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Photo credit: Gabriel Tizón
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L’importante (non) importa. Il potere di trasmetterlo attraverso le immagini

Intervista a Gabriel Tizón

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«Lo importante no importa» («L’importante non importa») 1 è un documentario di Gabriel Tizón. È un riassunto dei viaggi che il fotografo ha fatto tra il 2015 e il 2021 in Senegal, Guinea Bissau, Libia, Grecia, Bosnia, Macedonia, Croazia, Serbia, Slovenia, Austria, Ungheria e Francia.
In questa intervista le fotografie che abbiamo utilizzato sono tratte dal libro omonimo.

Il trailer

Il documentario è un’esperienza sensoriale e interiore, dove le immagini e i suoni, accostati alle parole, rivelano tutte le contraddizioni tra il Nord e il Sud del Mondo, ma anche l’essenza di un’umanità senza frontiere. Ci puoi raccontare com’è nato il progetto fotografico?

Questo progetto ha origine da un libro con lo stesso titolo che ho realizzato alcuni mesi prima. Un libro che è nato da fotografie e piccoli testi che molte volte mi trovo a scrivere in forma di appunti, un connubio di immagini e parole che sorgono dall’incontro con molte persone e luoghi di culture diverse. In seguito alla nascita del libro, è accaduto qualcosa di molto doloroso. Stavo montando il documentario con la stessa idea del libro, quando la mia ex compagna Rocío, con la quale ero stato in molti di quei paesi, è venuta a mancare all’improvviso. Per questo ho deciso di dedicare il documentario alla sua memoria, mettendo insieme le riprese video che ho girato in quegli anni, le fotografie e i testi, con la stessa metodologia. Il riassunto del documentario è un viaggio interiore basato sull’incontro con molti luoghi e persone, a cominciare dalla quotidianità delle società africane, fino al cammino e all’arrivo a diverse frontiere europee. Questo progetto non ha la pretesa di essere rivelatore, perché io non sono nessuno per dare lezioni. Come dice l’inizio del libro, ha più domande che risposte.

Hai detto di ammirare le persone che fotografi, perché non avresti il loro coraggio e la loro forza...

Io dico sempre che non guardo (“miro”) le persone che ritraggo, le ammiro (“admiro”) perché, secondo me, la forza dell’essere umano di andare avanti in momenti critici è meritevole di elogio. Non sono un mitomane, però ammiro le persone che, pur avendo subito qualsiasi tipo di ingiustizia, quando sembra che sia tutto finito, trovano sempre la forza per andare avanti. Per me sono un esempio universale, persone anonime che in realtà sono quelle che muovono il mondo.

Dal 2015 al 2021 hai viaggiato in molti paesi dell’Africa e dell’Europa, sei stato anche in Libia. Qual è la realtà con la quale ti sei scontrato? C’è qualche esperienza in particolare che vorresti condividere?

La realtà è sempre la stessa, persone innocenti a cui, per il solo fatto di essere nate in un luogo piuttosto che in un altro, è impedito di vivere con dignità, che vengono private di ciò che gli appartiene con avarizia, o semplicemente per il desiderio altrui di arricchirsi ancora di più. Da qui nasce la mia ammirazione per quello di cui parliamo, per come tutte queste persone portano avanti le loro vite lottando contro le ingiustizie con una tale dignità, persone che molto spesso devono affrontare un viaggio molto faticoso, pieno di pericoli e morte per inseguire ciò che gli hanno sottratto le società chiamate “avanzate o sviluppate”.

Un fotografo ha la “missione” di raccontare e denunciare?

Secondo me no, né un fotografo né nessun’altra professione, perché ho visto troppe persone che, pur animate da buone intenzioni, nel raccontare la realtà, hanno finito per deformarla e questo non giova. Credo che ognuno sia protagonista della propria vita e, se rispettassimo le persone che ci circondano dove viviamo, tutto sarebbe migliore. Un fotografo secondo me deve trasmettere e questo non sempre significa denunciare, anche la bellezza interiore che ciascuno ha dentro migliora la realtà circostante. In questo sì, ci credo.

Perché l’importante non importa?

Perché viviamo in un mondo “online”, molto liquido ed effimero, dove è sempre più importante apparire che essere, quello che dici di quello che fai, vendere con titoli vuoti… E allo stesso tempo ci sono tante persone importanti che fanno tante cose senza alcun tipo di protagonismo, almeno questa è la mia impressione personale. 

  1. La pagina FB del documentario

Alessandra Pelliccia

Mi sono laureata in Giurisprudenza all'Università di Bologna, dove ho poi frequentato un corso di alta formazione in pratiche sociali e giuridiche nell'accoglienza ed integrazione dei migranti.
Sto svolgendo il tirocinio forense presso uno studio specializzato in diritto dell'immigrazione.
Provo a raccontare con parole semplici (ma senza semplificazioni!), mettendo sempre al centro le storie delle persone.