Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
Photo credit: Vanna D'Ambrosio
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Il lockdown del sistema di accoglienza

Prima e dopo la pandemia: l'emergenza di chi cerca rifugio in Italia

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Non basta un atteggiamento puramente difensivo: la crisi attuale può essere un’opportunità per concentrarsi sul carattere strutturalmente disuguale di diritti degli stranieri e invertire la tendenza. Ma questo richiede impegno civico e coraggio politico.
(Paolo Attanasio, What the COVID-19 Outbreak Tells Us about Migration)

Bloccati e sfruttati

Photo credit: Vanna D’Ambrosio

È questa la condizione che Francesco della Puppa e Giuliana Sanò 1 restituiscono ad una serie di approfondimenti condotti sul sistema di accoglienza che ha trasformato l’Italia in un paese di campi (campi rom, campi profughi, campi di battaglia ecc.); una ‘forma campo‘ (Declich, Pitzalis 2021), dove i richiedenti asilo sono contenuti fisicamente e legalmente nella lunga attesa di ricevere uno status/protezione – con livelli molto limitati e possibilità di mobilità, lavoro, integrazione e vita sociale.

«Stuck and Eploited. Refugees and Asylum Seekers in Italy between Eclusion, Discrimination and Struggles», pubblicazione collettanea, racconta di un sistema, da Nord a Sud Italia, che ha trasformato le disuguaglianze e il sistema delle disuguaglianze, cambiando quelle vecchie, generando quelle nuove ed intrecciando il vecchio e il nuovo.

Durante la pandemia, i ‘campi2 non sono stati in grado di garantire la distanza fisica o altre misure di sicurezza individuale, diventando fattore significativo di contagio. Il caso drammatico del campo di Moria a Lesbo, tra COVID-19 e la detenzione, è stata una delle pagine più buie della tragedia dei rifugiati 3.

Nel maggio 2020, per far fronte all’emergenza sanitaria, il governo italiano approva la ‘sanatoria‘ concedendo agli immigrati sul territorio l’emersione dalla clandestinità per un periodo necessario al lavoro, riattivando uno stato emergenziale funzionale a relegare i lavoratori al ruolo di ‘vittime dello sfruttamento4. Il paradigma 5 ha permesso di rappresentare alcuni gruppi di migranti (gli irregolari, e in particolare tra questi coloro che vivono all’interno di ghetti e insediamenti informali) come particolarmente vulnerabili e come soggetti da proteggere sia rispetto alla minaccia della diffusione del COVID-19 sia rispetto allo sfruttamento lavorativo.

Le scienze sociali hanno osservato empiricamente le pratiche burocratiche progettate per governare l’eccezionalità e l’emergenza. Legittimate dalla necessità di intervenire tempestivamente, azionano processi gestiti in una struttura top down, coinvolgendo spazi aperti di discrezionalità che nascondono le cause e le responsabilità dei fenomeni.

Una tendenza da parte dello Stato – come la definisce Francesco Faeta, riprendendo il termine ‘experialism‘ di David Foster Wallace – a cedere sovranità su aree territoriali considerate più problematiche, delegando ad altri Stati o enti sussidiari la loro gestione (comprese le reti clientelari e criminali, che hanno funzioni locali specifiche nell’articolazione del capitale) 6. De facto, lo Stato espelle richiedenti asilo ed immigrati dalla frontiera nazionale e imperiale, lasciandoli nella loro marginalità.

L’ approccio di emergenza è, dunque, la regola d’oro nella gestione delle migrazioni in Italia e, a livello nazionale e locale, gode degli strumenti giuridici tipici di questo paradigma: decreti urgenti, atti amministrativi o il ricorso periodico alle ‘amnistie’.

Come la burocrazia in generale, l’accoglienza – il sistema, soprattutto nella sua gestione superiore – si è trasformato in un’amministrazione che evita quasi completamente la discussione pubblica della sue tecniche, escludendo questi soggetti dalle possibilità della valutazione collettiva di alcuni settori così delegati alla gestione di tecnici ed esperti 7.

Gestione privata, dunque, e concentrazione di fondi e strutture pubbliche nelle mani di ‘oligarchi‘ hanno utilizzato i migranti come merce da sfruttare per il massimo guadagno economico o politico, inducendo ad una loro completa inferiorizzazione.

Secondo Yasmine Accardo, un’attivista di LasciateCIEntrare, che ha avuto esperienza diretta di questo insieme «non c’è stato alcun bando di gara, l’emergenza ha permesso una totale mancanza di trasparenza e controllo. Questa fase di emergenza avrebbe dovuto essere superata in pochi mesi per passare alla seconda fase con il coinvolgimento degli enti locali. L’emergenza Nord Africa non ha mai visto una seconda fase, in quanto è rimasta nelle mani degli albergatori fino alla fine» 8.

La prima ondata: il decreto Salvini

Photo credit: Giovanna Dimitolo (Milano, 31 luglio 2020)

L’introduzione della legge 113/2018, ha, di fatto, portato allo smantellamento dell’attuale sistema di accoglienza (Della Puppa et al. 2020).

