Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
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B.U.R.N. – Health On The Move

Un progetto sul confine bosniaco-croato promosso da Ya Basta Bologna, Laboratorio di Salute Popolare e No Name Kitchen

Photo credit: Laboratorio di Salute Popolare

La presentazione del progetto

Dalla convergenza tra realtà che da anni lavorano sui confini europei, è nato B.U.R.N – Health On The Move, un progetto che si impernia sulla pratica sanitaria come atto politico di alleanza con le persone in movimento bloccate alla frontiera croato-bosniaca, una tra le più militarizzate e violente d’Europa. Con No Name Kitchen, Laboratorio di Salute Popolare e Ya Basta! Bologna, ci siamo interrogatə su come essere oggi una presenza solidale sul confine in grado di fare emergere le profonde contraddizioni che lo caratterizzano, determinare fratture nel sistema, e non essere inglobata nel meccanismo del borderscape. Con queste domande, continuiamo ad attraversare il confine, conscə delle difficoltà, ma fiduciosə di poter trovare insieme delle risposte all’altezza di questa impresa.

In un mondo in transizione è importante riconoscere le molteplici forze, non necessariamente statali, che ne determinano l’ordine precario e instabile. Il capitalismo finanziario, le big coorporation, le economie criminali, le nuove e le vecchie super potenze con le loro aree di influenza, i signori della guerra e gli islam politici: questi sono alcuni degli attori che contribuiscono a costruire un sistema complesso, non integrato e non lineare di sfruttamento globale.

Da qui, i crescenti movimenti migratori verso l’Occidente degli ultimi 10 anni che hanno imposto il tema della libertà di movimento in tutto il mondo, riportando “a casa” i problemi strutturali di un sistema politico-economico intrinsecamente neocoloniale e iniquo. Sopraffatti dalla proliferazione spaziale di una società globalizzata, che si proietta contemporaneamente sul territorio, nel virtuale e nello spazio, i cartografici confini della tradizionale sovranità nazionale fanno fatica a sostenere la velocità di un mondo trainato da sovrapposte e contraddittorie forze governamentali.

Il Nord del mondo – e in particolare l’Europa – ha reagito a questi movimenti sviluppando un controllo maniacale e violento delle proprie frontiere, costruendo un sistema-fortezza che negli anni ha dimostrato di non essere semplicemente uno strumento di esclusione, ma un più complesso dispositivo di selezione che produce corpi e vite illegalizzate e includibili attraverso rapporti di sfruttamento.

Come si costruisce questa fortezza porosa? La strategia più popolare degli ultimi anni è l’esternalizzazione delle frontiere, messa in campo sia dagli Stati membri più populisti e sovranisti sia dalla governance liberale europea attraverso pratiche e discorsi diversi ma spesso complementari. L’esternalizzazione si compone di due dimensioni.

La prima è quella che proietta la gestione del confine verso l’esterno attraverso patti con Stati terzi, lo stanziamento di ingenti fondi per la costruzione di grandi centri di detenzione e il potenziamento delle autorità di frontiera di tali paesi, assunti a guardiani delle frontiere d’Europa.

La seconda è una dimensione interna, caratterizzata da una crescente militarizzazione e digitalizzazione dei confini. Chiunque riesca a sfuggire alla morsa dei cani da guardia esterni, deve affrontare la polizia di frontiera degli Stati membri, le agenzie europee come Frontex e sistemi di controllo sempre più digitalizzati fatti di telecamere ad infrarossi, droni, aerei e banche dati biometrici che tentano di tracciare ogni singolo movimento autorizzato e non. Un sistema sempre più efficiente che combina pratiche biopolitiche di gestione delle vite in movimento a pratiche necropolitiche di invisibilizzazione e annullamento dei corpi migranti.

