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Foto da Twitter. Arresti di pacifisti russi

La responsabilizzazione e la colpevolezza: il carico morale di un regime di terrore

È giusto ritenere responsabile la popolazione russa per la guerra in Ucraina?

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Ciò che verrà proposto è un punto di vista differente, un cambiamento di prospettiva che può fungere da tassello utile a completare il mosaico che si sta lentamente definendo. Nelle ultime settimane abbiamo assistito e stiamo tutt’ora assistendo inermi ad un drastico cambiamento della configurazione socio-politica mondiale, in dettaglio quella Europea. La guerra in Ucraina è scoppiata senza preavviso, senza che nessuno fosse preparato ad assistere a tali numerose immagini e notizie che hanno aperto le porte agli antichi demoni e fantasmi del passato. Sorprendentemente però, rispetto alle reazioni che hanno disegnato la nostra storia ed il nostro presente, al posto di una divisione ideologica e politica, l’Occidente sta dimostrando una forte coesione basata sulla cooperazione e sulla solidarietà per la difesa e resistenza Ucraina.

È la prima volta dalla nascita dell’Unione che di fronte ad una tragedia tutte le divergenze politiche ed economiche sono state messe da parte per reagire in nome della giustizia e del rispetto dei diritti umani. Varie soluzioni sono state definite: dall’apertura dei confini e la restaurazione della “protezione temporanea” al capovolgimento del mercato, dalla vendita di armi di sostegno alla difesa ucraina, alla ricerca di un accordo diplomatico tra le varie forze politiche e rappresentative dei paesi coinvolti. La linea più forte che sta venendo perseguita non solo dai paesi europei ma, più in generale, dall’Occidente è il completo isolamento della Russia dal mercato mondiale: Ursula von der Leyen ha parlato di «sfiancare l’economia russa tramite sanzioni massicce e mirate che coprono il settore finanziario, energetico, quello dei trasporti, la politica dei visti e l’inserimento di alcune personalità russe nella lista nera». Lo scopo è quello di «indebolire la capacità di modernizzazione» della Russia e di conseguenza della popolazione russa.

“Essere russi oggi in Italia è come se fosse una colpa” cit. Paolo Nori

Dopo che l’Università di Milano Bicocca ha negato al professor Paolo Nori, specialista di Lingua e letteratura russa, letteratura italiana e traduzione, la possibilità di tenere un corso gratuito di quattro lezioni sui romanzi di Fëdor Dostoevskij, commosso afferma «non solo essere un russo vivente è una colpa oggi in Italia ma lo è anche essere un russo morto che quando era vivo, nel 1849 era stato condannato a morte perché lesse una cosa proibita. […] Quello che sta succedendo in Ucraina è una cosa orribile, quello che sta succedendo in Italia è ridicolo. Un’università italiana che proibisce un corso su Dostoevskij è una cosa ridicola […].».
Questa situazione apre le porte a delle questioni di importanza fondamentale, tra cui il tema dell’esclusione di una categoria di persone in base ad una specifica appartenenza nazionale.

Le mani sporche

Imparare a potere essere non buono, ed usarlo e non usarlo secondo la necessità” (Cit. Machiavelli, 1961, 60)

Ne “Il Principe”, Machiavelli introduce e descrive il ruolo del politico nella sua tragicità, un uomo che deve imparare a corrompere la propria moralità per poter agire in base alla necessità:
Colui che lascia quello che si fa per quello che si doveria fare, impara piuttosto la rovina, che la preservazione sua; perchè un uomo che voglia fare in tutte le parti professione di buono, conviene che rovini fra tanti che non sono buoni. Onde è necessario ad un Principe, volendosi mantenere, imparare a potere essere non buono, ed usarlo e non usarlo secondo la necessità“. (Machiavelli, 1961, 60).
Queste parole racchiudono in sé la pesantezza del presente e del dilemma morale che in politica viene definito “dirty hands”, “Mani Sporche”.

Stephen de Wijze, nella critica contro la riduzione politica del fenomeno descritta da Michael Walzer e Stuart Hampshire, definì il problema delle mani sporche attraverso le parole di Michael Stocker:
quando ci si sporca le mani significa che stiamo commettendo un’azione giustificata, obbligatoria ed allo stesso tempo moralmente sbagliata“. (de Wijze, 2014, 48).

