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Libia verso le elezioni, ancora troppi i nodi irrisolti

Un primo bilancio della conferenza di Berlino

Il 23 giugno, si è aperta una seconda conferenza sulla Libia a Berlino. Una riunione in cui erano presenti solo i ministri degli Esteri dei Paesi partecipanti, tra cui la nuova amministrazione degli Stati Uniti, la Cina, la Russia, l’Algeria, la Repubblica Democratica del Congo (Rdc), l’Egitto, il Marocco, la Tunisia, la Turchia, gli Emirati Arabi Uniti. Poi ancora, la Francia, i Paesi Bassi, l’Italia, la Svizzera, il Regno Unito e ovviamente anche la Germania e la Libia; oltre ai rappresentanti dell’Onu, dell’Ue e della Lega Araba.

Mohammed Menfi, il capo del Consiglio presidenziale libico, è arrivato il giorno prima a Roma ed ha incontrato il premier italiano Mario Draghi. Hanno discusso di immigrazione irregolare, sicurezza delle frontiere, sostegno alle elezioni e riconciliazione nazionale. Draghi ha ribadito l’appoggio italiano al processo politico libico e Menfi ha sottolineato la nutrita alleanza strategica e di cooperazione tra i due Paesi.

Un passo indietro nella storia

Ma prima andiamo per ordine, e ripercorriamo gli ultimi avvenimenti che hanno cambiato drasticamente la storia del Paese.

Un tempo la Libia veniva definita dalle Nazioni Unite il paese con il livello di sviluppo umano più avanzato di tutta l’Africa. La nazione più progredita del Continente, anche dal punto di vista sociale, è stata ripetutamente bombardata aprendo le porte ad una destabilizzazione che ha portato potere a milizie e traffici di vario genere tra cui quello dell’immigrazione clandestina.

Uno Stato che è da sempre un polo di attrazione perché ricco di petrolio. E’ finito letteralmente nel disordine più completo dopo la rivolta sostenuta dalla Nato nel 2011 che ha detronizzato Muammar Gheddafi spaccando il Paese. Da un lato la Tripolitania sostenuta dal Gna (Governo di accordo nazionale) e le Nazioni Unite. Dall’altro la Cirenaica retta da Khalifa Haftar. Entrambe le parti venivano appoggiate da alcune milizie locali e da una serie di potenze regionali e straniere.

Questo era più o meno l’assetto in cui viveva la Libia, fino al 2019, quando Haftar e le sue forze, con l’appoggio degli Emirati Arabi e l’Egitto hanno cercato di prendersi Tripoli. Un’offensiva che non è riuscita nel suo intento grazie anche al sostegno militare della Turchia a fianco del Gna.

E’ seguito un cessate il fuoco prima e un accordo dopo, sotto l’egida delle Nazioni Unite, di un governo di transizione per porre fine ad anni di conflitti tremendi. Un organismo politico capitanato da Abdul Hamid Dbeibah, ufficialmente nominato premier della Libia il15 marzo 2021, con elezioni previste il 24 dicembre di quest’anno. Il ruolo di Dbeibah dovrebbe, quindi, essere quello di garantire stabilità politica alla Libia e dirigere al meglio i prossimi passi verso il piano di pace previsto dall’Onu.

Il bilancio della conferenza: il futuro della Libia

Si può definire un risultato a metà quello che è emerso dalla seconda conferenza di Berlino sulla Libia. Tutti i componenti internazionali coinvolti al vertice, incluso lo stesso governo libico, si sono dimostrati allineati sull’accordo elaborato dall’Onu, che prevede le elezioni il 24 dicembre prossimo, e la fuoriuscita delle forze straniere ancora presenti sul territorio.

Ma, le fratture politiche interne ed esterne non sono mancate e queste potrebbero frenare il piano di riconciliazione.

Ci sono degli ostacoli. Il tempo è uno, perché in scadenza. Secondo la ministra degli Esteri libica, Najla el Mangoush, per rendere possibili le elezioni servono regole di voto e sicurezza. Quest’ultima legata alla presenza dei mercenari stranieri e locali, mentre la prima questione è la necessità di avere una nuova legge elettorale a cui si legano quesiti sostanziali. Tipo: quali saranno i poteri del nuovo presidente, da chi verrà eletto, che peso avranno le regioni che compongono la Libia e come si comporteranno gli sconfitti.

Il voto potrebbe ritardare perché lo stesso primo ministro libico ha dichiarato di non riscontrare serietà degli organi legislativi. Un’accusa al parlamento libico eletto nel 2014 e al suo presidente Aguila Saleh. Il quale vorrebbe indire un referendum popolare sul Progetto di Costituzione della Libia del 2017, e quindi con un inevitabile slittamento delle elezioni.

Poi c’è un grande nodo ancora da sciogliere: come organizzare un voto con mercenari stranieri presenti ovunque nel territorio. La Libia ne è piena, dai turchi ai russi, agli Emirati Arabi Uniti. Circa ventimila combattenti stranieri. Tutti interessati, con le proprie idee e forze, che sulla carta sono pronti a lasciare il Paese, e quindi più che un problema logistico si pensa ad ostacolo soprattutto politico. Come la Turchia che si è detta pronta a ritirare i propri mercenari, ma non i soldati, perché vincolati dal memorandum sottoscritto con Al Sarraj nel 2019.

Per quanto riguarda l’Italia sembra che sia stato raggiunto un nuovo accordo, in linea con il memorandum Italia-Libia, per incrementare il tema della sicurezza e un maggiore sostegno alla protezione dei confini libici, soprattutto le coste. Secondo i dati dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni 1 le intercettazione in mare e i respingimenti illegali in Libia sono aumentati con 11.891 migranti respinti in tutto il 2020 e 14.388 fino al 19 giugno 2021. La Libia per il nostro Paese e l’Europa rimane pur sempre il principale punto di partenza del Nord Africa per le persone che provano a raggiungere l’Italia in condizioni estremamente precarie.

  1. https://www.iom.int/countries/libya