Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
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Lo zoning (im)possibile: il caso veneziano

Tesi di laurea di Chiara Perin

Photo credit: Red Umbrella Fund

Università Ca’ Foscari di Venezia

Corso di Laurea magistrale in Lavoro, Cittadinanza Sociale e Interculturalità

Lo zoning (im)possibile: il caso veneziano

Analisi dell’evoluzione storica, politica e sociale della governance pubblica della prostituzione nel Comune di Venezia

Anno Accademico 2019 / 2020

Introduzione

La presente ricerca ha come obiettivo l’analisi dell’esperienza di zoning veneziana e la comprensione dei processi e delle dinamiche che hanno portato al progressivo abbandono delle istanze politiche e sociali che, in passato, hanno caratterizzato l’implementazione di questo progetto.

Una progettualità che si sviluppa a partire dalla seconda metà degli anni ’90, in qualità di risposta politica e pubblica alle mobilitazioni della cittadinanza nei confronti delle sacche di microcriminalità che si andavano sviluppando intorno alla stazione di Mestre ed al conseguente clima di insicurezza ed instabilità sociale.

Mobilitazioni che si sono espresse attraverso, non solo i media locali e nazionali, ma anche tramite esposti, fiaccolate, presidi, manifestazioni ed occupazioni, evolvendosi rapidamente nell’organizzazione di comitati preposti, insieme alle forze dell’ordine, alla repressione di quei fenomeni considerati pericolosi e portatori di degrado, disturbatori dell’ordine pubblico. L’allora ed ancora attuale sentimento di insicurezza veniva, e continua ad essere dirottato, verso tutti quei corpi visibili su cui è più semplice intervenire per allontanarli dalla vista e ristabilire una parvenza di ordine sociale basato su una definizione ambigua e fuorviante di decoro.

Un allontanamento che è espressione diretta di un controllo sociale che mira a reprimere comportamenti ritenuti devianti ed illegittimi: i corpi eccedenti (Simone, 2010) vengono così rimossi, ripulendo lo spazio urbano e pubblico dalle persone considerate e costruite come marginali, acutizzando il senso di fastidio dei cittadini benpensanti verso chiunque non rientri in determinati canoni (Bukowsky, 2019). Si va dunque delineando un discorso pubblico e politico che fa coincidere e legittima la sovrapposizione contra legem tra l’esercizio della prostituzione ed altre fattispecie criminose, legate in particolare allo spaccio di stupefacenti.

La ricerca analizza il peculiare posizionamento del progetto zoning di Mestre in questo panorama complesso e contraddittorio attraverso le narrazioni ed interviste dei soggetti che hanno partecipato alla sua creazione. Evidenziandone specificità e limiti, verrà dunque tracciata ed esaminata l’evoluzione storica, politica e sociale di questo peculiare modello di governance della prostituzione: il fine è sottolinearne non solo la forza riformatrice e creatrice nel panorama italiano, ma anche evidenziarne le fratture teoriche e le criticità pratico/operative che ne hanno decretato la fine.

La presente ricerca in qualche modo vuole svelare le molteplici potenzialità di questo progetto delineando gli strumenti necessari per una sua efficace attuazione. In questo senso, viene messa in luce la possibilità di attuazione di un modello inclusivo di governance della prostituzione, a patto che vengano sviluppati tutti i punti di una progettazione virtuosa come quella veneziana: la presente ricerca può dunque costituire un punto di partenza per affrontare le contraddizioni delle progettazioni future.

1.1 Contesto della ricerca

Nel 2001 viene sviluppata la progettualità legata allo zoning, che prevedeva l’individuazione formale di spazi off limits o aree out (aree ad alta urbanizzazione e conflittualità) in cui non era possibile esercitare l’attività di prostituzione e la conseguente creazione di zone informali di attività in aree (che avrebbe dovuto essere) limitrofe, accessibili e dotate di alcuni servizi essenziali per la sicurezza di chi si trova in strada, in termini di pulizia e qualità dell’arredo urbano, in una potenziale continua ridefinizione degli spazi in base alle richieste della cittadinanza ed alla mediazione diretta con chi si trovava in strada. Esperienza che, in breve tempo, si concretizza nella creazione di un vero e proprio servizio comunale dedicato, il servizio ‘Città e Prostituzione’, con il compito di garantire non solo la buona riuscita dello stesso progetto ma anche di legittimarne ed enfatizzarne il portato sociale e politico.

