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«Oltre il ghetto», il webdoc con le storie di libertà

20 le storie raccolte, di cui 5 sono diventate un documentario multimediale

Immagini tratte dalle 5 storie del webdoc "Oltre il ghetto"

Sfruttamento lavorativo, negazione dei documenti, condizioni di vita disumane, colpevolizzazione delle vittime. Sono queste alcune delle storie raccolte dal contest narrativo “Oltre il ghetto. Storie di libertà”, indetto nell’ambito del progetto Su.Pr.Eme. Italia 1

Le storie raccolte sono state 20 di cui cinque sono state selezionate da una giuria tecnica e raccontate in altrettanti video reportage, a cura del regista Savino Carbone, confluite nel webdoc “Oltre il ghetto”, realizzato dalla Cooperativa Camera a Sud.

«Queste – spiegano i promotori del progetto – toccano, ognuna, un aspetto diverso di quel percorso che parte con un sogno di emancipazione dai Paesi di origine e finisce in un labirinto di schiavitù nei ghetti. Un vicolo cieco che appare senza via d’uscita. Ma, grazie anche all’impegno di volontari e di organizzazioni, esse dimostrano che ci si può liberare dallo scacco dei caporali e delle mafie».

In buone mani

E’ la storia di Tam Tam Basket (vincitrice del premio web), progetto che prova a dare un’alternativa a famiglie di persone provenienti dall’Africa nell’area di Castel Volturno, che racconta di come lo sport possa essere uno strumento di inclusione e di emancipazione per ragazzi e ragazze di seconda generazione, i quali rischiano di restare invischiati in territori vulnerabili allo sfruttamento da parte della criminalità organizzata. Questo valore è riconosciuto dalla federazione che, dopo una estenuante battaglia per rivendicare il diritto allo sport, permette a Tam Tam di giocare in deroga il campionato regionale di basket.

Il regolamento della Federazione prevedeva, infatti, che nei campionati giovanili non potessero giocare più di 2 stranieri per squadra. I ragazzi di Tam Tam, pur essendo tutti nati in Italia, sono considerati stranieri dalla Federazione Italiana Pallacanestro (FIP) perché figli di immigrati africani.

Questa prima conquista si trasforma in una norma legiferata al Parlamento, mutuata come “Norma salva Tam Tam Basket”. La norma stabilisce che tutti i minori stranieri residenti in Italia e regolarmente iscritti a scuola da almeno un anno devono godere nello sport degli stessi diritti dei loro coetanei italiani. Di questa legge possono beneficiare oggi più di 800.000 minori stranieri nati in Italia.

Luci su Rosarno

C’è poi l’impegno di Ibrahim Diabate (storia vincitrice del premio della giuria tecnica) per dare luce a chi vive nel buio nelle campagne di Rosarno. Dopo un passato di sfruttamento in agricoltura in Piemonte e Calabria, Ibrahim contribuisce alla nascita di SOS Rosarno. Con Francesco Piobbichi di Mediterranean Hope ha ideato il progetto “Luci su Rosarno”, per illuminare le strade della piana di Gioia Tauro ed evitare incidenti ai braccianti che si muovono in bici e – così – “fare luce” sui diritti dei lavoratori in agricoltura.

«Quello che stiamo provando a fare – spiega Ibrahim Diabate – è portare la luce. ‘Luci su Rosarno’ significa due cose: la luce vera, l’illuminazione. Le strade non sono illuminate. Ogni anno muoiono persone investite dalle macchine o perché lo fanno apposta, per razzismo, o perché non li vedono, perché molti non hanno i giubbotti catarifrangenti, non c’è visibilità. Questa è una delle problematiche che stiamo combattendo per illuminare tutte le strade di Rosarno. Poi abbiamo fatto una discussione sulla pandemia, siamo andati nei diversi ghetti dove i braccianti vivono senza servizi igienici e noi abbiamo portato la luce per potersi muovere all’interno dei casolari, poter cucinare o camminare nel buio dove vivono. Abbiamo illuminato sette ghetti, tra Rosarno e il famoso campo container.
Facciamo la distribuzione delle lucette da mettere sulle bici e dei famosi gilet catarifrangenti. Stiamo cercando di non fare scoppiare una rivolta ora. Meno di una settimana fa sono stati investiti altri braccianti. C’è rabbia, c’è stanchezza, per niente può scoppiare un casino, la situazione può diventare ingestibile se l’autorità non prende le sue responsabilità. E poi, facciamo luce sui diritti perché i ragazzi sono sfruttati. Vanno a lavorare dalle 5 di mattina fino alle 4 di sera, arrivano stanchi e quando arriva il momento della richiesta di disoccupazione si trovano nella busta paga 3 o 4 giorni di lavoro. Non hanno possibilità di chiedere la disoccupazione. Questo è il lavoro grigio».

