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Bosnia, «La mia vita è solo buio e sono scappato dalla guerra come gli ucraini»

Reportage dal Velika Kladuša, marzo 2022

Foto di SmallAxe ODV

L’associazione SmallAxe della zona vesuviana di Napoli ha partecipato a inizio mese, insieme a Linea D’Ombra di Trieste, ad una missione solidale in Bosnia-Erzegovina. Il collettivo è attivo in Italia con diversi progetti tra cui uno sportello di assistenza legale gratuito e una scuola d’italiano per persone migranti.

Questo il reportage dell’esperienza, a firma di Emilio Mesanovic.


Premessa

Velika Kladuša è una piccola città della Bosnia-Erzegovina sul confine con la Croazia, da qualche anno è un punto di passaggio per tanti richiedenti asilo in cerca di protezione verso l’Europa. Sono migliaia le testimonianze raccolte in questi anni da attivisti e associazioni sui respingimenti illegali da parte della polizia croata nei confronti delle persone che cercano di raggiungere l’Europa, non da meno quelli raccolti sulla polizia bosniaca che ha tra le sue prassi intimidatorie e repressive, quella di bruciare le tende di fortuna che i migranti in transito usano per ripararsi dal gelo della notte.

A Velika Kladuša la vita dei migranti è bloccata in un limbo infernale, dove l’unica alternativa a quella vita di privazioni è oltrepassare il confine affrontando il “game”, che consiste nel camminare nascosti nel bosco per giorni e giorni con la speranza di raggiungere un paese dell’UE, senza essere presi dalle polizie di frontiera che in modo disumano continuano ad attuare respingimenti illegali.

Ricordiamo che la Bosnia-Erzegovina e tutta la zona, che ahimè, è definita ex Jugoslavia, meno di trenta anni fa vivevano un conflitto estremamente drammatico, un conflitto alimentato e innescato dalla Nato con l’intento di distruggere e destabilizzare quell’area. Oggi il Paese sembra vivere di nuovo lo spettro del separatismo dettato dalle entità politiche nazionaliste di ultra destra che vorrebbero ulteriori linee di divisioni interne.

La maggior parte della popolazione della cittadina per fortuna resta solidale con i migranti in transito, anche se non mancano denunce di persone aggredite da alcuni abitanti del luogo anche loro dalla memoria troppo breve.

Condizione abitativa dei migranti bloccati

La condizione abitativa dei migranti in transito bloccati a Velika Kladuša è estremamente drammatica, qui troviamo due condizioni abitative differenti: la prima è quella del centro di accoglienza governativo per uomini singoli, mentre la seconda riguarda le persone che giustamente, viste le condizioni che ci hanno descritto e denunciano, hanno scelto di vivere fuori dal circuito di accoglienza bosniaco, trovando riparo tra gli squat e le jungle.

Condizione abitativa del Centro di accoglienza governativo

Non ci è stato permesso di entrare nel centro che in realtà sarebbe giusto definire “campo”, ma siamo riusciti a raccogliere alcune testimonianze di persone che sono state “accolte” in questi centri. Come è noto i centri di accoglienza governativi sono gestiti dall’OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) che non permette in nessun caso che attivisti o gente comune entri all’interno.

A Velika Kladuša c’è un campo per soli uomini: dalle testimonianze raccolte, emergono delle condizioni di vita degradanti, la qualità del cibo è molto scadente e non sempre ce n’è a sufficienza per soddisfare i bisogni di tutti gli accolti. A tutti viene fornito lo stesso pasto, senza considerare determinate esigenze o allergie e intolleranze alimentari.

Le condizioni igienico-sanitarie sono molto scadenti, ma tra le questioni emerse è di cruciale importanza sottolineare il comportamento fortemente repressivo da parte della sicurezza privata interna.