Le trasformazioni avvenute all’interno del servizio comunale riflettono ed influenzano l’operatività dello stesso progetto e sono fondamentali per comprendere il progressivo mutamento operativo ma anche politico-sociale del piano di zoning nel Comune di Venezia.
Un continuo gioco di specchi e distorsioni, influenzato a sua volta da una progressiva enfasi, a livello nazionale, su quelle istanze repressive e securitarie che caratterizzano le sempre più apprezzate politiche di tolleranza zero (De Giorgi, 2015).

L’interesse nei confronti delle politiche di governance della prostituzione nasce da alcune riflessioni teoriche nei confronti dell’esperienza di zoning attuata in altri paesi Europei, tra cui Svizzera, Olanda e Germania. La letteratura in merito mette ben in luce i chiaroscuri e le contraddizioni dei vari modelli di zoning, sperimentati nei diversi contesti. Nel confrontarmi con la letteratura presente sull’argomento, si è resa fin da subito evidente un’interessante tensione che i modelli di zoning sembrano inevitabilmente portare con sé.

Lo zoning prevede infatti la creazione di zone ad hoc per l’esercizio del lavoro sessuale, fornite di una serie di servizi di riduzione del danno ma allo stesso tempo implica un livello di sorveglianza in cui il confine tra controllo e tutela appare marcatamente sfumato, quasi sovrapposto in una sorta di costante e complessa mediazione tra libertà individuale e disciplinamento, tra garanzia di sicurezza e controllo dei corpi. Una mediazione che porta con sé un alto grado di possibile discrezionalità nella sua applicazione e che, almeno in potenza ma spesso anche in atto, risulta essere profondamente contraddittoria: la pratica dello zoning, da un lato definisce delle aree urbane circoscritte dove poter svolgere la propria attività di prostituzione in un apparente spazio di sicurezza, dall’altro tale politica può fungere da strumento di contenimento e controllo, sia da parte delle forze dell’ordine, che da parte della popolazione, disciplinando i comportamenti considerati irrispettosi del decoro urbano e dell’ordine pubblico ed impedendo ai/alle sex worker di godere del proprio diritto alla città. Un terreno di mediazione sempre scivoloso, in cui le variabili che concorrono al successo o al fallimento delle varie esperienze sono innumerevoli e riguardano spesso interessi politici, sociali ed economici. Pratiche e politiche legate a doppio filo al riconoscimento del lavoro sessuale, che hanno certo il pregio di farsi carico di istanze legate alla riduzione del danno piuttosto che a logiche puramente repressive e securitarie.

Una pratica, quella dello zoning, che ha continuato a resistere e che nel successivo decennio ha assunto la forma di un importante esempio di policy in controtendenza rispetto al panorama europeo in cui la criminalizzazione del cliente su modello svedese è diventata una politica “apprezzata per il suo chiaro impatto normativo ed educativo di lungo periodo” (Garofalo Geymonat, 2014). Un sistema di gestione del fenomeno prostitutivo che si fonda sull’inammissibilità del riconoscimento del lavoro sessuale in una società che aspiri all’uguaglianza di genere, anche nel momento in cui lo scambio di prestazioni sessuali per denaro o altro bene materiale avvenga fra adulti consenzienti.

Un cambio di paradigma, dunque, nell’approccio alla gestione della prostituzione che sposta l’attenzione dalla stigmatizzazione delle/dei sex worker a quella del cliente. La realtà dell’industria del sesso mostra però come molti dei problemi tipici del proibizionismo si ripropongano anche attraverso la criminalizzazione del cliente: la prostituzione non tende infatti a diminuire ma piuttosto si trasforma e le condizioni di lavoro peggiorano (Serughetti, 2015; Hubbard, 2008).

