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I migranti haitiani arrivano a Città del Messico: “Non hai una casa?”

Daniela Rea e María Ruiz, Pie de Página - settembre 2021

Photo credit: María Ruiz

Città del Messico – Dal pomeriggio di martedì 21 settembre, decine di Haitiani sono arrivati a Città del Messico. Sono venuti da Tapachula dove vivevano da un paio di mesi in attesa di un rifugio, fino a quando la situazione è diventata insopportabile: non avevano certezze sui loro documenti, non potevano lavorare, non avevano soldi, cibo, un posto decente dove vivere e avevano subìto persecuzioni, aggressioni e raid da parte della Guardia Nazionale e dell’Istituto Nazionale della Migrazione.

Abbiamo bisogno di un posto per dormire, non avete una casa?” chiede Marvensky, un bambino haitiano di 8 anni che è arrivato in città con sua madre e i suoi fratelli minori. “Abbiamo freddo, abbiamo bisogno di un posto per dormire, non abbiamo soldi, non abbiamo niente, abbiamo bisogno di una casa”, insiste Marvensky fuori dagli uffici della Commissione messicana per l’aiuto ai rifugiati a Colonia Juárez.

Fuori da questi uffici, un centinaio di migranti provenienti da Haiti si sono riuniti alla disperata ricerca di un alloggio. Sono in fila con in mano i loro pochi averi, perché non hanno un posto dove stare. Solo alcuni hanno trovato posto nel rifugio Tochan, nel Cafemin e altri al Café La Resistencia. Ma hanno bisogno di un tetto, di un letto, di cibo. Ancora di più quando arrivano dal caldo del Sud del Paese e si trovano ad affrontare il freddo della notte e le piogge di Città del Messico.

Marvensky parla un po’ di spagnolo ed è l’interprete di tutta la sua famiglia, sua madre, suo padre e due fratelli minori. Dice che sono arrivati la mattina a Città del Messico, dopo un viaggio di 12 giorni da Tapachula, dove vivevano da due mesi.
Abbiamo viaggiato un po’ in camion e un po’ a piedi, perché è difficile venire a piedi da così lontano”, dice Marvensky.

La sua famiglia viveva da due mesi a Tapachula, dove erano arrivati dopo aver vissuto in Cile per quattro anni. La mancanza di lavoro, la discriminazione e gli abusi contro di loro li hanno spinti a lasciare il Cile e a impegnarsi a raggiungere gli Stati Uniti. Hanno viaggiato dal Sud del continente, sono arrivati a Tapachula e da lì alla città. Non erano preparati al freddo e alla pioggia.

Emma è seduta su una panchina in attesa del suo appuntamento. Dice che a Tapachula ci sono molte persone alla COMAR.

Ecco perché siamo venuti qui per vedere se possiamo ottenere dei documenti. La maggior parte delle persone che non hanno soldi e dormono per strada è in attesa di un alloggio”, dice.

Alla fine della coda Emma aspetta con suo marito e sua figlia: “Ci sono Paesi che fanno pressione su di noi a causa della questione dell’immigrazione. Stanno trasmettendo atti d’espulsione, dopo 20 giorni non si può rimanere in un Paese. Questo mi ha fatto molta paura, non potevo nemmeno uscire a comprare qualcosa da mangiare”, dice Emma delle sue esperienze a Tapachula.
Una fila di Haitiani in attesa di accedere alla Commissione messicana per l’aiuto ai rifugiati
Le procedure a Tapachula erano molto complicate, ecco perché sono venuti a Città del Messico. Tre anni fa sono venuto presso la COMAR e le pratiche sono state molto veloci. Il giorno stesso in cui sono arrivato, è stata avviata la procedura e nella stessa settimana mi è stato consegnato il permesso di soggiorno per motivi umanitari. Ora sembra più difficile perché il tasso di richieste è aumentato”, dice Jude, studente di criminologia ed ex ufficiale di polizia ad Haiti.

Jude è arrivato alla COMAR questo mercoledì alle 5:30 del mattino, studia in Messico e ha deciso di sostenere i suoi connazionali come traduttore se necessario, perché sa che ci sono persone che non sono in grado di svolgere le pratiche a causa della barriera linguistica. C’è chi ha passato la notte davanti agli uffici della Commissione.