Costanti aggiornamenti in materia di politica migratoria si sono avuti dal secondo decennio del 2000: l’intensità dei flussi migratori e la varietà della loro composizione hanno fatto sì che la tendenza specifica del sistema di accoglienza sia stata di assegnare sigilli di qualità a progetti genericamente identificati come ‘virtuosi‘, benché il sistema sia stato diviso e non aderente a nessun altro servizio pubblico. Le ‘best practices‘ hanno aumentato il disorientamento e la mancanza di chiarezza nei progetti e negli interventi. Esse, in realtà, sono state ritenute tali pur senza valutazioni accurate del loro impatto, della loro efficacia o, della loro trasferibilità. La logica di risposta all’emergenza Nord Africa e a tutte le emergenze ha favorito questo processo, più mirato sulla quantità che sulla qualità dei servizi. Un livello che contiene lo spazio che ha dato le debolezze strutturali del sistema di accoglienza, laddove la precarietà dei lavoratori e dei “beneficiari” costituisce il file rouge della relazione alla base del pacchetto Sicurezza9. Merton sostiene che la retorica delle migliori pratiche può essere considerata una manifestazione del processo di ‘addestrata incapacità‘ che genera un circolo vizioso disfunzionale.

I sistemi di accoglienza, quindi, hanno fatto i conti con un sottosviluppo strutturale a livello nazionale. La drastica riduzione dei servizi disponibili per il percorso di protezione e inclusione sociale, ad effetto del Decreto Salvini, ha naturalmente esacerbato la crescente vulnerabilità del sistema. Il risultato è stata la frammentazione e la mancanza di coerenza del sistema di accoglienza.

Nel caso specifico dell’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati – come nello studio condotto da Spada – “nuovo soggetto migrante10, il decreto legge 113/2018 ha ampliato l’ambito di applicazione di questo sistema frammentato e debole rendendolo lo snodo centrale di una serie integrata di interventi. Basti pensare alla figura del tutore legale assegnato, o tutore, che ha spostato la responsabilità e la custodia dei minori dalle figure istituzionali ai cittadini. ‘Gli affidamenti e le tutele dei minori non accompagnati hanno le loro ambiguità, che derivano dalle percezioni prevalenti di ciò che costituisce infanzia (Comaroff, Comaroff 2005), adolescenza ed età adulta‘.

Si tratta di un sistema di accoglienza improntato al paradigma di scarsità (Vecchiano 2010) dove sebbene a minori e richiedenti protezione internazionale siano formalmente garantiti servizi sanitari, istruzione, formazione professionale e supporto linguistico, le istituzioni non sono efficaci nell’assicurare tali servizi 11 e le risorse (e gli stessi minorenni migranti non accompagnati) sono distribuite in modo disomogeneo sul territorio dello italiano.

Un sistema disciplinato su ‘autonomia’, ‘competenza‘, ‘vulnerabilità‘, che ha spersonalizzato e standardizzato le relazioni, creando assistenzialismo, infantilizzazione e dipendenza.

A fronte, il programma “Vesta12, concepito dalla Cooperativa Camelot nell’area di Bologna, ha risposto alla cattiva gestione della migrazione, trasformando lo spazio domestico in uno spazio storico-politico, rafforzando la relazione tra l’ospite e l’ospitante in processi virtuosi. La ricerca condotta a riguardo, ha dimostrato come la famiglia, la casa e le idee di solidarietà finiscano per essere plasmate nell’esperienza di vita con minori migranti alle soglie della maggiore età.

Nonostante la normativa italiana vigente, la gestione contingente dell’epidemia di COVID-19 ha colpito i minori stranieri non accompagnati generando nuovi slittamenti nell’applicazione effettiva del decreto legislativo n. 4 del 7 aprile 2017Disposizioni in materia di misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati‘ ed anche episodi peggiori.

Nelle navi quarantene, laddove, nel 2020, le autorità italiane stavano tenendo i migranti come parte degli sforzi per limitare la diffusione del Covid-19 (seppure i dati rivelavano che la maggior parte dei casi della seconda ondata di infezioni in Italia abbia avuto origine nei paesi europei vicini o in patria), c’era anche Abou Diakitè, un ragazzo ivoriano di 15 anni, precedentemente salvato dalla nave umanitaria Open Arms e morto – inchiesta aperta – in un ospedale di Palermo 13.

L’estrema variabilità delle pratiche di accoglienza e la complessità di intersezioni tra letture specifiche e campo dell’asilo, con diversi attori istituzionali, prospettive e competenze diverse (Commissioni territoriali, Questure, avvocati e giudici), ha forte impatto sul processo di identificazione ed avvio della protezione per le vittime di tratta. Nella prospettiva degli operatori, secondo i dati raccolti da Devisri Nambiar e Serena Scarabello 14, le procedure delle Commissioni territoriali implicano una diversa agency femminile in termini di scelte, gerarchie di potere 15 e strategie di resistenza.

