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Foto tratta da L’Italia Sono Anch’Io (archivio)

Aprire i confini dello ius scholae

Appunti sul testo adottato dalla Commissione affari costituzionali

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Il dibattito pubblico sulla possibile riforma della legge sulla cittadinanza ha, da un paio di settimane, un nuovo slancio. Due circostanze hanno dato nuova visibilità al tema: le iniziative per il trentesimo anniversario dall’approvazione della legge attuale, la n. 91 del 1992, e le mobilitazioni delle organizzazioni espressione delle cosiddette nuove generazioni di Italianə.

Dal punto di vista istituzionale, gli ultimi dieci giorni sono stati scanditi da importanti novità. L’on. Brescia, presidente della Commissione Affari Costituzionali, ha presentato la proposta di ius scholae, che il 9 marzo è stata adottata in Commissione come testo base con il voto favorevole del Partito Democratico, del Movimento 5 Stelle, di LEU, Italia viva, parte del gruppo misto e Forza Italia. Ora la proposta potrà essere emendata nell’ambito del lavoro in Commissione per poi approdare alla Camera. 

L’esito positivo del percorso di riforma è tutt’altro che scontato. La fine della legislatura incombe e non è detto che, alla luce delle complesse geometrie parlamentari, questa riforma possa essere approvata in via definitiva. In ogni caso, fino a qualche settimana fa era difficile immaginare che il testo potesse effettivamente essere presentato e adottato dalla Commissione, dopo quasi due anni di sostanziale inerzia. La ripresa del percorso istituzionale rende indispensabile interrogarsi, su larga scala, sui modelli di riconoscimento della cittadinanza, sui loro confini, i loro limiti e le loro potenzialità. 

È indispensabile approvare una nuova disciplina della cittadinanza. La legge attuale ha compiuto trent’anni il 5 febbraio del 2022: fotografa un’Italia che non esiste più. In questi tre decenni la composizione della popolazione è cambiata radicalmente e irreversibilmente grazie alla mobilità delle persone attraverso i confini. Per contro, al di là di poche e specifiche modifiche, la legge n. 91/92 è ancora lì, immobile: uno degli volti più rappresentativi della dimensione sistematica delle disuguaglianze in Italia. È quindi necessario cambiare la legge, ma non è sufficiente una riforma qualsiasi. In gioco ci sono temi di assoluta importanza: le condizioni materiali di vita e la posizione giuridica delle persone con background migratorio, il confine tra cittadinə e non, la qualità complessiva dell’ordinamento giuridico.

  1. Il perimetro dello ius scholae

Nonostante la provvisorietà del testo adottato dalla Commissione, è utile familiarizzare con il suo contenuto: è esemplificativo del dibattito che finora ha accompagnato l’iter. Alla luce della proposta formulata dall’on. Brescia, il/la minore stranierə natə in Italia o che vi ha fatto ingresso entro il compimento del dodicesimo anno di età, che abbia risieduto legalmente e senza interruzioni in Italia e che abbia frequentato regolarmente, nel territorio nazionale, per almeno cinque anni, uno o più cicli scolastici, otterrebbe la cittadinanza italiana. La cittadinanza si acquisirebbe a seguito di una dichiarazione di volontà in tal senso espressa, entro il compimento della maggiore età dell’interessatə, da entrambi i genitori legalmente residenti in Italia o da chi esercita la responsabilità genitoriale, all’ufficiale dello stato civile del comune di residenza del/della minore.

La proposta, quindi, riguarda la condizione dei e delle giovani natə in Italia o arrivatə prima dei dodici anni, e consente l’ottenimento della cittadinanza in relazione alla frequenza regolare di cinque anni di scuola. Il meccanismo inciderebbe significativamente sulla condizione delle e dei giovani in linea con i requisiti descritti, colmando un evidente gap nell’attuale normativa. Allo stesso tempo, lo ius scholae non ha un volto unicamente inclusivo: l’indispensabile ingresso in Italia prima del dodicesimo anno di età, la residenza legale in Italia di entrambi i genitori e l’assenza di una disciplina transitoria, che riconosca questa possibilità alle persone che hanno maturato i requisiti prima dell’eventuale entrata in vigore della legge, testimoniano ad esempio in tal senso.

