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Morte Wissem Ben Abdel Latif: il sistema di “accoglienza e cura” in Italia

La campagna LasciateCIEntrare: «Tante le domande ancora senza risposta»

Manifestazione a Tunisi di fronte all'Ambasciata italiana

Il ragazzo è morto legato ad un letto del reparto psichiatrico del San Camillo dove è stato contenuto per 3 giorni.

Ieri mattina, lunedì 6 dicembre, il Senatore Gregorio De Falco è finalmente riuscito ad entrare nel CPR di Ponte Galeria. Ci aveva già provato sabato 4 dicembre insieme al parlamentare tunisino Majdi Kerbai ed all’avvocato Francesco Romeo, senza però ricevere autorizzazione all’accesso.

La campagna LasciaCIEntrare, che è stata la prima a divulgare la notizia della morte di Wissem Ben Abdel Latif ed è in contatto con la madre del ragazzo e il legale, scrive che il Senatore ha deciso di entrare «anche per riuscire a parlare con i testimoni degli ultimi giorni di vita di Abdel, con i quali nessuna delle persone in visita nei giorni precedenti aveva parlato».

«Guardo caso – prosegue LasciateCIEntare – ieri mattina tutti i tunisini arrivati con Abdel Latif sarebbero stati trasferiti, molto prima che entrasse De Falco e prima di poter rilasciare dichiarazioni se non per via telefono agli attivisti. Un copione squallido, vergognoso, sempre uguale. Come è successo in altre situazioni simili, la macchina del rimpatrio non si ferma di fronte nemmeno alle morti, ma si mette velocemente in moto per espellere e silenziare chi è meglio non venga ascoltato».

LasciateCIEntare ripercorre la storia di Wissem che era arrivato a Lampedusa verso la fine di settembre ed era stato “accolto” nell’hotspot di Lampedusa, che in quei giorni vedeva una presenza di oltre 1.000 persone con sbrigativi trasferimenti sulle navi quarantena.

«La sua vicenda racconta con chiarezza quello che si denuncia da molto tempo “sull’accoglienza”, sulle navi quarantena e sui CPR emerge perfino l’assoluta mancata tutela di testimoni e una agghiacciante indifferenza sul loro racconto».

Le attiviste della campagna, il 3 ottobre, si trovavano, insieme a Carovane Migranti, alla Rete Antirazzista Catanese ed a Ongi Etorri Errefuxiatuak, con le madri tunisine sull’isola di Lampedusa per denunciare le politiche assassine dell’Unione Europea ed il silenzio sulla morte dei loro cari. In quell’occasione la coalizione aveva provato a fare richiesta di accesso all’interno dell’hotspot di Contrada Imbriacola senza ricevere alcuna risposta. Non riuscendo ad entrare avevano seguito i trasferimenti di centinaia di persone tra uomini, donne e bambini dall’hotspot di Lampedusa alla nave GNV Atlas ferma nella Cala Pisana. «Abbiamo visto le loro lunghe ore di attesa, oltre 3 ore, sulla banchina seduti a terra di fronte alla grande porta della Atlas in attesa dell’ordine di poter entrare. Ognuno con la sua busta e la bottiglia d’acqua. Tutti in fila in gruppi di 10 sorridevano a noi che li salutavamo facendo il segno della vittoria. Volevamo avvicinarci per poter lasciare loro del materiale informativo o il numero di telefono SOS, ma eravamo bloccati da un folto gruppo di agenti di polizia».

Tante domande ancora senza risposta

I racconti degli amici e dei parenti, che in questi giorni sono stati raccolti da LasciateCIEntare e dal parlamentare tunisino Majdi Kerbai, parlano di Wissem come di una persona sana, non affetta da disturbi psichici. Nulla insomma farebbe pensare che un ragazzo di 26 anni possa trovare la morte, il 29 novembre ad ore 4.20, legato ad un letto del reparto psichiatrico del San Camillo di Roma dopo essere stato contenuto per 3 giorni.

Wissem però aveva immediatamente fatto i conti con il “sistema dell’accoglienza” italiano.
«L’Italia, il paese della Costituzione nata dalla Resistenza, il paese di Ventotene e dell’Unione europea, lo Stato firmatario delle Convenzioni internazionale e della Carta dei Diritti Umani, si presentava a lui sbattendogli in faccia la cruda realtà: due luoghi di detenzione arbitraria dove è negata “per ordini superiori” qualsiasi possibilità di accedere alla richiesta di protezione internazionale», sottolinea la campagna.

A metà ottobre, come succede per la maggior parte dei cittadini tunisini era stato trasferito e recluso nel CPR. Qui aveva filmato diversi momenti della sua detenzione e temeva di essere scoperto.

La campagna per la chiusura dei CPR pone nuovamente alcune domande che finora non hanno ricevuto risposta e si domanda da quali medici era stato visitato prima di entrare a Ponte Galeria: «Perché il medico della Croce Rossa sulla nave quarantena l’ha ritenuto idoneo al trattenimento se, come vogliono farci credere, era un soggetto vulnerabile e con problemi psichici? Se Wissem aveva una fragilità psichica, perché era stato detenuto in un CPR? Perché a nessuno importa nulla che la persona sia vulnerabile?». Altre domande si soffermano sul fatto se prendesse farmaci e se era stato forzato o seguito da qualche medico nella somministrazione.

Intanto, un’altra manifestazione si è svolta di fronte all’Ambasciata italiana a Tunisi e Rania, la sorella, ha iniziato da ieri uno sciopero della fame. La famiglia di Wissem Ben Abdel Latif ha incaricato l’avvocato Francesco Romeo di cercare di fare luce su tutta la vicenda.

«Di naturale in questa storia non c’è proprio nulla. Viene fuori tutto l’orrore del sistema di accoglienza e rimpatrio contro cui continueremo a batterci senza posa. Wissem Ben Abdel Latif è morto legato al letto, dove è rimasto contenuto fin dopo la morte come ha dichiarato il garante dei diritti delle persone private della libertà Mauro Palma. Nessuna spiegazione coprirà le urla della madre, nessuna risposta. Non può. Perché ogni secondo che Wissem è stato in questo Paese ha subito ingiustizia, violenza ed abuso, culminato in una morte atroce», conclude LasciateCIEntrare.

Stefano Bleggi

Coordinatore di  Melting Pot Europa dal 2015.
Mi sono occupato per oltre 15 anni soprattutto di minori stranieri non accompagnati, vittime di tratta e richiedenti asilo; sono un attivista, tra i fondatori di Libera La Parola, scuola di italiano e sportello di orientamento legale a Trento presso il Centro sociale Bruno, e sono membro dell'Assemblea antirazzista di Trento.
Per contatti: [email protected]