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Trieste: intervista a Gian Andrea Franchi

«Sta a noi continuare un’azione più incisiva contro la violenza dei confini»

Photo credit: Marioluca Bariona (Gian Andrea e Lorena in Piazza della Libertà)

Il 22-23 novembre scorsi è stata archiviata l’indagine che ha coinvolto Gian Andrea Franchi e Lorena Fornasir, presidente e vice-presidente dell’organizzazione di volontariato Linea d’Ombra.
I due attivisti erano stati inseriti in un fascicolo di indagini che cerca di far luce su una grande rete di passeurs lungo la rotta balcanica e accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina a scopo di lucro. “Non emergono elementi che consentano la sostenibilità dibattimentale dell’accusa”, hanno dichiarato il pubblico ministero e il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Bologna, dove il procedimento era stato trasferito negli scorsi mesi.
La pratica di solidarietà che si cercava di infangare con questo procedimento è continuata instancabile durante i mesi trascorsi dal 23 febbraio, il giorno della perquisizione in casa di Lorena Fornasir e Gian Andrea Franchi, nonché sede di Linea d’Ombra Odv. L’operato dei due indagati e di tutti i volontari, che si svolge tra piazza Libertà e la Bosnia, ha anzi intercettato il supporto e la solidarietà di moltissime realtà e singoli che da vicino e da lontano si sono avvicinati a questo confine e alla città di Trieste per dare forza fisica e morale all’associazione.

Melting Pot ha intervistato Gian Andrea a distanza di pochi giorni dall’archiviazione.

Partiamo dall’archiviazione del vostro processo. Come si è svolta quest’ultima fase?

Il procedimento è stato spostato a Bologna quando anche Lorena è stata coinvolta nelle indagini; Lorena, in quanto giudice onorario presso il tribunale per i minori di Trieste, non poteva essere giudicata dallo stesso tribunale nel quale prestava un servizio. Questo trasferimento è stato decisivo per l’archiviazione, perché il pubblico ministero di Trieste, colui che ha iniziato il procedimento, è noto per il suo interesse alla problematica migratoria; aveva già denunciato l’associazione Ospiti in Arrivo a Udine anni fa, una vicenda che era stata archiviata velocemente. Insomma, c’era qui un’intenzione “persecutoria” verso chi si occupava di migranti. Quanto ai magistrati di Bologna non avevano questo tipo di interessi e hanno letto privi di pregiudizi il materiale che è stato loro dato e in termini puramente giuridici hanno considerato che non eravamo colpevoli. Insomma, hanno notato il carattere “meccanico” dell’accostamento di noi due a questa cosiddetta “cellula triestina” di passeurs e l’accusa di lucro senza alcuna prova, ma semplicemente basata sul fatto che avevo raccolto del denaro da un parente del capofamiglia, per darlo a lui. Quindi la decisione del pubblico ministero di Bologna convalidata dal giudice per le indagini preliminari nota che non c’è nessuna prova ma un semplice accostamento di fatti cronologicamente successivi.
In questa fase finale è stata detta anche una cosa giuridicamente importante, che non è reato assistere migranti illegali già presenti sul territorio italiano anche nei loro spostamenti: il fatto che io abbia preso un biglietto per Milano per loro non è reato.

Nel comunicato a nome di Linea d’Ombra che avete presentato a Melting Pot lo scorso 23 novembre, avete scritto che la finalità politica dell’intera indagine a vostro carico è diventata palese nel passaggio delle carte dalla magistratura di Trieste a quella di Bologna. Lì avete trovato un PM non interessato a infangare una pratica di solidarietà verso i migranti. Quella del rapporto tra istituzioni e migranti è una problematica che riguarda solo i confini?

Non credo sia una questione geografica, ma di magistrati che aprono e lavorano ai procedimenti. L’attività giudicante implica sempre un’interpretazione, non è un meccanismo automatico che applicato dà sempre lo stesso risultato; soprattutto in una problematica come questa, in cui rientrano questioni sanitarie, di condizioni di sopravvivenza, che fa anche capo ad una materia giuridica complessa… è un tema molto suscettibile di letture diverse. Certo, siamo poi in un contesto in cui la questione dei migranti è stata da una parte demonizzata e utilizzata come strumento di lotta politica e per nascondere i veri problemi di una società in grave crisi come quella italiana, dall’altra c’è un grosso problema di gestione pratica di questo fenomeno.