In ogni caso, per valutare la portata di questa potenziale riforma, è utile leggere lo ius scholae alla luce del più ampio scenario della disciplina giuridica della cittadinanza italiana. Per farlo, è necessario tenere a mente quali figure della cittadinanza sono sistematicamente escluse, alla luce della legge 91/92, dalla possibilità di ottenere il passaporto italiano. L’insieme delle persone a cui è più frequentemente negata la cittadinanza italiana è vasto ed eterogeneo. Alla luce della legge attualmente in vigore, chi nasce in Italia ed è figliə di genitori di origine straniera non acquisisce con la nascita la cittadinanza italiana. Può ambire a ottenerla solo al compimento dei diciott’anni, nell’ambito di procedure che non eccezionalmente hanno esito negativo. Chi nasce altrove e cresce in Italia non ha a disposizione neanche questa possibilità. Gli/le adultə non se la passano meglio: la cosiddetta naturalizzazione – l’ottenimento della cittadinanza italiana per chi vive stabilmente in Italia – può essere concessa a chi, nella maggior parte dei casi, risiede continuativamente in Italia e dispone di redditi adeguati. Alla luce di queste circostanze, è la legge sulla cittadinanza nel suo complesso – e non specifici aspetti contraddittori o sporadiche incongruenze – a configurare forme di esclusione generalizzata

Da questa prospettiva, la proposta adottata dalla Commissione affari costituzionali ha portata parziale e non risponde all’esigenza di una complessiva riforma di questo istituto. La scelta di occuparsi unicamente della condizione delle e dei minori risente dell’ostilità diffusa, anche istituzionalmente, nei confronti delle e degli adultə stranierə, frequentemente oggetto di sguardi ostili e normative vessatorie da parte del legislatore.

  1. Che fare con lo ius soli?

L’assenza, dal testo attuale, di forme di riconoscimento iure soli è densa di ambivalenze politiche. L’idea per la quale le e i minori natə in Italia devono frequentare regolarmente cinque anni di scuola per meritare il riconoscimento della cittadinanza italiana conferma una sottintesa differenza che li separerebbe da chi, invece, alla luce della cittadinanza italiana dei genitori, acquisisce il passaporto con la nascita. È necessario tener presente che la frequenza della scuola primaria è, per le e i minori figliə di non italianə, condizione assolutamente abituale. Allo stesso tempo, anche al di là della percentuale largamente esigua costituita dalle e dai figliə di genitori stranieri che nascono in Italia e che non frequentano regolarmente cinque anni di scuola, è politicamente rilevante che, al momento della nascita in Italia, non sarebbero accumulati alla condizione delle e dei bambinə italiani. Per i primi l’uguaglianza, ancorché in maniera non onerosa, è da guadagnare

Nonostante questa premessa, non appare utile valutare la proposta elaborata dall’on. Brescia unicamente alla luce della mancata previsione di forme di riconoscimento della cittadinanza iure soli. Ancor più esplicitamente, è necessario evitare che ius soli sia lo slogan contrapposto, da una prospettiva critica, allo ius scholae. Di per sé, infatti, il richiamo allo ius soli è non di rado un trappola retorica: è una formulazione sufficientemente generica da poter essere riferita a modalità anche altamente differenziate di riconoscimento della cittadinanza. Ad esempio, in molti paesi nei quali l’ordinamento prevede lo ius soli sono richieste condizioni anche molto onerose ai genitori in relazione alla tipologia dello status giuridico e all’anzianità del soggiorno ai fini dell’acquisizione della cittadinanza da parte delle e dei figliə al momento della nascita.

Ecco che la richiesta dell’introduzione dello ius soli, senza ulteriori indicazioni sullo specifico funzionamento del meccanismo, è un significante vuoto e può contribuire a confondere il quadro. In aggiunta, non di rado le mobilitazioni a favore dello ius soli finiscono, anche involontariamente, per offuscare la condizione delle e degli adultə. Se è indispensabile che, nel nostro ordinamento, siano finalmente introdotte modalità non selettive di riconoscimento della cittadinanza iure soli, è indispensabile che anche per le altre figure della cittadinanza siano al centro della riforma.

Accanto e oltre lo ius scholae, lo ius soli e le altre locuzioni che periodicamente si affacciano nel dibattito pubblico, c’è l’esigenza di riformare, in maniera complessiva, la disciplina giuridica della cittadinanza, prevedendo forme di riconoscimento effettivo e diffuso per le persone che nascono, crescono, vivono in Italia, superando ogni requisito selettivo, classista, disciplinante. Da questa prospettiva, attraverseremo settimane cruciali. La ripresa della discussione parlamentare e l’adozione del testo base sono elementi da salutare positivamente. Seguirà la delicata fase degli emendamenti in Commissione. È utile abitare, in maniera larga e diffusa, il dibattito attuale, aggirare la trappola degli slogan contrapposti, rifiutare ogni prendere o lasciare e allargare significativamente il perimetro della riforma. Ogni scelta sulle modalità di riconoscimento della cittadinanza italiana ha un profondo rilievo politico: è tempo che sia approvata una nuova legge, finalmente all’altezza della dimensione plurale della società.

Francesco Ferri

Sono nato a Taranto e vivo a Roma. Mi occupo di diritto d'asilo, politiche migratorie e strategie di resistenza sia come attivista sia professionalmente. Ho partecipato a movimenti solidali e a ricerche collettive in Italia e in altri paesi europei. Sono migration advisor per l’ONG ActionAid Italia.