Osservati da questa prospettiva, i confini nazionali si manifestano e materializzano in tutta la loro maestosità. Tuttavia nulla è come sembra. Etienne Balibar è lapidario: «The world is not “westphalian” anymore» (Balibar, 2015). Oggi, molteplici sottosistemi e forze transnazionali superano e disgregano i precisi limiti del potere sovrano nazionale. In tutta risposta, gli Stati-nazione si trincerano, difendendo un ordine politico che non esiste più, forse, in fondo, più per riaffermare se stessi che per proteggersi da effettive minacce esterne. Nel perenne stato di crisi che caratterizza il nostro presente, le frontiere crollano se non vengono continuamente fortificate e militarizzate. La loro sempre più violenta affermazione è il primo segno della loro fine.

La Pandemia globale si è inserita in questo contesto, radicalizzando alcuni processi già in essere. Il Covid-19 ha paralizzato la mobilità globale. Se questo è vero per tuttə, lo è ancora di più per le persone migranti, che sono state strumentalmente identificate come vettori del virus, corpi da bloccare perché “ci portano le malattie”. Queste accuse hanno permesso, quindi, di consolidare il regime di frontiera europeo, operando una doppia tendenza.

Da un lato, una proliferazione di frontiere interne all’Europa, tra Stati, regioni, zone rosse e quarantene. Ai confini già esistenti, si è sovrapposta la frontiera sanitaria con la sua potenziale sorveglianza bio-digitale che trasforma il corpo stesso in un confine.

Dall’altra, l’aumento della violenza di frontiera. La pandemia ha creato delle zone grigie in cui le autorità hanno avuto sempre più margine per implementare pratiche illegali. Qui si collocano i violenti pushback a catena delle foreste balcaniche, i drift back dell’Egeo, le omissioni di soccorso nel Mediterraneo, la sospensione del diritto d’asilo in situazioni di emergenza, o l’utilizzo delle navi quarantena, pericoloso esperimento di hotspot galleggianti.

Il Covid ci ha tolto spazio di movimento. Ha depennato il tema migrazioni dall’agenda politica. Anche per chi è solidale con la lotta delle e dei migranti è sempre più difficile attraversare lo spazio di frontiera e nella scala delle priorità è una questione meno urgente di cui occuparsi. Tuttavia, l’emarginazione e la violenza che questo mondo in transizione produce è qualcosa che ancora ci riguarda. E noi questo spazio di indagine, denuncia e alleanza ce lo vogliamo riprendere.

Per questo abbiamo deciso di andare in Bosnia, la terra alla fine delle terre come lo chiamano i bosniaci. Una terra di confine in cui si sono riflessi gli effetti della Guerra Fredda prima, e si sono combattuti i conflitti armati della balcanizzazione della Jugoslavia poi. Un luogo in cui il territorio e la rotta possono ferirsi a vicenda sotto la forte influenza del processo di esternalizzazione dei confini europei e dei paesi limitrofi. Una delle tante province d’Europa che è stata trasformata in un teatro degli orrori per tuttə coloro che non trovano una collocazione nella democrazia del vecchio continente.

Lo scarto umano che deve essere respinto e annullato, lasciato marcire in edifici abbandonati, o massacrato nelle foreste sul confine. In particolare, concentriamo il nostro intervento a Bihać, una cittadina sul confine bosniaco-croato, strategica per iniziare il “game”, come viene ironicamente chiamato il tentativo di superare il confine e raggiungere l’Europa. Un gioco perverso che si può ripetere decine di volte e che costringe molte persone a tornare indietro al punto di partenza a causa della violenza della polizia di frontiera e vivere per mesi in accampamenti improvvisati in condizioni disumane.