Una importante criticità, sollevata dagli operatori anti-tratta, riguarda la richiesta da parte della Commissione Territoriale di identificare una persona come vittima di tratta in un arco di tempo definito, mentre – sul piano operativo – sarebbe un processo individuale e non misurabile.

‘Altre forme di violenza, rimangono, poi, meno visibili ed esplicite. La condizione di incertezza prodotta dai tempi burocratici nel processo di valutazione (Caroselli, forthcoming), la percezione di essere considerate “non credibili” e la ripetuta narrazione di esperienze biografiche dolorose, più volte e a più attori diversi, sono stati difficili da sostenere per le due donne. La loro agency, infatti, è emersa in modi autonomi e inaspettati (Pinelli 2019), che comprendevano anche il rifiuto delle logiche giuridiche e delle strategie di empowerment proposte dagli operatori e dalle istituzioni, e la decisione di preferire di incarnare il ruolo di ‘madre‘ e ‘moglie‘, in alternativa all’essere ‘beneficiaria‘ o richiedente asilo 16‘.

In questo quadro frammentato, dove la migrazione forzata femminile pare ferma al semplice riconoscimento della femminilizzazione dei flussi migratori (Pinelli 2019) 17, una donna vittima di tratta è ospitata in un centro di accoglienza per richiedenti asilo ed un’altra in un rifugio del progetto anti-tratta nel Nord-Est Italia.

La variante espulsionismo

Photo credit: Vanna D’Ambrosio

Con la legge 40/1998 (Turco-Napolitano) e soprattutto l’entrata in vigore del decreto legge 113/2018, i responsabili e il personale dei centri di accoglienza rinunciano sempre più al loro ruolo di promotori dell’inclusione per assumere un ruolo di mero contenimento e controllo. (Spinelli, Accorinti 2019).

Il cambio strutturale introdotto ha motivato una governamentalità non più basata sul controllo dei comportamenti bensì orientata al controllo economico. Se le revoche dell’accoglienza erano motivate principalmente dal comportamento degli ospiti, negli ultimi due anni la ragione è stata generalmente diversa.

Le conseguenze più immediate di questo cambiamento politico, sono state due: la prima, è coloro che erano titolari di protezione umanitaria non hanno potuto accedere allo Sprar e la seconda è che, chi ci viveva, è stato espulso.
L’apparato di asilo era gravemente sotto finanziato e un numero crescente di decreti di revoca sono stati emessi, per lo più, dopo aver verificato la posizione lavorativa degli ospiti 18.

‘Secondo uno studio pubblicato sulla rivista italiana Altreconomia, le Prefetture italiane avrebbero rilasciato circa centomila decreti di espulsione/revoche dell’accoglienza su scala nazionale in quattro anni. Il giornalista Duccio Facchini, che ha realizzato l’inchiesta, afferma che una mappatura tra le Prefetture ha portato alla luce circa quarantamila espulsioni negli anni 2016-17; tuttavia, poiché solo sessanta Prefetture hanno rilasciato i loro dati relativi a quell’arco di tempo, è probabile che, in quel periodo, le espulsioni siano state almeno sessantamila. Per la stesso motivo, l’articolo afferma che, poiché solo quarantanove prefetture hanno rilasciato le loro informazioni relative agli anni 2018-19, le ventimila espulsioni rilevate in questo periodo potrebbero essere quarantamila se parametrate sul numero totale delle sedi delle Prefetture’ 19.

Con la cancellazione della protezione umanitaria, tante città, tra cui Milano sono diventate meta per centinaia di persone espulse dal sistema di accoglienza, con posizioni amministrative diverse. Le possibilità di essere iscritti a uno dei programmi attuati dal Dipartimento delle Politiche Sociali dipendono strettamente dal tipo di documenti che si hanno e dalle particolari regole che il consiglio comunale ha adottato. La residenza abituale è un prerequisito per essere iscritti ai programmi sociali. I richiedenti asilo senza documenti sono la folla più numerosa.

Non si può ignorare che, in relazione alle persone senza fissa dimora, e in particolare richiedenti asilo espulsi dai centri di accoglienza, il numero di denunce penali registrate nel primo periodo della pandemia prima del Decreto Legge 19/2020 (circa 50.000 denunce già al 20 marzo 2020), riguardavano in gran parte gli stranieri irregolari, con tutte le complicazioni connesse all’avvio di un procedimento penale (elezione di domicilio, assegnazione di un difensore di fiducia, notifiche).

La seconda ondata: il coronavirus

Photo credit: Giovanna Dimitolo

L’emergenza sanitaria ha accelerato il ricorso a pratiche amministrative e burocratiche, quasi fosse stata un pretesto per applicare misure ultra-restrittive e inasprire politiche migratorie non giustificate. I migranti sono stati bloccati nei paesi di transito, ai valichi di frontiera, lungo la strada; bloccati senza mezzi di sostentamento, con poco accesso ai servizi, con poca attenzione pubblica 20. Nessun dubbio che, nel contesto pandemico, le misure adottate per contenere l’epidemia hanno rafforzato ciò che era già nell’aria. La logica di detenzione, sorveglianza e risposta all’emergenza ha acquisito forza 21.