Di recente anche l’indagine che vedeva coinvolte Luigina Perosa, Elisabetta Michielin e Gabriella Loebau a Pordenone, a due passi da qui, è stata archiviata. Le tre attiviste, accusate di occupazione abusiva e deturpamento di suolo altrui e pubblico per un episodio del 2017, ne sono uscite assolte. Anche quella è una faccenda che riguarda migranti e confini, seppure in una forma diversa e attraverso pratiche diverse. Questo tipo di movimenti che nascono spontaneamente attorno a una causa ricevono periodicamente delle intimidazioni dalle istituzioni, intimidazioni che poi si sciolgono come neve al sole. Cosa pensi di queste dinamiche?

È difficile dare una risposta univoca. Ci sono tanti aspetti; da una parte, che cos’è la magistratura italiana oggi? Uno stesso comportamento può essere condannato o accettato a seconda del magistrato che se ne fa carico. Inoltre, c’è stata una accentuazione molto forte del carattere colpevole del rapporto con i migranti, specie nel periodo in cui Salvini era ministro degli Interni, una dinamica che ora forse si è un po’ ridotta. Però è anche vero che in una regione esposta ai confini come il Friuli-Venezia Giulia le problematiche sono molto più vive su tale questione rispetto ad una regione che non è esposta. Va ricordato che nel 2020 da Trieste ci sono stati per sei mesi dei grandi respingimenti che lo scorso gennaio sono stati dichiarati illegali e bloccati. Nello stesso tempo c’è un tentativo da parte delle istituzioni di riprendere questi respingimenti; di recente il viceministro degli interni in una visita a Trieste ha dichiarato che riprendere i respingimenti è cosa auspicabile, un’istanza in favore della quale si è espresso anche il Prefetto di Trieste.

C’è quindi un atteggiamento oscillatorio da parte delle autorità locali e nazionali e del complesso del sistema giudiziario e poliziesco italiano. Volevo poi ricordare che invece il caso di Mimmo Lucano mostra una sproporzione quasi grottesca nel carattere punitivo della sentenza. Perché? Lì pesa sicuramente il carattere esemplare dell’attività di Lucano, che aveva dimostrato come un piccolo comune impoverito della sua popolazione in gran parte migrata poteva riprendere una nuova vita con quella parte della popolazione che era rimasta proprio tramite il rapporto con i migranti. Questo poteva diventare un esempio pericoloso per tanti piccoli comuni in situazioni analoghe perché rovescia la narrazione dei migranti cattivi, stupratori, che tolgono lavoro agli italiani, e rovesciarla nel suo contrario, in persone che portano vita e creatività in situazioni sociali deprivate.

Cosa giustifica questa differenza di trattamento delle due situazioni? Qual è la differenza tra Lucano e voi? Forse il fatto che il modello Lucano non sia nato dal basso, come Linea d’Ombra o Ospiti in Arrivo, ma da un’attività politica istituzionalizzata come è quella di sindaco di Riace?

Probabilmente, l’attività di Lucano dimostrava la possibilità di trasformare un’istituzione dello Stato come il Comune, cosa molto pericolosa in tempi in cui molti comuni sono in grave difficoltà.

E comunque il fatto che questo rovesciamento sia visto come un pericolo dalle istituzioni la dice lunga su quale sia l’ideologia ufficiale e la battaglia ideologica che le istituzioni portano avanti nei confronti di associazioni e persone che supportano i migranti; si vuole che i migranti rimangano connotati in un certo modo.

Certo, e questa ideologia rispecchia quella che è la politica più ampiamente europea, una politica di campi, di confinamento, di filtraggio di forza lavoro a basso prezzo; è una maglia con reti strette ma che comunque lasciano passare una certa quantità di persone, sia perché è concretamente impossibile bloccarli tutti, ma anche perché fa comodo avere della manodopera a basso prezzo o addirittura in condizioni semi schiavistiche. Lo vediamo bene in Polonia o con la Croazia, che si prestano volentieri ad essere usati come scudo dell’Unione Europea. 

Insomma, l’interesse delle istituzioni è quindi di inibire certe pratiche di solidarietà e per farlo punta il mirino contro soggetti particolarmente rappresentativi di queste realtà, con l’intenzione di colpire tramite loro un intero modello di società e anche un intero complesso di valori. Ma sono riusciti nel loro intento dal 23 febbraio ad oggi?  

No, non ci sono riusciti. Abbiamo ricevuto notevole supporto e solidarietà e noi abbiamo continuato nel nostro impegno quotidiano. La sentenza ritiene non illegale il comportamento di collaborazione con i migranti purché entro i limiti del territorio italiano. La magistratura non può fare di più. Sta a noi continuare un’azione più incisiva contro la violenza dei confini non soltanto italiani. Questo deve aprire un quadro d’azione europeo.

Rossella Marvulli

Ho conseguito un master in comunicazione della scienza. Sono stata a lungo attivista e operatrice nelle realtà migratorie triestine. Su Melting Pot scrivo soprattutto di tecnologie biometriche di controllo delle migrazioni sui confini europei.