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Tunisia: 10 anni dopo la Rivoluzione è un colpo di stato “costituzionale”?

Prosegue il licenziamento per decreto di alti funzionari governativi

Il 25 luglio, il presidente tunisino Kais Saied, che presiede anche le Forze Armate, in un discorso televisivo alla Nazione, ha annunciato la sospensione temporanea, per 30 giorni, del Parlamento. Ha altresì destituito il Primo Ministro Hichem Mechichi (che da gennaio del 2021 aveva con forza soffocato ogni forma di manifestazione e dissenso, arrestando migliaia di giovani e responsabile di torture e violenze contro attivisti e difensori dei diritti umani). Ha poi inficiato l’immunità per i parlamentari (riservandosi di sovraintendere personalmente sui procedimenti a carico di quelli corrotti) e ha annunciato che governerà per decreto. Il 26 luglio ha anche emesso un coprifuoco a livello nazionale per 30 giorni ed ha avvisato che “chiunque avesse sparato un solo proiettile contro le forze di sicurezza, avrebbe ricevuto in cambio una grandinata di proiettili”.

La presa di potere di Saied rappresenta un test importante per la giovane democrazia tunisina, tanto quanto le proteste del 2013 che hanno quasi fatto deragliare la sua transizione iniziale. Il modo in cui il pubblico tunisino e internazionale reagirà all’annuncio di Saied probabilmente determinerà il proseguo dell’unica democrazia araba del mondo o se, anche questa cadrà in quello che gli esperti di geo-politica chiamano un “auto-colpo di stato“.

Radici della crisi

Nonostante il passaggio alla democrazia e l’approvazione di una Costituzione progressista attraverso il consenso, dalla Rivoluzione del 2011 la Tunisia è stata duramente colpita da un’economia stagnante, dalla percezione della corruzione e dalla crescente disillusione nei confronti dei partiti politici. Queste tendenze hanno alimentato l’ascesa di Saied, un professore di diritto indipendente che ha ottenuto una vittoria schiacciante alle elezioni presidenziali del 2019. Nonostante la sua popolarità, la costituzione tunisina del 2014 prevedeva un sistema semi-presidenziale in cui Saied avrebbe dovuto condividere il potere con il Primo Ministro Hichem Mechichi e con il Presidente del Parlamento Rached Ghannouchi. Purtroppo, soprattutto nell’ultimo anno, fra i tre non è mai scorso buon sangue per quanto riguarda la spartizione dei rispettivi poteri. Queste divisioni hanno prodotto un approccio incoerente rispetto alla pandemia Covid-19, esacerbando il malessere economico e politico della Tunisia.

In questo clima, la presa del potere di Saied rappresenta per alcuni la rottura netta da una transizione in difficoltà, offrendo la speranza di rimettere l’economia sulla buona strada e di eliminare la corruzione nella classe politica. Ghannouchi, il Presidente del Parlamento, ha definito le mosse di Saied “un colpo di stato contro la rivoluzione e la costituzione“. Anche i quattro maggiori partiti del Parlamento, tra cui i partiti islamisti Ennahdha e la coalizione al-Karama e i partiti laici Qalb Tounes e Courant démocratique, hanno condannato le azioni di Saied come incostituzionali.

Un colpo di stato “costituzionale”?

Il presidente Saied, ex professore di diritto costituzionale, afferma di aver agito in conformità con l’art. 80 della costituzione tunisina, che consente al Presidente di esercitare poteri eccezionali per 30 giorni in caso di “pericolo imminente” per lo Stato ed il suo funzionamento. In realtà, l’art. 80 impone che il Primo Ministro e il Presidente del Parlamento siano preventivamente consultati e che il Parlamento rimanga in “uno stato di vigilanza continua durante tale periodo“, non sollevato!

Purtroppo, l’unico organo che può giudicare sulla corretta interpretazione e applicazione dell’art. 80 e che, ii conseguenza, potrebbe porre fine ai poteri eccezionali auto-evocati da Saied, è la Corte Costituzionale, che però ancora non esiste. Sebbene la sua creazione sia stata richiesta dalla Costituzione del 2014, il panorama politico frammentato della Tunisia ha impedito ai partiti di giungere a un accordo sulla sua formazione.