Chi era all’interno del sistema di accoglienza, in quel periodo, ha subito una forte limitazione alla propria libertà di movimento. ‘I minori non accompagnati, potevano guardare dalle finestre delle loro stanze e vedere i loro coetanei (cittadini) portare i loro cani a passeggio o almeno liberi di sgranchirsi 22‘, non beneficiando della logica dei moduli di autocertificazione. Molte misure prefettizie adottate dal Ministero dell’Interno sulla base della circolare del 1° aprile 2020, hanno conferito ai responsabili dei centri di accoglienza il potere di adottare misure coercitive per impedire ai richiedenti asilo di lasciare le strutture, in contrasto con le disposizioni dei decreti ministeriali che permettevano di lasciare i domicili per comprovati motivi di lavoro o di salute motivi professionali, cioè per svolgere attività motorie.

Così si presentava la situazione: ‘Per mesi, la questione della sicurezza sanitaria nelle strutture di accoglienza in Italia non era nell’agenda politica e organizzativa, come emerge da un’indagine condotta dal Tavolo Nazionale Asilo e dall’Ufficio Immigrazione e Salute (Camilli 2020): nel 60% dei casi c’è stata un’attivazione autonoma dei soggetti coinvolti attraverso l’individuazione di una “soluzione fai da te” (finalizzata alla gestione delle persone infette, attraverso l’utilizzo di stanze di isolamento o, quando possibile, trasferendoli in un’altra struttura, messa a disposizione dallo stesso ente gestore). Solo il 28% ha segnalato il trasferimento in una struttura dedicata fornita dall’ente locale. Allo stesso modo, il 46% dei casi sospetti sono stati isolati dall’organizzazione stessa, mentre solo il 21% ha ricevuto una risposta istituzionale’.

Il rapporto mostra come ci sia stato un significativo rallentamento dei nuovi ingressi in accoglienza: circa un terzo (29%) ha riferito di averli interrotti a causa della mancanza di procedure di sicurezza, il 15% ha invece dichiarato di non aver bloccato i nuovi ingressi per motivi diversi dalla mancanza di procedure e, nello specifico, per espressa indicazione dell’Ente Locale/Prefettura. Coloro che non hanno interrotto l’accoglienza hanno adottato le proprie procedure, eterogenee e diversificate sul territorio nazionale 23
‘Il 24% ha chiesto un risultato negativo alla PCR o test sierologico; il 15% ha attivato 14 giorni di isolamento fiduciario in una struttura “ponte“; il 13% ha richiesto alle persone asintomatiche di effettuare14 giorni di quarantena con sorveglianza attiva all’interno della loro struttura; nel 4% dei casi, è stato effettuato uno screening sanitario per le persone asintomatiche. Disaggregando i dati per tipo di centro, nel SIPROIMI è stato effettuato uno screening sanitario per le persone asintomatiche che non erano state in contatto con casi positivi o sospetti. I responsabili SIPROIMI hanno dichiarato con più certezza rispetto agli altri che i nuovi inserimenti sono sospesi. I responsabili dei CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria) hanno anch’essi confermato la sospensione di nuovi inserimenti’.

Dall’altro canto, le questure rinviavano i termini per la conclusione dei procedimenti considerati non urgenti: hanno rifiutato di trattare le richieste urgenti di permessi di soggiorno per casi particolari, cure mediche, precedentemente inclusi nella cosiddetta protezione umanitaria, abrogata dal D.L. 113/2018, giustificandone il rallentamento, a fronte della forzata prosecuzione in home working di tutte le attività amministrative e in virtù della presunta impossibilità di effettuare la procedura di foto segnalamento. Una procedura non legittima, ai sensi del primo comma dell’art. 103 dello stesso D.L. 18/2020, che impone alla pubblica amministrazione di garantire “la rapida conclusione delle procedure, con priorità per quelle da considerarsi urgenti“.
Da troppi punti di vista, la pandemia presentava le condizioni della sindrome 24.

Due dosi: sanare e sfruttare

Photo credit: Martina Romano (Roma, 10 novembre 2018 – Manifestazione nazionale contro il DL Salvini)

Il contesto normativo e amministrativo sopra menzionato, che già rendeva la condizione dei richiedenti protezione internazionale molto precaria, è stato ulteriormente aggravato dalle recenti disposizioni per far fronte alla pandemia di COVID-19 25 allorché il fenomeno dell’impiego dei richiedenti asilo e dei titolari di protezione internazionale come forza lavoro poco qualificata continui ad ampliarsi.
A partire dal 2011, la maggior parte delle persone che ha trovato alloggio nei campi istituzionali e negli insediamenti informali situati vicino alle aree di raccolta agricola e frutticola è arrivata attraverso il sistema di accoglienza, quindi passando da un campo all’altro (Palumbo, Corrado 2020) e vivendo alternativamente l’una e l’altra “emergenza“.