Rispetto a tali politiche, le pratiche di riduzione del danno legate allo sviluppo del modello di zoning, sono spesso collegate all’approccio neoregolamentarista alla gestione della prostituzione, messo in campo da quei paesi che riconoscono la prostituzione come lavoro, seguendo le linee teorico-operative tipiche di un approccio right-based. A partire dagli anni ’80 in Germania, Svizzera e soprattutto in Olanda la soluzione proposta ha previsto la normalizzazione di un settore tradizionalmente semi illegale, come quello dell’industria del sesso, con tutti i diritti ed i doveri che ne conseguono. In questi paesi il concetto di legalizzazione, nei termini di riconoscimento del lavoro sessuale, si accompagna e si costituisce sul principio della riduzione del danno inteso non solo come riduzione dei problemi legati a criminalità, alla violenza, allo sfruttamento, alla disinformazione nei confronti dei diritti legati alla salute sessuale e riproduttiva ma anche, ed in maniera particolare, alla qualità di vita ed alla sicurezza delle/dei sex worker: questa specifica tipologia di gestione del mercato del sesso è definita integrative policy type (Östergren, 2017). La ratio è infatti l’integrazione sociale, lavorativa e legislativa delle persone che vendono prestazioni e servizi sessuali attraverso il loro riconoscimento in un quadro normativo che ne legittimi e promuova la tutela.

Come ci racconta l’analisi del caso di Venezia, riduzione del danno e neoregolamentarismo su modello integrativo non sono però la stessa cosa e non sempre procedono di pari passo. La legge italiana sulla prostituzione è una legge ancora fortemente abolizionista, fondata su una narrazione anacronistica che rappresenta le prostitute unicamente come vittime, alla ricerca di protezione, tacciando qualsiasi intervento di parti terze come favoreggiamento. In questo senso, la legge Merlin non favorisce la legittimità politica, sociale e giuridica della attività di riduzione del danno come pratiche di riconoscimento del lavoro sessuale. Nonostante ciò, in Italia, a partire dagli anni ’90, si è registrato un progressivo aumento di programmi legati all’assistenza ed all’integrazione sociale per chi lavora in strada, attraverso la creazione di un forte tessuto di associazioni: se da una parte essi rispondono primariamente alle necessità legate al contrasto delle reti di sfruttamento sessuale, d’altra parte molte di queste associazioni hanno applicato i principi della riduzione del danno influenzando e formando le scelte operative del Comune di Venezia nella creazione del progetto di zoning.

Storicamente, sono quindi gli anni ’90 il periodo cruciale per la ricerca di nuove forme di gestione della prostituzione nello spazio urbano. Anni in cui nel comune veneziano, principalmente tra Mestre, Marghera e il Terraglio, la strada diventa protagonista indiscussa di uno forte scontro politico, sociale ed ideologico tra diverse e nuove soggettività. La strada è il luogo fisico all’interno del contesto urbano in cui comincia a manifestarsi un mutamento del fenomeno prostitutivo che porterà alla nascita del progetto di zoning e del successivo servizio comunale Città e Prostituzione.

Un cambiamento che si intreccia profondamente con il fenomeno delle nuove migrazioni: la strada diventa un luogo conteso tra la vecchia prostituzione successiva alle case chiuse e le nuove prostituzioni straniere legate spesso a doppio filo a meccanismi di sfruttamento e criminalità organizzata. Il primo tipo di prostituzione viene il più delle volte definito come fortemente connesso in termini di relazioni e di spazi al tessuto urbano (Tatafiore, 1994/2012) e considerato anche dalla cittadinanza in termini di servizio sociale composto da figure note, familiari, quasi istituzionali, come mi spiega uno degli operatori sociali intervistati; il secondo si caratterizza invece per l’elusività e l’ambiguità, ma soprattutto per una diversa composizione sociale spesso definita in termini razziali e razzisti. Sono corpi considerati non autoctoni, estranei al panorama sociale tipico dello spazio pubblico. Le prostituzioni si diversificano e l’offerta si amplia, creando un’inedita competizione nel mercato del sesso: lo sfruttamento e la vulnerabilità di chi si trova, volontariamente o involontariamente, implicata/o nella tratta, permettono un abbassamento dei prezzi, una messa in crisi del potere contrattuale delle sex worker ed una repressione della polizia che colpisce fortemente la vecchia prostituzione di strada (Tatafiore, 1994/2012).