Pertanto, senza una soluzione giudiziaria, la crisi è degenerata in una direzione più controversa nelle ultime 24 ore. A tarda notte di domenica, Ghannouchi, il vicepresidente Samira Chaouachi e altri leader parlamentari hanno tentato di sfidare il decreto di Saied e tenere una assemblea parlamentare ma le unità dell’esercito di stanza fuori dal Parlamento hanno bloccato il loro ingresso. Nelle ultime 24 ore, le forze di polizia hanno mostrato grande lealtà verso Saied, in particolare facendo irruzione nell’ufficio di Al-Jazeera in una chiara violazione della libertà di stampa. I media tunisini hanno anche riferito che Saied ha investito il capo della sua guardia presidenziale, Khaled Yahyaoui, della carica di ministro degli Interni. La stessa polizia potrebbe anche svolgere un ruolo fondamentale nel consolidare il tentativo di colpo di stato di Saied.

Altrettanto preoccupante è stata la reazione dell’Unione Generale del Lavoro Tunisino (UGTT), che ha vinto un premio Nobel per la pace per il suo ruolo nell’intermediazione dei negoziati che hanno risolto la crisi tunisina del 2013. Tuttavia, piuttosto che una dichiarazione neutrale che sollecita il dialogo, l’UGTT è invece apparsa favorevole alle azioni di Saied, affermando che sono in linea con la Costituzione, ma esprimendo preoccupazione per il fatto che si attenesse a 30 giorni e non espandesse ulteriormente i suoi poteri.

La strada davanti

Sebbene la maggior parte dei partiti politici si sia opposta alle azioni di Saied, la mancanza di opposizione da parte dell’esercito, della Polizia e dell’UGTT suggerisce che Saied non si ritirerà presto. Andando avanti, è probabile che la crisi si aggravi, con entrambe le parti che incitano i loro sostenitori a scendere in piazza.

L’esito della crisi sarà modellato in parte da chi può direzionare più sostenitori possibili verso un voto in suo favore. In questa fase, l’equilibrio di potere sembra favorire Saied. Sebbene non goda più dell’87% di gradimento che aveva nel 2019 (i sondaggi oggi lo avvicinano al 40%), rimane la figura più popolare in Tunisia. Al di là della sua base, potrebbero approvare i suoi decreti anche i tunisini che cercano una presidenza più forte, così come quelli ostili ai partiti politici e ad Ennahda in particolare. Detto questo, la maggior parte dei partiti politici si è schierata contro il golpe e probabilmente si mobiliterà in modo significativo.

Ma i duelli di protesta già emersi oggi rendono ancora più instabile la situazione, alzando lo spettro degli scontri tra le due parti. Prevenire quel potenziale di violenza richiede a Saied e ai partiti politici di ridimensionare e negoziare una via d’uscita dalla crisi. Fondamentale da tenere d’occhio a questo proposito sarà la posizione dell’UGTT e di altri attori della società civile: quanto tempo ci vorrà prima che intervengano ancora una volta per aiutare a mediare una via d’uscita da questa crisi?

Un altro fattore importante da tenere d’occhio è la reazione della comunità internazionale. Con l’eccezione della Turchia, che si è espressa con forza contro la “sospensione del processo democratico” di Saied, la maggior parte dei paesi e degli organismi internazionali (Germania, Unione Europea, ONU e Stati Uniti) hanno per il momento un approccio “attendista”, lasciando campo aperto alle potenze controrivoluzionarie come l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e l’Egitto di influenzare la crisi a sostegno di Saied. Ma con l’economia tunisina in stasi, il sostegno straniero – e gli aiuti – potrebbero ulteriormente influenzare l’esito di questa crisi.

Per approfondire:
Kais Saied porta la Tunisia in un territorio sconosciuto, di Thierry Brésillon (traduzione a cura di Globalproject.info)

Eleana Elefante

Giurista esperta in Advocacy & Communication dei Flussi Migratori del Mediterraneo Centrale.
Collabora con diverse NGO’s e Patners Europei nel Monitoraggio & Valutazione dei flussi migratori in linea con l’analisi geopolitica di aree geografiche quali il Nord - Africa ed il Medio-Oriente.