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«Più fuori che dentro»

Il IV rapporto del Naga sul sistema di accoglienza milanese

Photo credit: Vanna D'Ambrosio

Come associazione, abbiamo assistito a una realtà esasperata e distorta.”

Questa è una delle frasi che descrive i sistemi e servizi di accoglienza a Milano nel rapporto del Naga “Più fuori che dentro. Il nuovo sistema di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati e la condizione di chi ne rimane fuori. Un’indagine qualitativa.1 Il rapporto è il risultato di due anni di lavoro, il 2020 e 2021, sensibilmente marcati dalla pandemia di Covid-19. L’Osservatorio sulla migrazione e sulle persone in condizioni di marginalità nella città di Milano ha svolto una ricerca qualitativa circa la situazione dei centri di accoglienza e dei servizi offerti alle persone senza fissa dimora, intervistando gli operatori, operatrici, ospiti e beneficiari, nonostante la difficoltà di accesso in molte delle strutture, a causa della situazione sanitaria.

L’indagine si focalizza dunque sulla situazione delle istituzioni dedicate all’accoglienza delle persone straniere a partire dalle modificazioni legislative avvenute con la legge del 18 dicembre 2020, n. 173, il così detto Decreto Lamorgese. Il rapporto affronta inoltre il tema delle persone senza fissa dimora, mettendo in evidenza le similitudini tra queste due categorie di persone; somiglianze dovute, come vedremo, da mancanze istituzionali strutturali nei confronti della popolazione più fragile.

La prima parte del resoconto – capitoli uno e due – è dedicata all’analisi di tutti i cambiamenti apportati dal nuovo decreto di legge in materia di immigrazione e sicurezza, con un’attenzione particolare al SAI (Sistema di Accoglienza e Integrazione, ex SIPROIMI, a loro volta ex SPRAR).

L’approfondimento mette in luce le criticità del nuovo sistema legge ma anche gli elementi positivi, accompagnando e approfondendo i dati legislativi con le informazioni ottenute attraverso il dialogo con operatori, operatrici, ed ospiti.

Un’analisi, dunque, che non vuole semplicemente essere la descrizione di un cambiamento amministrativo, ma che piuttosto mira a comprendere l’impatto della legislatura sulla realtà, mettendo in evidenza il divario talvolta profondo tra ciò che viene presentato su carta e l’esperienza diretta delle persone coinvolte.

Da questo punto di vista è paradigmatica l’analisi riguardante SAI e CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria). Se da un lato il Decreto Lamorgese ha come obbiettivo ultimo l’abbandono dei CAS, dall’altro l’indagine mostra come il sistema di accoglienza sia ben lontano dal raggiungimento di questo risultato.

Il sistema SAI si basa infatti sulla scelta intenzionale di un ente locale di ospitare un centro sul territorio; tale volontarietà non incentiva tuttavia l’apertura dei centri, e di conseguenza le necessità delle persone straniere vengono accolte ampiamente dai CAS, che hanno un assetto di tipo emergenziale. Un’altra problematica diffusa, che evidenzia la complessità nel cambiamento del sistema di accoglienza nella sua totalità, riguarda il trasferimento delle persone dai CAS ai SAI; tale trasferimento può implicare una dislocazione territoriale, e di conseguenza molte persone rifiutano il posto di cui sarebbero beneficiari nel SAI, demoralizzati dalla prospettiva di abbandonare i propri contatti, amicizie, lavori, luoghi. Tale problematica è talvolta risolvibile con ciò che viene definito autoinserimento, ovvero il passaggio dalla struttura CAS a SAI sullo stesso territorio, grazie a contatti prestabiliti tra i diversi centri. Ciò, tuttavia, deve essere approvato dal Servizio Centrale, meccanismo che dilata le tempistiche e riduce le possibilità di operazione.

Queste sono solo alcune delle difficoltà riscontrate dall’indagine del Naga che non permettono l’abbandono del sistema CAS, come il Decreto presupporrebbe, e che perpetuano strategie di accoglienza emergenziali e poco adatte alle esperienze di vita dei soggetti coinvolti.

Il terzo capitolo restituisce in modo approfondito le osservazioni e testimonianze raccolte sul campo nella città di Milano – grazie anche alla collaborazione con Drago Verde 2 – coniugando l’esperienza delle persone straniere e all’interno dei centri d’accoglienza con quella di coloro senza fissa dimora. Ma perché tale congiunzione? Da un lato, “i ripetuti dinieghi della domanda di protezione internazionale portano a non poter ottenere un permesso che renda possibile vivere nel nostro Paese in modo regolare”, rendendo impossibile trovare un lavoro o un posto dove dormire. Dall’altro, anche per le persone che hanno già ottenuto una forma di protezione è spesso complesso trovare un impiego – e quindi il denaro necessario per permettersi un’abitazione.

