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Accoglienza del titolare di permesso per cure mediche con indicazione geografica legata al suo percorso di riabilitazione

Tribunale di Roma, ordinanza del 19 agosto 2021

In materia di accoglienza del titolare di permesso per cure mediche, il Giudice ordina l’accoglienza sul territorio romano non essendo sufficiente un centro di accoglienza molto distante dal luogo in cui il richiedente ha intrapreso il percorso di riabilitazione.

Dopo varie richieste di accoglienza nel circuito SAI del titolare di permesso di soggiorno per cure mediche rimaste senza risposta, lo studio legale ha presentato ricorso al tribunale civile con istanza cautelare. Nelle more della fissazione di udienza, il Servizio centrale ha disposto l’accoglienza su Brindisi, tuttavia questo avrebbe pregiudicato la prosecuzione del suo percorso di riabilitazione soprattutto alla luce del nuovo lavoro appena iniziato.
Il giudice quindi ha disposto che il Servizio centrale indichi un centro sul territorio romano per l’accoglienza del richiedente.
La decisione quindi è interessante proprio perché il giudice non si ferma a rilevare il fatto che è stata disposta l’accoglienza, ma ritiene che questa sia significativa per il richiedente solo se sul territorio romano, alla luce delle sue particolari condizioni di salute e del percorso riabilitativo intrapreso.

Il passaggio più rilevante della ordinanza: “Può infatti ritenersi fatto notorio che le patologie psichiche, ed in particolare psichiatriche, non possono (come invece avviene per quelle meramente organiche o comunque fisiche) essere affrontate terapeuticamente con la sola somministrazione di farmaci o di presidi o interventi medico-chirurgici (rispetto a cui, in ipotesi, potrebbe ritenersi indifferente la collocazione geografico-logistica del paziente, poiché i protocolli sono sostanzialmente uguali in tutto il territorio o comunque possono agevolmente essere condivisi e coordinati anche fra più ASL). Tali patologie devono, invece, essere trattate anche (e soprattutto) sul piano psicoterapeutico, che è quello più rilevante (e più complesso) dal quale può sperarsi di ottenere una duratura remissione della malattia; e rispetto al quale, in fin dei conti, la terapia farmacologica assume una funzione ancillare e strumentale, essendo essenzialmente destinata a porre il paziente nelle condizioni necessarie per poter costruire il necessario rapporto di fiducia e confidenza con il terapeuta ed usufruire utilmente della psicoterapia. Ciò è tanto più vero, quanto più grave è la sua condizione patologica. E le molteplici certificazioni mediche prodotte in atti comprovano – sempre nei limiti della cognizione sommaria propria di questa fase cautelare del giudizio – la sussistenza di una seria compromissione della salute psichica del sig. […]
Complessivamente considerate, le circostanze che precedono inducono – tenuto conto, in misura decisiva, della speciale natura della sindrome che affligge il ricorrente, non assimilabile ad altre patologie di natura organica o anche di tipo psicologico ma di minore gravità, sensibili anche ad un trattamento solo farmacologico – a ritenere allo stato prevalente su ogni altra considerazione la tutela del diritto fondamentale alla salute, all’integrità psico-fisica ed alla vita stessa. Appare pertanto giustificato imporre alle amministrazioni coinvolte di ricercare – pur nell’esercizio della loro autonomia organizzativa – una soluzione alternativa che consenta al sig. … di proseguire, almeno nelle more del giudizio di merito, il percorso di terapia e recupero psicologico e riabilitativo già ampiamente avviato nelle strutture romane, inserendolo nel sistema S.A.I. della capitale
“.

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Tribunale di Roma, ordinanza del 19 agosto 2021

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