italiano dal 2010, ma che la stessa è in possesso di tutti i requisiti, ora come allora, per il ripristino dell’assegno sociale non corrisposto dal 01/11/2015.

Il Giudice del Lavoro del Tribunale di Bari a seguito di una adeguata istruttoria accoglieva il ricorso e dichiarava la ricorrente non tenuta alla restituzione delle somme che secondo l’INPS avrebbe dovuto restituire.

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Tribunale di Bari, Sez. Lavoro, sentenza del 28 aprile 2021

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