Come evidenzia la giurista Maria Virgilio non è più possibile parlare al singolare: si tratta di prostituzioni, in continua evoluzione e diversificazione di forme, modalità, corpi, composizioni.

D’altronde è il fenomeno stesso delle prostituzioni che si presenta mutevole nella sua realtà effettuale […] Cambiano le mete di destinazione, quelle di provenienza, la composizione personale -individuale, familiare, a catena, di seconda generazione -, le modalità di reclutamento e svolgimento, i rapporti con la criminalità organizzata. (Virgilio, 2002)

Un cambiamento nella composizione del tessuto urbano che non passa certo inosservato nella città. In poco tempo diventa visibile lo sfruttamento, percepito dalla comunità cittadina come una minaccia all’ordine costituito: è un momento storico fondamentale per la vera e propria emersione del fenomeno. In questo decennio nascono i primi progetti antitratta finanziati primariamente a livello europeo, ma in alcuni casi anche a livello nazionale e soprattutto locale, come nel caso di Venezia. Come anticipato, si sviluppano in concomitanza con l’emersione di questo fenomeno, e quindi la creazione del progetto di zoning, i servizi di contatto a bassa soglia per chiunque si trovi sulla strada e si iniziano a creare i primi progetti di assistenza e reinserimento per chi invece si trova coinvolta/o nella tratta a sfruttamento sessuale. Una prostituzione maggiormente visibile non solo in relazione ai meccanismi di sfruttamento, ma soprattutto per la diversificazione di corpi, composizioni, forme e modalità che il versatile mercato del sesso può assumere. In una sorta di gerarchizzazione etnica tra prostituzione outdoor ed indoor, “l’esercizio di strada è ormai monopolio di donne straniere” (Pitch, 2013).

La prostituzione outdoor si costituisce come il segmento del mercato del sesso più vulnerabile, maggiormente esposto a sfruttamento e violenze, ricattabile e a buon mercato. Dinamiche che hanno quindi allontanato la prostituzione autoctona dalla strada, relegandola nel circuito indoor, tendenzialmente considerato più sicuro e di qualità, anche se l’esperienza pratica dimostra la volatilità di queste considerazioni soprattutto in termini di sicurezze e tutele (Donadel & Martini, 2005). Lo zoning in questo senso si va via via definendo come un modello di governance della prostituzione migrante. Il mercato del sesso si costruisce su direttive marcatamente razziste, classiste e di genere, in continuo mutamento in base a dinamiche e flussi globali legati all’andamento del mercato globalizzato, come spiega la sociologa Emanuela Abbatecola:

I mercati del sesso rappresentano lo specchio delle contraddizioni presenti nella società più ampia, dove il capitale sociale di partenza, in interazione con processi di costruzione sociale che danno luogo a fenomeno quali sessismo, razzismo e omo-transfobia, contribuisce a plasmare traiettorie e possibilità. (2018: 19).

1.2 Approccio analitico

Nel delineare la struttura della ricerca fondamentale è stato il confronto con la letteratura relativa allo zoning di Mestre, che lo presenta come un modello vincente, in particolare Carchedi, Tola, Dolente (2008). Le basi teoriche per l’interpretazione dei dati ottenuti vertono sulla letteratura relativa alla costruzione del concetto di decoro, sicurezza urbana, diritto alla città e disciplina dei corpi: i lavori di Tamar Pitch (2013), Wolf Bukowsky (2019), Anna Simone (2010), Serene Olcuire (2017), Alessandro De Giorgi (2015) e Charlotte Barthes (2011), hanno costituito le lenti privilegiate di lettura di tale modello di governance. L’orientamento teorico-metodologico della ricerca sarà trattato in modo estensivo nei capitoli ad esso dedicato.