Ecco dunque che emerge una delle tante criticità rilevate dall’indagine del Naga: la mancanza di un supporto adeguato – psicosociale, educativo, formativo, etc -, che accompagni le persone in un percorso di inserimento che non può né deve terminare con l’ottenimento della protezione o con l’uscita dal centro di accoglienza, ma che deve necessariamente implicare un’introduzione processuale e costante alla vita locale. Allo stesso tempo, è necessario sensibilizzare il contesto e le istituzioni, agendo sullo sguardo dei cittadini nativi che pensano ancora l’integrazione come mera assimilazione.

Vorrei andare in Francia per raggiungere dei parenti, ma sono bloccato per problemi con i documenti. Tutto è in regola, non ho nessun precedente, lavoro quando posso e cerco di star lontano dalla strada il più possibile, anche se purtroppo spesso e volentieri non è semplice. I miei amici possono ospitarmi per qualche notte ma non di più. Faccio avanti e indietro dai centri che si occupano di documenti, sono andato più volte in questura, ho sentito un avvocato, sono andato in ambasciata: niente. Sono in un limbo, destinato a chissà cosa. Il comune deve prendersi la responsabilità di dare indicazioni chiare e di permettere a persone come me di avere risposte senza doversi sentire di troppo. Chiedo solamente aiuto, da solo non posso far altro che cercare di sopravvivere.” L. 23 anni

Le considerazioni che affiorano dal rapporto sono molte e davvero tutte rilevanti – e proprio per questo invito caldamente la lettura dello stesso, scaricabile gratuitamente dal sito del Naga. Qui ne riporto una che mi ha particolarmente colpita, e che è paradigmatica di una mancata comprensione, organizzazione e presa in carico delle responsabilità circa la popolazione di cui stiamo trattando.

L’indagine ha riportato una generale insufficienza – o quasi assenza – di servizi riservati a persone con problematiche di salute mentale. L’inadeguatezza di tale assistenza comporta complicanze non solo per i soggetti direttamente coinvolti, ma anche per coloro in contatto con essi: gli ospiti che devono condividerne gli spazi, i tempi, le attività; gli operatori e le operatrici con i quali si relazionano nelle dinamiche lavorative, portati a gestire situazioni che avrebbero bisogno di una presa in carico specializzata. Tale mancanza è una delle tante che caratterizzano i centri di accoglienza, solitamente privi di tutte le figure professionali che sarebbero necessarie – l’assistente sociale, ad esempio, è presente in pochissimi centri SAI milanesi. Le criticità non si interrompono tuttavia all’organizzazione del sistema di accoglienza per persone straniere, ma riguardano l’insieme dei servizi destinati alla popolazione fragile di Milano.

Il rapporto del Naga chiarifica la situazione dell’accoglienza milanese per le persone straniere, la cui esperienza nei centri di accoglienza si traduce spesso in un’esperienza di abbandono istituzionale che conduce alla vita di strada, creando un fenomeno che interseca le loro vite con quelle delle persone senza fissa dimora. Ciò su cui è fondamentale interrogarci, allora, – ed è quello che il Naga ha fatto e fa – non sono tanto le differenze tra queste due categorie di persone, quanto piuttosto le cause strutturali che producono tali condizioni di marginalizzazione, discriminazione e invisibilizzazione di una realtà che tuttavia esiste, respira e testimonia quando trova orecchie pronte ad ascoltare – come indicano le parole delle persone incontrate durante la stesura del rapporto, riportate nel capitolo conclusivo dello stesso. Con questa consapevolezza, l’Osservatorio ha prodotto una lista di proposte di cambiamento basate su una conoscenza co-costruita con le persone direttamente interessate; un atteggiamento fondamentale per non cadere in comportamenti assistenzialistici, vittimizzanti e inconsapevolmente discriminatori che riprodurrebbero una visione erronea dell’Altro, allontanandolo ancora una volta da noi.

  1. La presentazione del rapporto «Più fuori che dentro» (video) presso la Casa delle donne a Milano il 16 dicembre 2021
  2. https://www.mutuosoccorsomilano.it

Lidia Tortarolo

Quasi antropologa e aspirante ricercatrice. Vivo a Milano ma vorrei spesso essere Altrove. Mi interesso di migrazione perché non posso non farlo: è qualcosa che mi prende lo stomaco, me lo rigira. Al momento mi sto occupando principalmente di temi legati all’antropologia della violenza e all’antropologia medica, in relazione al contesto migratorio della Rotta Balcanica.