Le famiglie che sono partite e arrivate dopo le 10 non hanno potuto fissare gli appuntamenti e dovranno tornare e riprovare giovedì. Per Jude, la questione dell’alloggio è essenziale, soprattutto perché non sanno quando otterranno un permesso di lavoro e quelli che possono pagare gli alberghi sono a corto di soldi, dice.

Tra le e i migranti si parla il creolo haitiano, alcuni parlano francese e altri, come Jean, parlano le lingue dei Paesi che hanno attraversato: creolo francese, della Guyana francese, portoghese brasiliano e ora sta imparando lo spagnolo.
Jean è arrivato a Città del Messico perché a Tapachula gli era stato detto che non avrebbe potuto prendere un appuntamento alla COMAR fino al prossimo anno. All’età di 19 anni è venuto in Brasile, dove ha lavorato come spazzino per otto anni. Non vede la sua famiglia da due anni e questo è uno dei motivi per cui ha deciso di emigrare, per trovare un lavoro che gli permetta di guadagnare abbastanza per avere una vita decente e per poter visitare la sua famiglia quando vuole.


Tu, io, tutti noi la vogliamo, una vita decente. Resterò nel luogo in cui la troverò”, dice.

C’è bisogno di più centri

Gabriela Chalte, coordinatrice del centro di accoglienza per migranti Tochan, lancia un appello al governo federale e a quello di Città del Messico: è urgente aprire uno spazio per ricevere e ospitare i migranti che arrivano nella capitale; è urgente accelerare il processo di trattamento dei rifugiati affinché i migranti possano lavorare e rendersi indipendenti; qui non devono fare raid come invece è successo nel Sud del Paese.

A Città del Messico ci sono tre centri che lavorano con i migranti: Cafemin, Mambré e Tochan. Hermanos en el Camino ha chiuso per mancanza di risorse. Tochan può ospitare 30 persone, 30 letti che erano già occupati da centroamericani provenienti da Honduras, Salvador e Guatemala, ma sono stati costretti a ricevere 15 persone, donne e una bambina. “Non possiamo riceverne di più perché non c’è più posto”, ha detto Gabriela, di Tochan.

Il governo deve diventare rapido nel processo di richiesta dei rifugiati, perché questo significa che potranno lavorare e diventare indipendenti. Se arrivano qui, gli aiuti umanitari gli spettano, perché sono stanchi e affamati, sono stati picchiati: in questo senso è importante che i centri che li assistano siano appoggiati, che il governo mandi razioni di cibo, sostegno per assistere la popolazione migrante”.
Questa emergenza ha spinto Ana Enamorado, madre di Óscar Antonio López, un giovane honduregno scomparso in Messico, a sollecitare una reazione nei suoi colleghi del collettivo Huellas en la Memoria.

Durante la notte di martedì si sono mobilitati per fare dello studio di incisione del Café La Resistencia una zona di alloggio, e in questo modo è stato possibile accogliere circa 20 persone. Tra loro circa quattordici famiglie con bambini e neonati.

Tra noi amici e difensori dei diritti umani dei migranti, spingeremo il governo della città a prendere in mano la situazione. C’è urgente bisogno di uno spazio, perché non possono stare per strada, ci sono molti bambini e non hanno niente da mangiare. È urgente perché la gente continua ad arrivare. Da ieri sera sto chiedendo aiuto alla comunità per raccogliere cibo, materassi, lenzuola […] ma soprattutto l’appello è al governo: abbiamo bisogno di uno spazio dignitoso e sicuro per loro”, dice Ana Enamorado.

Franciste Jean è emigrato con sua moglie e suo figlio di due mesi. Hanno trovato alloggio al Café La Resistencia. Sono partiti da Haiti quattro anni fa. A Tapachula neanche loro non sono riusciti ad ottenere un appuntamento alla COMAR.

È stato molto difficile lasciare Tapachula, ho camminato molto, ho attraversato il mare, è stato molto complicato per me e la mia famiglia. Ho problemi a dormire e siccome sono disoccupato non ho abbastanza soldi. Non mi pento di essere venuto al Café, mi hanno accolto con tutto il cuore e sono stati pazienti con noi”.

Ana Enamorado è riuscita a procurare a Franciste, alla sua famiglia e a circa altre quattro famiglie un posto per dormire. Non appena se ne sono andati, altre famiglie haitiane sono arrivate alla caffetteria in cerca di un riparo.