L’intento della ricerca è in primis rendere esplicita la duttilità di questo fenomeno, catturarne delle istantanee e attraverso l’analisi delle stesse trovarne il filo che le colleghi, che le metta in movimento, tenendo sempre presente la complessità di un fenomeno sociale difficilmente comprensibile e risolvibile. Nello studio del progetto di zoning, i racconti dei soggetti coinvolti ed il materiale di archivio costituiranno il motore di avvio di questo movimento mentre spetterà all’analisi ed al confronto fra i molteplici narrati il difficile ruolo di descriverne e valutarne l’evoluzione politica e sociale, l’impatto sui concetti di spazio pubblico, diritto alla città, disciplinamento dei corpi e dignità della persona. L’analisi di questo progetto può dirci molto rispetto ai meccanismi che si instaurano tra sociale e pubblico, tra cittadinanza e politica, tra diritti negati e diritti garantiti.

L’esperienza del comune di Venezia risulta essere particolarmente interessante dal momento che, seppur glissando a livello di posizionamento politico nei confronti della prostituzione, supera l’impasse politica ed operativa del doversi schierare contro o a favore della prostituzione, mettendo in campo un modello di governance basato sulla tutela dei diritti umani e sociali delle soggettività più o meno coinvolte, sul contrasto alla criminalità ed allo sfruttamento e sullo sviluppo di politiche di protezione ed inclusione sociale.

Dal 1994, sono stati redatti e sottoscritti dei protocolli di intesa e di collaborazione, spesso anche in maniera informale, tra questura, forze dell’ordine, magistratura, assessorato alle politiche sociali e servizi di protezione sociale del Comune, associazioni impegnate nell’assistenza alle persone coinvolte nella tratta a sfruttamento sessuale, la stessa cittadinanza, servizi sanitari e persone competenti in materia come sex worker, ricercatrici e studiose. Una collaborazione totalmente inedita in Italia che ha scelto come metodo di risoluzione del conflitto sociale il dispositivo dello zoning che, come sarà ampiamente descritto nei successivi capitoli, si differenzia profondamente dai quartieri a luci rosse: se questi concentrano in una determinata area urbana il variegato mondo del mercato del sesso, nel caso dello zoning invece si fa riferimento alla sola prostituzione di strada. In particolare, nel caso Veneziano, lo zoning non si costituisce a partire da una vera propria zonizzazione che prevede la scelta di una precisa area deputata interamente all’esercizio della prostituzione, una zona in qualche modo recintata e sorvegliata con servizi legati all’esercizio del lavoro sessuale, ma piuttosto ad un dispositivo flessibile ed in stretto rapporto con le trasformazioni della città (Annecchiarico, 2009). Come sarà esplicitato nei prossimi capitoli, ciò sarà reso possibile grazie al continuo spostamento ed adattamento delle aree a bassa conflittualità. Una geografia che l’urbanista Serena Olcuire (2017) definisce in perenne divenire, una geografia sociale che è prima di tutto frutto della costruzione di una geografia morale che descrive in quale spazio sia lecito fare cosa, una geografia morale che si basa sulla “rimozione collettiva di corpi altrimenti perturbanti” (Olcuire, 2018). Nella sua peculiare flessibilità, il progetto di zoning di Mestre prevede non solo lo spostamento ma anche la stessa rimozione di quei corpi che vengono allontanati dalla città/cittadinanza in nome del decoro, in quella già citata tensione che possiamo definire essere intrinseca ai modelli di gestione spaziale della prostituzione. Un protocollo sperimentale quello di Venezia, che è stato reso possibile attraverso il coordinamento tra operatori sociali e forze di polizia, in un continuo lavoro di negoziazione con la cittadinanza con il fine di individuare zone a bassa conflittualità ed una costante contrattazione con le persone che lavoravano in strada a garanzia che allo spostamento da zone ad elevate conflittualità sociale ad aree meno impattanti, si accompagnasse la messa in sicurezza delle/dei sex worker attraverso la predisposizione di impianti di illuminazione, pulizia dello spazio, informazione sessuale e sanitaria, presenza nell’area di forze dell’ordine con funzioni di sorveglianza ed eventuale intervento nei casi di abuso e di violenza. Come spiega la giurista Carolina Annecchiarico