Responsabilità ed inquinamento morale

Quando i politici dovrebbero rendere conto ai cittadini di essersi sporcati le mani? Lo stesso de Wijze, sottolinea come, quando è possibile in un regime democratico, è sempre preferibile che un politico consulti il popolo prima di agire. Tuttavia, è ovviamente controproducente se, in una situazione di estrema urgenza, per esempio, un politico dovesse confrontarsi con le decisioni discordanti e conflittuali di una popolazione intera. Oltretutto, lo scenario si complica ulteriormente se pensiamo al fatto che una decisione politica è sempre la conseguenza di fattori e cause che ai più sono sconosciute:

i giudizi espressi sulle azioni di un politico devono alla fine essere basati su una moltitudine di fattori che costituiscono il contesto generale in cui l’azione ha avuto luogo“. (de Wijze, 2014, 50).

Ottenere, dunque un processo corretto che analizzi e giudichi l’azione immorale di un politico dipenderà dalla capacità di ogni singolo cittadino di raccogliere tutti i dettagli rilevanti necessari per formulare un giudizio adeguato, il che è al quanto improbabile, se non impossibile.

Nonostante la palese impossibilità di correlare ogni decisione politica al proprio popolo, secondo alcuni teorici il costo morale che colpisce colui che agisce in modo scorretto per procurare del bene è putativamente dipendente dalle decisioni di ogni singolo cittadino. Secondo Archard, ci sono numerosi fattori che non permettono al popolo di fuggire totalmente dalla responsabilità delle decisioni politiche (2013, 784). Il filosofo sostiene, infatti, che la responsabilità delle “mani sporche” differisce in modo quantitativo ma non qualitativo: la quantità di sporco è diversa in quanto i politici
agiscono autonomamente e sono “più vicini” a scenari immorali, ed è per questo che sono macchiati maggiormente, tuttavia, lo sporco che segna la popolazione, anche se minore, è esattamente dello stesso tipo.

Ci sono tuttavia dei punti che devono essere chiariti se riferiamo questo tipo di ragionamento alla situazione Russa: per quanto riguarda il concetto di “mani sporche” è necessario sottolineare come questi tipi di scenari sono dilemmi in cui la violazione di un principio morale è inevitabile. Inoltre, è chiaro che se i politici commettono dei crimini, i cittadini hanno un fondamentale ed inequivocabile obbligo morale di rimuoverli e vederli puniti. Con gli scenari qui descritti, tuttavia, l’atto immorale viene attuato per realizzare il male minore e per il beneficio della nazione: tutti sono consapevoli che quell’azione è sbagliata, ma nonostante ciò, la accettiamo. Mentre aborriamo la violazione morale, lodiamo il politico per aver agito per aver realizzato il male minore (de Wijze, 2014, 70).

Un secondo punto che è necessario chiarire è che nel ragionamento fatto finora, è stata analizzata la relazione tra scenari di “mani sporche” e un regime in cui i cittadini hanno un ruolo attivo nelle decisioni politiche, la Democrazia. Nel caso della Russia, tuttavia, è chiaro che si è di fronte ad un sistema autocratico caratterizzato da un’intrinseca contraddizione fra l’appartenenza di un profondo rinnovamento rispetto al passato imperiale e una reale continuità con le strutture di “stato-potenza” precedenti (Vitale, 2008, 79). La centralizzazione del potere ha trovato la sua concreta realizzazione con la figura di Putin. La figura presidenziale risulta, infatti, essere in una posizione “sovraordinaria” (Vitale, 2008, 81) rispetto agli altri poteri: dall’impossibilità del popolo e di politici di manifestare contro il volere del presidente, alla censura continua delle notizie come sta tutt’oggi avvenendo, la riduzione drastica dei poteri delle regioni e la nullificazione dei loro atti.

È dunque, la decisione russa, un atto di mani sporche giustificabile sotto un aspetto morale?

In primo luogo, in un ambiente caratterizzato da valori pluralistici portatori di fini differenti come quello mondiale, la politica del “reasonable disagreement”, dunque del “compromesso”, è e sempre può essere un mezzo sostituibile all’utilizzo della violenza. Basato sul concetto di equità, esso indica le modalità, i mezzi, con cui un risultato può essere raggiunto da fazioni politiche portatrici di idee completamente discordanti (Gutmann A., Thompson D., 1990). Questo approccio, infatti, obbligando ad un dialogo pluralistico, permette la realizzazione di un fine lasciando aperta la possibilità di poterlo ricontrattare attraverso l’addizione o la sottrazione di ragioni a suo favore. Nella realtà a cui stiamo assistendo, è doveroso sottolineare che Putin non si è trovato a fronteggiare una situazione che implicava un dilemma morale, ha evitato consapevolmente l’alternativa del dialogo con gli altri poteri politici e la ricerca di un compromesso diplomatico.