In piena pandemia, grande preoccupazione si diffondeva tra le associazioni della società civile, per i rischi legati al notevole disagio abitativo e allo scarso accesso all’acqua e ai servizi igienici, negli insediamenti informali, dove molti immigrati vivono a causa dei sopracitati ‘fattori di espulsione‘ – innescati talvolta dalle stesse istituzioni italiane stesse (si veda, ad esempio, il decreto legislativo 113/2018) 26.

Tra le misure di emergenza, le forme di regolarizzazione previste dall’art. 103 del decreto legge 34/2020, rivolta a categorie di persone, che lavorano o intendono lavorare nei settori più problematici: agricoltura e allevamento, assistenza agli anziani e cura della casa. Da una parte, il datore di lavoro può regolarizzare i lavoratori in nero, che riceveranno un permesso di soggiorno; dall’altra, ai migranti irregolari, che già avevano lavorato nei settori interessati ma avevano perso il lavoro – è concesso un permesso temporaneo di sei mesi per cercare un nuovo impiego nei settori definiti.

‘Da un breve esame dei requisiti normativi per accedere alla regolarizzazione, si evince che i richiedenti asilo, salvo casi molto limitati , non possono che attivare la procedura disciplinata dal comma 1 dell’art. 103 del D.L. 34/2020, ossia quella a carico del datore di lavoro, non potendo presentare l’autonoma richiesta di permesso semestrale di cui al secondo comma. Infatti, finché la domanda di protezione internazionale è in essere, restano esclusi da quest’ultima procedura, proprio perché la regolarità del loro soggiorno, per quanto fragile e temporaneo, li esclude dall’ambito soggettivo di applicazione del secondo comma, che si riferisce solo agli stranieri che hanno un permesso di soggiorno scaduto dopo il 31 ottobre dell’anno scorso. Tuttavia, la non incompatibilità tra la domanda ai sensi dell’art. 103, c. 1 del D.L. 34/2020 e la prosecuzione della domanda di asilo – come riportano Ferrero e Roverso – risiede nella natura stessa del diritto di cui si chiede il riconoscimento in quest’ultimo caso. Infatti, la condizione amministrativa di regolarità del soggiorno, in questo caso per motivi di lavoro, non può essere confusa ed è perfettamente compatibile con la verifica dello status di rifugiato o di straniero meritevole di protezione sussidiaria’ 27.

Risultato evidente della sanatoria è stato favorire attraverso l’immediato impiego di manodopera, alcuni limitati settori produttivi indubbiamente colpiti dalla chiusura delle frontiere e dalla mancata adozione, per il 2020, del decreto flussi.

Al 31 dicembre 2020, delle oltre 207.000 domande presentate dal datore di lavoro per l’emersione di un rapporto di lavoro irregolare o l’instaurazione di un nuovo rapporto con un cittadino straniero (articolo 103, comma 1, del decreto legge n. 34 del 19 maggio 2020), in tutt’Italia erano stati rilasciati solamente 1.480 permessi di soggiorno, lo 0,71% del totale. Al 16 febbraio 2021, dai dati del ministero dell’interno, emerge che solo il 5% delle domande è giunto nella fase finale della procedura, mentre il 6% è nella fase precedente della convocazione di datore di lavoro e lavoratore per la firma del contratto in prefettura e il successivo rilascio del permesso di soggiorno.

Non dimentichiamo che con il termine ‘profughizzazione‘, gli studiosi (Nick Dines and Enrica Rigo, 2015) indicano la preminenza data alle violazioni dei diritti umani sulle relazioni di lavoro nelle rappresentazioni delle condizioni dei lavoratori migranti.

‘Situato lungo la costa che collega il Mar Tirreno con la Piana di Gioia Tauro, San Ferdinando è al centro di un’economia agricola incentrata sulla monocoltura e sulla raccolta stagionale degli agrumi, per lo più affidata a manodopera straniera. Negli ultimi anni, i campi e i ghetti della Piana hanno visto la loro natura cambiare, in seguito alla recente legislazione italiana. Nel 2020 MEDU (Medici per i Diritti Umani) certifica che la grande maggioranza (90%) dei residenti nell’ex baraccopoli di San Ferdinando sono legalmente residenti. Un rapido calcolo del profilo dei migranti della Piana permette agli attivisti di stimare che meno del 5% degli stranieri potrebbe accedere alla regolarizzazione 28.’

Per la condizione amministrativa instabile, derivante dal legame tra contratto di lavoro e permesso di soggiorno; per la fruizione parziale dei diritti sociali, in quanto sono legati allo status migratorio, per la loro concentrazione in lavori precari, i richiedenti asilo, durante la pandemia, sono stati sempre più penalizzati e discriminati nel godere delle reti di sicurezza sociale, e al di fuori del sistema di accoglienza, sono stati condannati all’incertezza 29.