“In questo modo l’ente locale diviene soggetto attivo e mediatore di conflitti nel rapporto tra il territorio e la prostituzione di strada” (2009 : 17).

Un’esperienza che si basa sulla presa in carico di diverse istanze: un’importante risposta alla necessità di garantire una riduzione della conflittualità nello spazio urbano attraverso la creazione di un sistema di sostegno e di servizi per chi lavora in strada, atto a permettere anche la diminuzione del livello di sfruttamento e l’intervento tempestivo nei confronti di situazioni di traffico e prostituzione minorile. Un dispositivo, che,come vedremo, si struttura come modello di governance della prostituzione in senso inclusivo ma che si focalizzerà sempre più sul debellamento delle reti di sfruttamento.

La ricerca analizza quindi il peculiare posizionamento dello stesso progetto di zoning in questo panorama complesso e contraddittorio attraverso le narrazioni/interviste dei soggetti che hanno partecipato alla sua creazione ed al suo sviluppo. Soggetti che sono stati attuatori delle politiche ma anche testimoni dell’affievolirsi di questa esperienza, oggi considerata ormai terminata.
Un’ esperienza definita vincente nel dibattito pubblico, nazionale e accademico, descritta come la soluzione definitiva per un’efficace riduzione della conflittualità tra cittadinanza e sex worker e che consente di garantire la sicurezza di chi si trova in strada unita al mantenimento dell’ordine pubblico e del decoro richiesto e definito dalla cittadinanza. Un conflitto che non solo ha luogo nello spazio pubblico, ma che è volto alla ridefinizione dello stesso attraverso la costruzione politica-sociale di cosa possa essere considerato lecito o illecito nello stesso spazio urbano.

1.3 Struttura della tesi

La struttura della ricerca è volta a conferire unitarietà alla molteplicità di prospettive ed alla poliedricità della tematica, sviluppandosi su cinque punti fondamentali. La successiva e prima sezione sarà dedicata all’esposizione delle basi teoriche che, non solo hanno avuto il prezioso compito di costituire le basi per l’interpretazione dei racconti e dei dati ottenuti, ma sono state fondamentali per la formazione di una mia personale prospettiva sull’argomento che ha chiaramente impattato la direzione ed il taglio della ricerca. A mio avviso, questa modalità operativa non ha intaccato l’attendibilità dei risultati, ma ne ha invece arricchito la comprensione e consolidato la struttura metodologica.

Quando si affronta una ricerca sul campo, è inevitabile dover fare delle scelte operative e di metodo che spesso seguono il punto di vista della ricercatrice: far sì che queste scelte siano indirizzate da studi ed analisi precedenti permette infatti di verificarne la validità scientifica. La letteratura qui presentata è inoltre da considerarsi parte integrante dei dati stessi, in quanto non solo riporta fondamentali approfondimenti pratici sui molteplici modelli di governance della prostituzione, ma è anche particolarmente ricca di rimandi all’esperienza di zoning veneziana. Il capitolo successivo tratta le necessarie informazioni metodologiche che una ricerca qualitativa richiede: verranno dunque descritte le modalità e le strategie di conduzione della ricerca sul campo ed i limiti della stessa. Inoltre, saranno introdotti i soggetti coinvolti e le questioni etico-operative affrontate. Il quarto punto introdurrà un’iniziale e necessaria descrizione di cosa si intende con il termine zoning in relazione al contesto veneziano: verranno messe in evidenza le peculiarità di questa esperienza, sia in termini strutturali che contenutistici, attraverso la sua comparazione con il modello paradigmatico olandese. Il capitolo contiene un approfondimento rispetto a quelle che sono le similitudini ma anche le profonde differenze che lo zoning all’italiana mostra rispetto ai paradigmatici modelli di zoning europeo: in questa sezione verrà anticipata la difficoltà teorica/operativa di inquadramento dell’esperienza veneziana come effettiva pratica di zoning.