Condizione abitativa fuori dal circuito governativo

Per quanto riguarda le persone che giustamente e legittimamente decidono di non essere accolte nei campi governativi viste le condizioni disumane e degradanti, ci sono gli squat, case abbandonate e distrutte dal tempo che vengono usate come rifugio per la notte. Le condizioni igieniche sanitarie sono molto carenti, spesso si trovano in zone periferiche e collinari, lontano dal centro abitato e della vita sociale e sono prive di acqua corrente e di elettricità. Le persone trovano sostegno da realtà e associazioni formate da validissimi attivisti che si occupano di fornire un supporto generale, indumenti e cibo.

Foto di SmallAxe ODV

Alcune delle testimonianze raccolte

Nei giorni in cui siamo stati presenti abbiamo trascorso molto tempo ad ascoltare le storie delle persone a cui viene impedito di richiedere protezione in Europa e che hanno subito ripetuti respingimenti da parte delle polizie di frontiera. Le persone che abbiamo conosciuto vivevano all’interno di una casa abbandonata e distrutta durante la guerra, nessun servizio igienico, niente elettricità e niente acqua corrente. In casa erano presenti insieme a loro altre quattro persone tutte provenienti da Paesi diversi.

S. è un ragazzo 27enne afgano scappato dal suo paese 8 anni fa, il game lo ha tentato circa 20 volte e puntualmente, come tantissimi uomini, è stato respinto dalla polizia croata con metodi violenti e degradanti. Prima di arrivare in Bosnia è stato in Grecia, dove nel campo governativo di Salonicco ha subito ripetute aggressioni dalle guardie di sicurezza semplicemente perché chiedeva che i suoi diritti fondamentali fossero rispettati.

S. dimostra una dignità infinita, continua a dirci che lui è giovane e che vuole solamente vivere in un posto tranquillo dove avere una vita normale. Ci racconta che nell’ultimo tentativo di superare il game, nella zona boschiva di confine, lui e il suo gruppo hanno incontrato un commando di militari o poliziotti. Non hanno capito bene a quale corpo appartenessero, ma tutti erano vestiti di nero e con volto coperto. Li hanno aggrediti e picchiati con estrema violenza, derubati del telefono e dei pochi soldi che avevano e infine respinti ancora verso la Bosnia. Le sue parole: «I wake up morning in the dark, i eat in the dark, i go sleep in the dark, my life is only dark and i m run from war like ucrainian».

M. e A. Lui è un ragazzo afgano di 26 anni, lei invece è giovane curda di 19 anni, si sono conosciuti durante il viaggio verso l’Europa dove si sono innamorati e sposati. M. è scappato dall’Afghanistan perché la guerra gli ha portato via tutto, una guerra dove le colpe degli Stati Uniti e della Nato appoggiati dall’Europa sono state troppe.

M. continua a parlarci della brutalità della polizia croata durante il tentativo di superare il game, ci ripete che è un trattamento che va oltre ogni logica umana. Ha provato il game per 15 volte ed è sempre stato picchiato dalla polizia croata. L’ultima volta, dopo averlo picchiato, gli hanno fatto credere che lo stavano accompagnando a Zagabria dove avrebbe potuto richiedere protezione, ma invece lo hanno ricacciato dall’altra parte del confine, picchiandolo nuovamente e derubandolo di quel poco che aveva. E’ arrabbiato perché la polizia croata gli ha rotto il telefonino che è uno strumento fondamentale per spostarsi in sicurezza e per potersi orientare quando si tenta il game. La prassi di distruggere i telefoni è molto frequente. Le sue parole: «I dont want nothing only live in peace do my life without war and bombs on my head».

A. è in fuga da 4 anni, in pratica da quando ne aveva appena 15. E’ scappata con una parte della famiglia, ma era stata divisa da loro nel tentativo di attraversare il game. Lei è stata respinta mentre i suoi cari, fortunatamente, sono riusciti ad arrivare a Zagabria e richiedere protezione. Durante i nostri incontri non ha mai parlato, se non per dirci con un sorriso “Thank you“, ma i suoi occhi potevano esprimere tutto quello che aveva subito nel corso del suo cammino verso l’Europa nel tentativo di richiedere protezione.