Anche se importante sotto molti aspetti, la regolarizzazione di per sé non è certamente l’unico modo per garantire ai migranti l’accesso al Servizio Sanitario Nazionale (SSN Servizio Sanitario Nazionale), che è un diritto fondamentale sancito dalla Costituzione dal 1948. Il pieno accesso al sistema sanitario nazionale italiano, è stato garantito per legge a tutti i migranti senza documenti negli ultimi 20 anni. Purtroppo, l’accesso concreto a questo diritto fondamentale è stato soggetto a molte limitazioni di fatto, a causa dell’ambiente sempre più ostile nei confronti dei migranti (Perna 2018).
Studi condotti nei paesi anglosassoni hanno mostrato un impatto sproporzionato della pandemia sulla popolazione straniera e le “minoranze etniche30. Tali analisi sono state confermate anche dai dati italiani degli stranieri residenti, a supportare un’origine non biologica ma legata al ruolo dei determinanti sociali, ponendo un interrogativo sul tema di equità.

Curare l’emergenza

Photo credit: Giovanna Dimitolo

Durante la pandemia le condizioni di salute dei richiedenti asilo e degli immigrati sono peggiorate 31.
Già nel corso del 2019, CIAC onlus registrava non solo un numero crescente di migranti che hanno avuto accesso agli sportelli immigrazione distribuiti nella Provincia di Parma, ma anche una diversa distribuzione tra tre categorie di “rischio socio-legale 32“.
La produzione di soggetti docili è una conseguenza del razzismo istituzionale, legata a un più diffuso razzismo sociale, che si traduce nella restrizione delle alleanze tra cittadini e non-cittadini, con sostanziali differenze giuridiche e sociali.

Di fronte a una legge che ha creato vulnerabilità, il territorio sarà chiamato a fare sforzi sempre maggiori 33, facilitando processi di ‘debordering‘ del ‘campo di battaglia‘ (Campomori, Ambrosini 2020; Fontanari, Ambrosini 2018), promuovendo il riconoscimento dell’agency dei soggetti migranti. Le realtà sociali non risparmiano sforzi per l’integrazione dei migranti, trovando talvolta soluzioni che vanno oltre il sistema di accoglienza, in grado di incidere sui loro percorsi di migrazione e integrazione 34.

La ricerca intitolata ‘Unacknowledged‘ condotta nella Provincia Autonoma di Trento, tra il 2018 e il 2020, ha esplorato le strategie abitative, lavorative e di mobilità messe in atto da rifugiati e richiedenti asilo che si trovavano ai margini del sistema di accoglienza. La Wonderful World House di Parma, una reazione alle politiche di esclusione messe in atto a livello nazionale, è uno spazio che offre opportunità di collocamento sia ai migranti che agli italiani 35; un’evoluzione della Community-Based Protection proposta da UNHCR 36 come un nodo strategico per garantire la protezione dei rifugiati.

Anche nei campi istituzionali come le tendopoli, le associazioni attive nella Piana di Gioia Tauro hanno fornito aiuti alimentari insieme a maschere guanti e gel disinfettante per le mani, creando un fondo di solidarietà popolare ispirato ai valori del mutualismo e della solidarietà attiva.

In Italia, negli ultimi anni nel mondo delle lotte sociali i richiedenti asilo sono stati più volte sotto i riflettori, avendo guidato diversi episodi di mobilitazione e proteste. Sono emersi come soggetti politici, con le proprie rivendicazioni e situazioni; parallelamente alla questione dell’accoglienza, si sono espressi nello spazio pubblico come richiedenti asilo, con campagne, picchetti e marce, con le quali si invoca il rispetto dei loro diritti e della loro dignità 37.

