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Senegal – Protezione speciale per effettivo radicamento in Italia, ma anche in virtù dell’art. 35 della Costituzione che tutela il diritto al lavoro

Tribunale di Lecce, ordinanza del 17 settembre 2021

Il Tribunale di Lecce ha riconosciuto la protezione speciale dopo che il Questore di Taranto aveva rigettato la domanda di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Questi i passaggi più significativi del Tribunale: “Secondo il diritto vivente, la protezione umanitaria ha natura residuale e atipica nell’ambito del sistema pluralistico della protezione internazionale di derivazione europea” (cfr. n.8571/2020, n.21123/2019; 13079/2019, n.13088/2019; n.13079/2019) sottolineando come proprio “l’apertura e la residualità” di tale misura di protezione non risultino compatibili con “tipizzazioni” di alcun genere (cfr. Cassaz., n.13079/2019, n.13096/2019). Ed è stato, altresì, affermato il rilievo centrale che assume il c.d. giudizio di comparazione, ossia la valutazione comparativa tra il grado di integrazione sociale effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente nel Paese di origine; tanto, al fine di verificare se la “compressione” della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani possa essere ritenuta al di sotto del nucleo minimo dei diritti della persona il quale connota la condizione di vulnerabilità.
La condizione di vulnerabilità va verificata di volta in volta all’esito di una valutazione individuale della vita privata e familiare del richiedente, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza alla stregua di “un più generale principio di comparazione attenuata, concettualmente caratterizzato da una relazione di proporzionalità inversa tra fatti giuridicamente rilevanti” nel senso che “quanto più risulti accertata in giudizio (con valutazione di merito incensurabile in sede di legittimità se scevra da vizi logico-giuridici che ne inficino la motivazione conducendola al di sotto del minimo costituzionale richiesto dalle stesse sezioni unite con la sentenza 8053/2014) una situazione di particolare o eccezionale vulnerabilità, tanto più è consentito al giudice di valutare con minor rigore il secundum comparationis, costituito dalla situazione oggettiva del paese di rimpatrio, onde la conseguente attenuazione dei criteri rappresentati dalla privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale”. (cfr. Cassaz., n. 8819/2020 che richiama i principio affermato in Cass., n.1104/2020).

In merito al rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale, specifica: “Con il ripristino nel comma 6 dell’art. 5 del D. Lgs. 1998 dell’inciso: “fatto salvo il rispetto degli obblighi costituzionali ed internazionali dello Stato Italiano” e la sostituzione del comma 1.1. dell’articolo 19 del medesimo decreto legislativo, abbia in sostanza operato una sorta di reviviscenza della vecchia protezione umanitaria, potenziandone l’applicazione e chiarendo i relativi presupposti, sulle orme del percorso tracciato dai principi affermati nel corso dell’ultimo decennio dalla gran parte dei giudici di merito con l’avallo della Suprema Corte.
Non altra lettura può esser data infatti alla esplicita codificazione in quest’ultima norma del “diritto al rispetto della propria vita privata e familiare” del richiedente ed alla valutazione dei fondati motivi, al vertice dei quali è posta “la violazione sistematica e grave di diritti umani” con l’indicazione specifica dei quattro criteri di valutazione ai quali deve attenersi l’interprete:
a) natura ed effettività dei vincoli familiari dell’interessato;
b) il suo effettivo inserimento sociale;
c) la durata del suo soggiorno sul territorio nazionale;
d) l’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo paese d’origine”.

Alla stregua di tali principi va esaminata la domanda del ricorrente, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno con la nuova dicitura “per protezione speciale”, in base, appunto, alle novellate disposizioni, applicabili al presente giudizio ai sensi della chiara disposizione transitoria dell’art. 15 del D. l. n.130/2020.
Ciò posto, nel caso in esame, occorre tenere conto:
– della storia personale del richiedente che lo porta suo malgrado ad uscire dal Paese, alla ricerca di una vita migliore;
– della giovane età in cui lascia il Paese;
– del percorso integrativo intrapreso in Italia, testimoniato dalle esperienze lavorative regolari documentate e dalle buste paga recanti un compenso mensile sufficiente a garantire i suoi bisogni primari;
– della situazione di instabilità e di violenza localizzata presente nel Paese di origine.
Dalle allegazioni effettuate, si ravvisa una concreta integrazione del richiedente nel tessuto sociale-produttivo che dimostra un serio percorso di inserimento nel territorio nazionale tanto da meritare riconoscimento e protezione, non solo alla luce dell’art. 8 CEDU, indicativa di un effettivo radicamento in Italia, ma anche dell’art. 35 della Costituzione, che tutela il diritto al lavoro come posizione soggettiva assoluta del singolo, stante la sussistenza di un contratto di lavoro attualmente in essere idoneo alla conduzione di una vita libera e dignitosa sul territorio italiano.
Valutato altresì, oltre il Paese di origine unitamente al buon comportamento tenuto sul territorio nazionale in base alle risultanze in atti (non risultano precedenti penali né di polizia a suo carico), al percorso integrativo intrapreso, alla condizione di lavoratore regolare, si ritengono sussistenti allo stato gravi motivi umanitari che impediscono il ritorno del richiedente nel Paese di origine e dunque il diritto ad ottenere il permesso di soggiorno per protezione speciale ai sensi degli artt. 19 comma1.e 1.1, 5 comma 6 del D.lgs. n.286/1998 e art. 32 comma ter D.lgs. n.25/2008.

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Tribunale di Lecce, ordinanza del 17 settembre 2021

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