“La coscienza in quanto tale era morta”

Hannah Arendt, nell’analisi del processo del gerarca nazista Adolf Eichmann esplica in modo chiaro e consapevole come, al di sotto di un regime totalitario, “la coscienza in quanto tale era morta” (80, 2019). La forza è ora usata, e le percosse, la tortura, l’incarcerazione e la morte sono imposte, senza il più remoto riguardo alla colpa o all’innocenza come queste sono giuridicamente concepite.

Con il susseguirsi di incarcerazioni di bambini ed adulti, la popolazione è tenuta deliberatamente in confusione su quali azioni saranno e quali non saranno punite; ci sono numerosi esempi, tra cui quello di Yelena Osipova, 80enne sopravvissuta all’assedio nazista di Leningrado ed ora arrestata per aver protestato contro la guerra in Ucraina o la decisione da parte della polizia russa di trattenere per ore in carcere Sofia Gladkova, 7 anni; Lisa Gladkova, 11 anni; Gosha Petrov, 11 anni; Matviy Petrov, 9 anni; David Petrov 7 anni, cinque bambini di cui la colpa è stata quella di dimostrare solidarietà davanti all’ambasciata ucraina con dei mazzi di fiori.

Come sottolinea Waldron, l’utilizzo del terrore da parte del governo avviene, non perché il regime abbia degli obiettivi che vuole tenere segreti, ma perché vuole mantenere le persone in uno stato in cui ci si trova quando “non si ha idea da quale direzione e in quali occasioni arriverà la minaccia” (17, 2004).
Dunque, in un regime politico che sopprime la propria popolazione e la rinchiude nell’ignoranza mediatica, la responsabilizzazione di essa è un enorme ossimoro: l’esclusione della popolazione russa dalle attività europee, così come l’esempio di Alexander Gronsky, Anaïs Chabeur, Olya Ivanova, Evgeny Khenkin, Anselm Kiefer, John Pepper e Dimitry Sirotrin esclusi dal Festival di Fotografia Europeo che viene tenuto in Reggio Emilia, l’esclusione dai siti web come Onlyfans, dall’Eurovision e da varie competizioni sportive mondiali e la generale ghettizzazione dei cittadini russi, non sono altro che un modo di rafforzare e riaffermare quella dinamica di terrore ed esclusione che mantiene e costituisce, da una parte il sistema di terrore russo, e dall’altra, la radicalizzazione della Russofobia in Europa.

“Caro Paolo,
[…] spero che ci siano ancora persone disposte a mantenere legami con la cultura russa e con i russi. In questi tempi folli, le accuse e la rabbia cadranno come bombe su tutti senza nessuna distinzione. E dobbiamo riconoscere che la colpa per i crimini di oggi graverà sui russi per sempre.

[…] tempi bui attendono la Russia, è difficile accettarlo.
Grazie ancora per il sostegno.
Con rispetto,
Aleksandr Gronskij”
(email in risposta a Paolo Nori, giovedì 3 Marzo 2022)

Bibliografia

Archard D., Dirty Hands and Complicity of the Democratic Public, 2013 Ethical
Theory and Moral Practice, 16, 4, pp. 777-790.
Arendt A., La banalità del male, (1963) 2019, Feltrinelli, Milano.
De Wijze S., Political Acoountability and Moral Pollution: Defending Democratic Dirty Hands, 2014, n.209, Biblioteca della libertà.
Gutmann A., Thompson D. S., Moral Conflict and Political Consensus, 1990, Ethics, 101, 64-88.
Hampshire S. (1978, ed.), Public and Private Morality, Cambridge, Cambridge University
Press.
Machiavelli N., Il Principe, 1961, Luigi Firpo, Einaudi, Torino.
Stocker M., Plural and Conflicting Values, 1990 Oxford, Clarendon Press.
Vitale A., Il Sistema Politico della Russia e lo Specchio del Caucaso, 2008, Il Politico Vol. 73, No. 2 (218), pp. 77-91.
Waldron J., Terrorism and The Uses of Terror, 2004, Kluwer Academic Publishers, The Journal of Ethics 8: 5-35.
Walzer M. (1973), Political Action: The Problem of Dirty Hands, Philosophy & Public
Affairs, 2, 2, pp. 160-180.

Monica Gaiani

Ho una laurea in Filosofia e sono una laureanda magistrale in “Philosophy, Politics and Public Affairs”. Ricercatrice e volontaria presso il Naga Har, mi occupo prevalentemente di ciò che concerne l’analisi socio-filosofica e strutturale di alcuni fenomeni legati all’immigrazione, come le dinamiche di oppressione e de-umanizzazione.