I braccianti in lotta a Campobello di Mazara (Contadinazioni)
  1. Della Puppa F., Sanò G. (2021), Stuck and Exploited. Refugees and Asylum Seekers in Italy between Eclusion, Discrimination and Struggles, Venezia, Edizioni Ca’ Foscari – pubblicazione open source, gratuitamente scaricabile
  2. La nozione di «campo». Eterotopie emergenziali: dai totalitarismi del novecento ai campi profughi di Laura Della Peruta, Melting Pot (Febbraio 2022)
  3. Attanasio, P., ‘What the COVID-19 Outbreak Tells Us about Migration‘ in Della Puppa, Sanò, op. cit. pp. 263-285
  4. Dal Zotto, E., Lo Cascio M., Piro V., ”The Emergency Managment of Migration and Agricultural Workforce during the Pandemic The Contradictory Outcomesof the 2020 Amnesty Lawin Della Puppa, Sanò, op. cit. pp. 321-343. La definizione dei migranti non come lavoratori portatori di diritti, ma come “vittime” di sfruttamento […] legittima ulteriormente la riproduzione di un regime di “sfruttamento umanitario” (Dines, Rigo 2017): […] l’adozione di un paradigma emergenziale ha comportato una semplificazione delle complessità’
  5. Ivi. ‘La commistione tra apparato umanitario e apparato securitario nella gestione delle migrazioni va oltre le fasi di arrivo e transito dei migranti, e pervade campi, come quelli della gestione della forza lavoro, che prima erano esclusi
  6. Cordova G., ‘Ghettos, Work and Health Immigration Policiesand New Coronavirus in the Gioia Tauro Plain‘, in Della Puppa, Sanò, op. cit.pp
  7. Ivi. Cfr. Spada S., ‘The Capability of ‘Models’ to Withstand Change. The Bologna Area in the Wake of Law 132/2018‘, in Della Puppa, Sanò, op. cit., pp. 117-147. L’8 giugno del 2019 il Centro Mattei era in procinto di essere chiuso per ristrutturazione, trasferendo, obbligatoriamente, i 162 “ospiti” presenti. Una storia di resistenza – da parte della società civile e degli attori del sistema locale, lo ha fatto riaprire all’inizio di novembre 2019 come Centro di Accoglienza Straordinaria, gestito direttamente dalla Prefettura. Una riapertura, tuttavia, effettuata in contrasto con la filosofia locale di accoglienza a tutela dei diritti fondamentali. Il centro Mattei, difatti, non offre programmi di integrazione, orientamento al lavoro, istruzione linguistica, supporto psicologico o qualsiasi forma di orientamento legale o di preparazione per la Commissione territoriale. Un’ambivalenza, all’interno di un “modello” bolognese noto per la virtuosità dei suoi servizi che sembra essere un’appropriazione indebita degli sforzi dal basso’
  8. Avallone G., ‘Italy’s Reception System for Asylum Seekers and Refugees A System with Many Shadows and Little Light‘ in Della Puppa, Sanò, op. cit., pp. 33-49
  9. Spada S. ‘The Capability of ‘Models’ to Withstand Change. The Bologna Area in the Wake of Law 132/2018′ in Della Puppa, Sanò, op. cit., pp.117-147
  10. Marabello S., Parisi M.L., ‘Migrating, Alone, Living Together. Reframing Unaccompanied Minors in Italy across Local Bologna Policies and Citizenship’ in Della Puppa, Sanò, op. cit. pp.147-167. Cfr. le traiettorie indipendenti dei bambini; vedi Suárez-Navaz, Jiménez Alvarez 2006; Jiménez, Vacchiano 2011; processo di agency e victimhood (Ensor, Gozdiak 2010); lavoro dei bambini (Morganti 2007); interazione tra contesto, identità e appartenenza e relazioni di potere in cui i bambini sono implicati (Ni Laore et al. 2011); esperienza vissuta dell’infanzia e sulla soggettività (Vacchiano 2011; Veale, Donà 2014; Meloni 2020), documentando come l’infanzia sia contestata piuttosto che rappresentare un categoria trans-storica o trans-culturale (Comaroff, Comaroff 2005)
  11. In seguito al Decreto 113/2018, assistenti sociali e i insegnanti di italiano impiegati nei centri di accoglienza hanno perso il lavoro
  12. https://www.progettovesta.com/
  13. Emergency e Open arms: precisazioni sullo stato di salute di Abou Dakite
  14. Nambiar D., Scarabello S. ‘Women Victim of Trafficking Seeking Asylum in Italy. An Ethnographic Perspective on the Regularisation Processes in Della Puppa, Sanò, op. cit., pp. 91-117
  15. Ivi. ‘Gli studiosi sottolineano come le gerarchie di potere, che emergono nei punti di sbarco, con le prime azioni di controllo e proseguono nelle misure di controllo nei centri di accoglienza, siano fondate e legittimate dall’urgenza ed emergenza (Sanò 2017; Sanò, Spada 2018) e quando le donne sono coinvolte il loro effetto ha delle peculiarità (Pinelli 2017a; 2017b; 2018)’
  16. Ivi
  17. Ivi. ‘Come hanno sottolineato le studiose femministe, l’agency delle donne non segue necessariamente l’idea “occidentale” di emancipazione femminile (Abu-Lughod 1993; Mahmood 2001). I processi di alterazione e la circolazione di immaginari stereotipati e razzializzati hanno un impatto sulla quotidianità tra operatori e donne nei centri di accoglienza (Toffanin, Pasian 2018) e sulla loro autonomia ed empowerment’
  18. Pontiggia S., ‘Administrative Disappearances. Undocumented Asylum Seekers and the Italian State’ in Della Puppa, Sanò, op. cit., pp. 67
  19. Ivi
  20. Perocco F,, ‘The Coronavirus Crisis and The Consequences of COVID-19 Pandemic on Racial Health Inequalities and on Migrants‘ in Della Puppa, Sanò, op. cit. pp. 239-263