B. ha 15 anni, è kurdo iracheno ed è in fuga da quando aveva 11 anni. E’ scappato da solo senza nessuno perché nel suo paese aveva perso tutta la sua famiglia. B. è stato costretto dalla vita a non poter mai essere bambino e nemmeno adolescente, la consapevolezza e l’intelligenza con la quale si confronta con noi è disarmante. Non è più un ragazzo già da diversi anni e ha provato il game 20 volte e come tanti ha subito le violenze della polizia croata. Lui continua però ad avere speranza ed è certo che presto riuscirà ad arrivare in Europa per richiedere protezione e poter tornare a scuola.
A 15 anni, senza mai aver vissuto con la spensieratezza di un coetaneo, ci parla di unione e fratellanza tra le persone perché, nonostante scappare dalla guerra e finire nel game ti costringa a bruciare il tempo e a divenire adulto in fretta, lui non smette di aiutare le persone nella sua stessa condizione e a non perdere la speranza di poter richiedere protezione.

Foto di SmallAxe ODV

Ostruzionismo e criminalizzazione della solidarietà

Le prassi repressive e di violenza verso i migranti in fuga da parte delle polizie di frontiera pagate dall’Unione europea sono azioni che andrebbero condannate e punite nell’immediato, oltre che meritevoli di un processo presso la Corte dei Diritti dell’Uomo.

In questo clima fortemente repressivo, vengono messe in atto anche prassi di intimidazione verso gli attivisti e volontari che portano aiuti e solidarietà alle persone in fuga. La polizia bosniaca in questi anni – ci è stato riferito da volontari con alle spalle diverse missioni – ha notevolmente aumentato i controlli sui volontari e alla frontiera. In un primo momento, anche a noi, al check-point, ci è stato negato l’ingresso nel Paese perché avevamo una piccola busta con delle garze. Siamo dovuti ritornare indietro, posare il tutto e rifare tutti i controlli.

Per quanto riguarda invece la polizia croata dobbiamo ribadire una situazione già conosciuta anche da una parte dell’opinione pubblica, ma che continua a essere avallata dalle istituzioni. La violenza che in questi anni ha usato, e tuttora continua ad usare per respingere i migranti, è appurata da numerosi rapporti e inchieste giornalistiche. Meno note sono le prassi usate per intimidire gli attivisti e volontari impegnati nella solidarietà e nella difesa dei diritti fondamentali.
La nostra esperienza è un piccolo segnale di quanto ogni giorno subiscono molti altri attivisti. Infatti, sulla via del ritorno, quindi entrando nel territorio croato per attraversarlo, siamo stati accuratamente perquisiti e, contestualmente, abbiamo subito un vero e proprio interrogatorio. La polizia ha poi pensato che fosse fondamentale assicurarsi che stavamo realmente lasciando il paese: fino al confine con la Slovenia, ossia per circa 220 km, ci ha seguito per accertarsi del nostro percorso. Siamo però convinti che queste intimidazioni non faranno cessare le pratiche di solidarietà, ma anzi rafforzano la consapevolezza che è fondamentale proseguire nelle attività solidali e di osservatorio per denunciare quanto accade, sostenere le persone in movimento e stare al loro fianco per difendere i diritti. 

Foto di SmallAxe ODV

Per concludere

Le persone che abbiamo incontrato sono tutte in fuga dalla guerra e dai suoi effetti che colpiscono quei paesi da molti anni. Dovrebbero essere tutelate, invece si trovano di fronte le barriere erette dalla fortezza Europa e prima ancora le polizie extraeuropee finanziate con i fondi dell’Unione europea. 

In queste settimane di partecipate e giuste mobilitazioni internazionali per portare solidarietà e supporto al popolo ucraino, e a cui diamo tutta la nostra solidarietà, siamo costretti a sottolineare che di fatto viene impedito ad altre migliaia di persone di entrare in un paese sicuro e richiedere protezione. Questa è una politica criminale che ha una doppia faccia: da un lato si mostra accogliente solo per gli ucraini, mentre dall’altra continua a dirottare fondi per accordi con paesi extra UE, militarizzare e controllare i confini con polizie, eserciti, uso di sofisticate tecnologie per respingere e trattenere fuori dalle sue porte altre persone in cerca di protezione.