Photo credit: Laboratorio di Salute Popolare

B.U.R.N. – Health on the Move è un progetto igienico-sanitario che nasce dalla collaborazione di Ya Basta! Bologna, Laboratorio di Salute Popolare e No Name Kitchen, da anni attiva su questo confine. Da gennaio a maggio, diversi teams composti in totale da più di 50 attivistə tra medicə, infermierə, studentə di medicina e figure non-sanitarie, si uniranno allə attivistə di No Name Kitchen per portare supporto sanitario alle persone in movimento. Siamo attivə nei campi e negli squats informali, canali invisibili che sostengono il libero movimento di tuttə coloro che vengono lasciati alla porta, e ci opponiamo alla geografia detentiva dei grandi campi formali, che in tutte le frontiere europee svolgono la funzione di contente e filtrare.

Abbiamo scelto di portare sul campo l’attività di cura, cogliendone il significato più politico – intrinseco, ma forse spesso poco narrato – e cioè della cura della salute, nella sua concezione biopsicosociale, come strumento di resistenza, di connessione, di dialogo tra vite che portano i segni delle scelte violente del sistema in cui tuttə viviamo. Una scelta non facile, dal momento che agiamo all’interno di un vuoto normativo in cui la solidarietà autonoma e complice, portata avanti da realtà locali o internazionali, se non è irregimentata nel “sistema sicurezza” di esternalizzazione dei flussi migratori, viene osteggiata e criminalizzata. Prendere in carico i corpi, significa entrare in contatto diretto con quelle che sono le conseguenze della violenza strutturale, ancora più evidente sui confini; curarli significa invitarli e sostenerli nell’opporsi ad essa. L’intervento sanitario agisce sul piano materiale delle difficoltà del contesto, cercando, in prima istanza, di rompere l’isolamento a cui la sofferenza forza le persone. Il nostro compito è quello di minare, anche se di poco, quel confine che si stende tra diritto e privilegio, mettendo al centro la salute e la vita tramite la costruzione di dimensioni relazionali opposte a quelle spersonalizzanti attuate dalla frontiera.

B.U.R.N. è l’acronimo di Balkan Underground Railroad Network, un nome che trae ispirazione dalla storica impresa della Underground Railroad, la rete di fuga e liberazione degli schiavi afroamericani dagli stati schiavisti del sud USA verso gli stati liberi del nord e il Canada. L’immagine della Ugrr è significativamente evocata nel libro Underground Europe (2021) di Luca Queirolo Palmas e Federico Rahola in riferimento alle contemporanee rotte migratorie. Questa storia quasi mitica ci parla da lontano della specifica forma di oppressione della schiavitù. Senza perdersi in ingenue romanticizzazioni, nella storia dell’Ugrr notiamo un importante elemento da tenere a mente nella lotta contro i confini: l’imprescindibile legame tra il diritto alla fuga e il dovere di solidarietà.

Le persone in movimento criminalizzate combattono per liberarsi da catene diverse da quelle schiaviste, meno letterali, più mobili e flessibili, ma che spesso assumono le sembianze di una trappola. E proprio all’interno di questo spazio-trappola si generano punti di incontro in cui prende vita un contro-movimento, una contro-spazio: un’organizzazione collettiva verso e contro l’Europa. Un sistema di reti e alleanze che tiene saldi il diritto alla fuga e il dovere di solidarietà in un’ottica di politica sovversiva, radicale e, in un’ultima analisi, abolizionista.

Allearci alla spiazzante lotta di queste persone non sarà la soluzione in un mondo che corre e si disfa così velocemente, ma è un primo passo nella lotta abolizionista, non solo dei confini, ma di ogni forma di violenza strutturale che organizza i rapporti sociali e di sfruttamento della nostra società. Per quanto si possa tentare di annientarla, l’umanità è più resistente del diamante, come ci dimostrano le migliaia di persone che, schiacciate sui confini d’Europa, non si arrendono e riaffermano ogni giorno la propria volontà di vivere una vita degna. B.U.R.N. brucia come quella volontà di superare tutti i confini e costruirsi una vita degna di essere vissuta.


B.U.R.N. è un progetto auto-organizzato e autofinanziato. E’ possibile sostenere il crowdfunding:

Per informazioni: