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Isole Canarie: nuove proteste a Tenerife

Chiedono il trasferimento verso la terraferma

Photo credit: Mattia Iannacone

A Tenerife il 26 giugno scorso un centinaio di persone si sono riunite di fronte ai cancelli del campo di Las Raíces, uno dei sei campi governativi delle Canarie, per protestare contro le pratiche discriminatorie attuate dalle istituzioni e da Accem (l’Ong che gestisce il campo: Asociación Comisión Católica Española de Migraciones).
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Nonostante nell’ultimo mese la maggior parte delle persone detenute nei campi siano state finalmente trasferite in altri centri di accoglienza nella penisola, molte altre si trovano ancora bloccate alle Canarie, intrappolate a causa degli ostacoli burocratici generati dalle istituzioni stesse.

La situazione di incertezza e la continua violazione dei diritti che queste persone stanno vivendo da cinque mesi è insostenibile. I campi non sono un luogo sicuro, bensì una forma di violenza istituzionale. Si tratta di luoghi adibiti dalle autorità per governare una situazione di instabilità strutturale. Sono luoghi di alienazione e d’attesa, asettici, anonimi, che spersonalizzano gli individui, costretti all’inattività totale. Riproducono al loro interno condizioni di vita ridotte all’essenziale. Nascono come spazi di natura emergenziale, per diventare poi luoghi che regolano l’attesa, gli spazi e il tempo, incidendo sulle biografie e sulla libertà di chi vi ci abita.

Le circa 80 persone che attualmente risiedono nel campo di Las Raíces (che ha ospitato nei mesi scorsi più di duemila persone) si sono organizzate per chiedere che la loro situazione sia risolta una volta per tutte e che sia loro permesso di continuare il proprio viaggio in condizioni dignitose. Da oltre una settimana un gruppo di persone in sciopero della fame sta dormendo a ridosso dei cancelli per cercare di ottenere da Accem il trasferimento alla penisola. Tuttavia sembra non esserci alcun criterio oggettivo sulla scelta delle liste per i trasferimenti, che finora sono stati effettuati in modo del tutto aleatorio. L’abitudine di trattare le persone come meri numeri è solo un aspetto della condotta denigratoria mantenuta in questi mesi da Accem nella gestione del campo.

Inoltre va detto, in primo luogo, che i trasferimenti non rispecchiano tanto la volontà del governo spagnolo di lasciar proseguire alle persone in transito il proprio cammino, quanto più la preoccupazione di prevenire possibili nuovi arrivi durante l’estate e, in effetti, l’inizio delle procedure di trasferimento è coinciso con l’aumento del numero di sbarchi sulle isole.

In secondo luogo, i trasferimenti non costituiscono una soluzione reale, in quanto le condizioni dei centri di accoglienza di destinazione (principalmente gestiti dalla Croce Rossa e da Accem) offrono le stesse condizioni di quelli di partenza, per cui la vita di chi li abita spesso si riduce a mangiare, dormire e relazionarsi con i propri compagni di stanza. Non vengono offerte attività che facilitino il processo di integrazione, al contrario i problemi di natura psicologica vengono trattati solo con la somministrazione di psicofarmaci e sedativi, alimentando la tendenza all’isolamento e all’autoesclusione, e generando problemi di dipendenza e abuso.

In ogni caso, uscire dal contenimento imposto dall’esternalizzazione della frontiera, quindi raggiungere l’Europa continentale, solo per pochi coincide con l’arrivo a destinazione. Per la stragrande maggioranza si tratta solo dell’inizio di una nuova tappa, quella della regolarizzazione, che può durare anni, in quanto la maggior parte delle richieste d’asilo vengono diniegate. Anni di vita al margine, di vita illegale, in cui si sciolgono le speranze e le illusioni di trovare una vita migliore una volta arrivati finalmente in Europa.
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Mattia Iannacone

Mi chiamo Mattia, vengo da Novara e mi sono laureato in scienze politiche a Padova. Ho avuto diverse esperienze in frontiera come attivista in Italia, Spagna e nei Balcani. Attualmente vivo a Bologna dove studio antropologia.