  21. Spada S. ,’The Capability of ‘Models’ to Withstand Change‘ in Della Puppa, Sanò, op. cit., pp.117-147
  22. Ivi
  23. Geraci S., Vischetti E., Affronti M., Declich S., Marceca M., ‘Asylum Seekers and Refugees in Italy during the First Phase of the Pandemic‘ in Della Puppa, Sanò, op. cit., pp.285-301.
  24. Perroco F., ‘The Coronavirus Crisis and the Consequences of COVID-19 Pan-Syndemic on Racial Health Inequalities and on Migrants‘ in Della Puppa, Sanò, op. cit, pp.239-263
  25. Ferrero M. Roverso, C., ‘Asylum Seekers Excluded from the Reception System in the COVID-19 Emergency. Expulsions, Restrictions, Administrative Extensions and Access to the ʻSurfacingʼ Procedure’ in Della Puppa, Sanò, op. cit., pp.285-301
  26. Dal Zotto E., Lo Cascio M., Piro V. , ‘The Emergency Management of Migration and Agricultural Workforce during the Pandemic’ in Della Puppa, Sanò, op. cit., pp.321-343
  27. Ivi. ‘Alcuni lavoratori hanno sottolineato il limite funzionalista della misura di amnistia […] “Siamo qui, sanatoria ora” con l’obiettivo di mettere in luce l’interdipendenza tra salute salute migrazione e lavoro, e la necessità di un’effettiva regolarizzazione senza condizioni di migliaia di lavoratori invisibili di entrambi i sessi’
  28. Cordova G., ‘Ghettos, Work and Health: Immigration Policies and New Coronavirus in the Gioia Tauro Plain’ in Della Puppa, Sanò, op. cit, pp.343-362
  29. Perocco F., ‘The Coronavirus Crisis and The Consequences of COVID-19 Pandemic on Racial Health Inequalities and on Migrants‘, in Della Puppa, Sanò, op. cit., pp.239-263. ‘Anche se l’impatto sull’occupazione di tutti i lavoratori è stato sia stato eterogeneo (a seconda dei contesti) nazionali o delle aree geografiche aree geografiche; in termini di disoccupazione, sottoccupazione, inattività), nell’area OCSE, le conseguenze peggiori sono ricadute sui lavoratori immigrati’.
  30. Geraci S., Vischetti E., Affronti M., Declich S., Marceca M., ‘Asylum Seekers and Refugees in Italy during the First Phase of the Pandemic‘ in Della Puppa, Sanò, op. cit., pp.285-301
  31. Ivi
  32. Marchetti C. , ‘Wonderful World House From Exclusion to Intercultural Relations in the Aftermath of Law Decree 113/2018 (Immigration and Security Decree)’, in Della Puppa, Sanò, op. cit., pp.49-67
  33. Storato G., Sanò G., Della Puppa F., ‘Finding New Ways for Refugees and Asylum Seekers’ Inclusion. A Reflexive Analysis of Practices Developed by the Third Sector and Civil Society’ in Della Puppa, Sanò, op. cit., pp. 189-215. ‘In Trentino all’interno di questo nuovo contesto, il terzo settore e la società civile e organizzazioni hanno sviluppato nuove forme di cooperazione e nuovi servizi per rispondere ai bisogni emergenti in particolare di quelle persone che si trovano ai margini del sistema di accoglienza (Boccagni et al. 2020). Il taglio delle risorse finanziarie per l’accoglienza è stato convertito in risorse sociali e relazionali per tutta la comunità’
  34. Ivi. ‘Alcune associazioni gestiscono appartamenti disponibili per rifugiati e richiedenti asilo, promuovendo anche esperienze di coabitazione e i volontari offrono un posto dove dormire per la notte. Infine, ci sono servizi che si rivolgono alle persone senza fissa dimora e che forniscono accoglienza notturna anche alla popolazione coinvolta nella ricerca e in particolare a quelli arrivati dalla rotta balcanica e da altre città italiane. Con particolare riferimento al cosiddetto ‘Fuori Quota‘, altri servizi sono stati implementati nel corso del passato e del presente, istituendo dormitori o “centri di pre-accoglienza” in cui sono stati ospitati. L’offerta rivolta a queste persone è sempre in evoluzione in questo nuovo scenario’
  35. Marchetti C., ‘From Exclusion to Intercultural Relations in the Aftermath of Law Decree 113/2018 (Immigration and Security Decree)’ in Della Puppa, Sanò, op. cit., pp.49-67
  36. Nella definizione dell’UNHCR, il termine “approccio basato sulla comunità” (CBP) implica che le comunità si impegnano in modo significativo e sostanziale in tutti gli aspetti dei programmi che le riguardano, rafforzando il ruolo guida della comunità come forza motrice del cambiamento. Il CBP mette in primo piano le capacità, i diritti e la dignità delle persone interessate
  37. Pasqualetto M., Perocco F., ‘For Dignity, Against Racism: The Struggles of Asylum Seekers in Italy‘ in Della Puppa, Sanò, op. cit., pp.215-239. ‘Le lotte dei richiedenti asilo mirano all’affermazione della loro dignità come esseri umani e lavoratori, al raggiungimento di decenti condizioni di vita e di lavoro, mirano, cioè alla soddisfazione dei bisogni sociali […] Per queste ragioni, devono essere salutati e sostenuti’

Vanna D'Ambrosio

Conseguita la laurea in Filosofia presso l’Università di Napoli Federico II, ho continuato gli studi in interculturalità e giornalismo. Ho lavorato come operatrice sociale nei centri di accoglienza per immigrati, come descritto nella rubrica “Il punto di vista dell’operatore”. Da attivista e freelance, ho fotografato le resistenze nei ghetti italiani ed europei. Le mie ricerche si concentrano tuttora sulle teorie del confine.