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India – In caso di rimpatrio il richiedente si troverebbe in una situazione di grave vulnerabilità e povertà anche a causa della diffusione della epidemia da Covid 19

Tribunale di Bari, decreto del 18 giugno 2021

Il Tribunale di Bari riconosce la protezione speciale a un ricorrente dell’India.
Il cittadino, originario della regione del Punjab, faceva ingresso in Italia il 07.03.2017 come lavoratore stagionale, per guadagnare quanto necessario per consentirgli di pagare un debito contratto dai sui genitori per la costruzione della casa e per sovvenzionare il viaggio in Italia; alla scadenza del periodo di lavoro stagionale, resosi conto della impossibilità di restare in Italia e, conseguentemente, di poter lavorare ed estinguere il debito, nonché, valutate le conseguenze di tale inadempimento, da quelle più o meno significative come l’onta davanti all’intero villaggio, a quelle più deleterie, quali lo spossessamento dell’abitazione e la possibile ed assai probabile uccisione dei suoi familiari, si determinava a richiedere la protezione internazionale del nostro Paese.
In data 27.09.2018 il ricorrente formalizzava presso la Questura di Bari ufficio immigrazione l’istanza di riconoscimento della protezione internazionale, veniva quindi invitato per il prelievo delle impronte in data 18/10/2018 e per il C3 in data 16/11/2018, dove compilava un modello con le motivazioni per le quali richiedeva asilo. Nella seduta del 27.03.2019, la Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Bari, procedeva all’audizione individuale dell’odierno ricorrente. In esito a tale audizione, la Commissione decideva di non riconoscere nessuna forma di protezione al ricorrente omettendo di valutare la protezione umanitaria nonostante il richiedente avesse presentato l’istanza di protezione internazionale in data 27.09.2018, ben prima dell’entrata in vigore del D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, convertito, con modificazioni, dalla L. 1° dicembre 2018, n. 132.

Il Tribunale di Bari in accoglimento delle doglianze difensive così statuisce: “Nel caso di specie deve notarsi che, trattandosi di domanda incardinata precedentemente all’entrata in vigore del d.l. n. 113/18, (recante <>), essa resta insensibile alle innovazioni introdotte dal <>, e ciò non solo per la natura sostanziale e non processuale delle introdotte modifiche all’istituto della protezione umanitaria (v. l’art. 11 prel. c.c. in base al quale “…la legge non dispone che per l’avvenire”), ma anche per la natura intrinseca della protezione umanitaria da configurarsi quale diritto soggettivo che “preesiste” al suo riconoscimento trovando origine nella peculiare condizione deprivazione dei diritti umani patita dall’individuo nel Paese di origine nel quale non può fare dunque più rientro (cfr. Cass., S.U., n. 19393/2009 e Cass. n. 4455/2018 dove si afferma la natura dichiarativa e non già costitutiva della pronuncia giudiziaria resa sulla domanda di protezione umanitaria; da ultimo, Cass. Civ. SS.UU. sent. n. 29459/19). Si noti, per completezza, che l’art. 1, co. 9, del “decreto sicurezza” consente alla questura, nei procedimenti amministrativi pendenti e laddove sia stato accertato dalla Commissione territoriale il diritto alla protezione umanitaria in forza delle previgenti disposizioni, di dare ulteriore corso al procedimento con il rilascio del relativo permesso recante la dizione <> a conclusione dell’iter amministrativo; orbene, stante (per converso) la natura di impugnativa giurisdizionale dell’eventuale ricorso ex art. 35 d. lgs. n. 25/08 contro il dictum di diniego della Commissione territoriale in punto di protezione umanitaria -e, correlativamente, l’esigenza di evitare che i tempi del giudizio vadano a detrimento della parte che ha ragione-, è allora evidente che non può ritenersi preclusa, alla stregua della nuova disciplina, come introdotta in subiecta materia, la valutazione giudiziale di quelle che erano le condizioni sostanziali (pregresse) legittimanti la concessione della protezione umanitaria (quantunque ritenute inesistenti dalla Commissione territoriale nel provvedimento poi impugnato in via giurisdizionale). L’art. 5, co. 6, d. lgs. n. 286/1998 non definisce i seri motivi di carattere umanitario che limitano il potere di rifiutare o revocare il permesso di soggiorno allo straniero privo dei requisiti previsti da convenzioni o accordi internazionali; ciononostante non sembra dubbio che i motivi di carattere umanitario debbano essere identificati facendo riferimento alla fattispecie previste dalle convenzioni universali o regionali che autorizzano o impongono all’Italia di adottare misure di protezione a garanzia dei diritti umani fondamentali e che trovano espressione e garanzia anche nella nostra costituzione“.

Il tribunale ha quindi ritenuto “che sussistano i gravi motivi richiesti dall’art. 5 comma 6 del DLvo n. 2876/1998 (nel testo ante DL n. 113/2018) per il riconoscimento della protezione umanitaria.
Valutando comparativamente e complessivamente la situazione vissuta dal ricorrente nel suo Paese al momento dell’espatrio, le verosimile situazione in cui lo stesso si ritroverebbe in caso di rimpatrio e la nuova esperienza di integrazione vissuta invece in Italia si può affermare affermare che in caso di rientro coattivo in India, il ricorrente -anche in considerazione – ad abundantiam – della difficile sociale situazione creatasi a causa della diffusione della epidemia da Covid 19 e della già richiamata situazione familiare, si troverebbe in una situazione di grave vulnerabilità nel godimento effettivo dei suoi diritti fondamentali e inalienabili e verrebbe sradicato traumaticamente dal Paese che lo ha accolto, con conseguente violazione del suo diritto alla vita privata ex art, 8 Cedu (cfr. Cass. Civ. sez. VI, sent. n. 28316/20 dep. 11.12.2020, cui si fa rimando)
“.

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Tribunale di Bari, decreto del 18 giugno 2021

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