Tale argomentazione sarà poi approfondita nel quarto capitolo relativo all’analisi dei dati. I capitoli quinto e sesto saranno invece dedicati all’analisi dei dati, ottenuti a partire dallo studio del materiale d’archivio e dalle interviste ai soggetti che hanno partecipato all’implementazione ed allo sviluppo del progetto di zoning a partire dagli anni ’90 fino ad oggi.

L’analisi si dividerà in quattro sottosezioni definite cronologicamente: la prima sarà dedicata alla fase di ideazione e creazione del progetto, la seconda si focalizzerà sui cambiamenti avvenuti nel processo di trasformazione da progetto a servizio con una propria voce di bilancio, la terza sezione verterà invece sulle modificazioni del progetto stesso avvenute con la cosiddetta ‘stagione delle ordinanze’ ed infine l’ultima sezione sarà riservata all’analisi delle scelte politiche e sociali implementate dall’ultima giunta comunale.

La prima sezione affronta dunque la già citata necessaria decostruzione e revisione del modello mestrino: la ratio è quella di mostrare le basi teoriche, politiche e pratiche di questo progetto che hanno poi condotto l’esperienza ad un declino, frutto non solo di un costante mutamento del fenomeno prostitutivo ma soprattutto di precise scelte politiche che si sono susseguite nel corso dei vent’anni di vita del progetto.

La sezione successiva si concentra sulla trasformazione dello zoning da un progetto volutamente flessibile ad un servizio strutturato con una propria architettura burocratica ed operativa, che ne ha depotenziato la flessibilità ma che, allo stesso tempo, aveva il preciso intento di legittimarne la portata politica e sociale.

La terza sezione è dedicata allo studio dei cambiamenti operativi, politici e sociali che il pacchetto sicurezza ha introdotto, rafforzando il potere dei sindaci soprattutto in materia di pubblica sicurezza e normalizzando l’utilizzo delle ordinanze come strumento prediletto per il governo del territorio (Simone, 2010). Un dispositivo, quello delle ordinanze, che ha esasperato la già presente coincidenza tra i concetti di sicurezza urbana e di ordine pubblico, investendo sull’allontanamento di tutte quelle soggettività considerate eccedenti e degradanti.

La sezione finale indaga gli ultimi quattro/cinque anni di vita del progetto, caratterizzati dal cambio di colore politico delle Giunte comunali e da una sempre maggiore enfasi sul concetto di social purity (Pitch, 2013), anche attraverso la criminalizzazione della prostituzione stessa. Il capitolo finale funge da sezione conclusiva della ricerca e riassumerà le riflessioni sui dati contenuti nel punto precedente, sottolineando come l’analisi della storia politico-sociale di un progetto possa costituire un punto di partenza per affrontare le contraddizioni delle progettazioni future.

Come vedremo, nel suo sviluppo, lo zoning di Mestre si costituisce sicuramente a partire da un pensiero inedito e illuminato rispetto al panorama italiano, il portato pratico ed esperienziale si compone però di mille variabili che fanno emergere un punto di vista operativo in cui le contraddizioni interne allo sviluppo di tale modello possono fortemente impatterne i risultati attesi. Il rischio è l’implementazione di quelle istanze di securitizzazione che colpevolizzano i singoli o gruppi di persone il cui comportamento viene considerato intollerabile a causa di giudizi legati alla costruzione classista, razzista e patriarcale del concetto di decoro e sicurezza.

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