La Pista

Nel foggiano, in Puglia, Agho Patience s’impegna affinché le voci dei migranti siano ascoltate. Partita dalla Nigeria per diventare avvocata, in Italia inizia un lungo calvario che dal nord la porta fino in in Sicilia. Lavora come badante di un signore anziano di una famiglia benestante, ma quello che dovrebbe essere un rapporto di lavoro si rivela una forma di schiavitù. «Mi hanno tenuta prigioniera per lunghi anni, vivevo nel loro garage e accudivo questo anziano signore di cui ho di rado visto il figlio. Le mie giornate erano scandite dai suoi bisogni, lui viveva la mia vita al posto mio, per 300 euro al mese. Al mio arrivo mi erano stati promessi 600 euro al mese, ma restituivo metà della mia mensilità al mio datore di lavoro. Non era la vita che sognavo, ma mi accontentavo».

Un giorno arriva una telefonata inaspettata da suo fratello che invitava Patience in Nigeria per partecipare al battesimo di suo nipote. Al suo rientro, Patience non trova nessuno ad accoglierla, la porta chiusa, il telefono staccato. «Ancora oggi nessuno mi risponde, nessuno mi ha restituito i miei effetti personali. Quel garage, dove sono stata per anni prigioniera, ancora oggi custodisce i resti della mia vita passata, il mio computer, i gioielli, le mie canzoni, i miei vestiti. Privata di tutto, senza lavoro, casa, documenti, sono dovuta ripartire: avevo sentito parlare di un posto in Puglia dove si lavora alla raccolta dei pomodori».

In Puglia, racconta la donna, la aspettava «la più brutale delle tappe che ho toccato in questa disperata ricerca della felicità»: la Pista di Borgo Mezzanone. «Abitazioni di fortuna in cartone, legno, lamiere si estendevano davanti ai miei occhi senza che riuscissi a vederne la fine. Biciclette, tante biciclette. Era un crocevia di gente di ogni nazionalità, alla disperata ricerca di qualcosa. C’è chi resta in pista per poco tempo, chi ci resta per sempre, io alla sola idea di trascorrere tutta la mia vita nel ghetto rabbrividivo. Sono una donna riservata e ho cercato di non mettermi nei guai, ma i guai mi hanno raggiunta lo stesso. Per dormire in pista, in una casa di cartone, pagavo 5 euro a notte. Durante la mia prima notte lì mi hanno rubato il cellulare, la piccola scatolina nera che custodiva tutti i miei affetti: la mia famiglia ha perso le mie tracce per due anni. Dopo poco mi è scaduto il permesso di soggiorno e sono diventata una clandestina, un fantasma senza identità».

Patience lavora nei campi, durante le raccolte stagionali e rischia di morire due volte: assiderata, durante la gelata del 2017, e successivamente a causa di un incendio, provocato da una candela a carbone utilizzata per scaldarsi. «È vivido nella mia memoria il ricordo delle fiamme che divampavano a un palmo dal mio volto, mentre dalla mia bocca non usciva neppure un rantolo». Grazie ad alcune associazioni lascia il ghetto. Ora è entrata a far parte dell’associazione Ufficio Migrantes come mediatrice per aiutare chi, come è successo a lei, si trova in difficoltà.

Non basta una vita per imparare

Dopo aver rischiato di essere rimpatriato in Ghana e aver lavorato sottopagato e senza contratto nei campi di Corleone, Batch Mballow fa il mediatore culturale per l’ARCI Porco Rosso di Palermo, in Sicilia. Va nei ghetti di Campobello e Cassibile per ascoltare le esigenze e le storie dei braccianti immigrati che lavorano in condizioni di sfruttamento e vivono in situazioni disumane.

«A tutti i ragazzi che incontro nei ghetti dico: non fermatevi, non stancatevi di apprendere, di imparare dalle situazioni, non basta questo mondo per imparare le cose». La paga è bassa, 20 euro al giorno per quasi 12 ore di lavoro, oppure si è pagati a cassetta (di olive o frutta), 1,50 – 2 euro a cassetta. Si viene pagati saltuariamente, possono passare anche 3 o 4 mesi senza essere pagati. «I ragazzi sono senza documenti e quindi i datori di lavoro non fanno loro il contratto. Un ragazzo a Corleone è stato anche 6 mesi senza essere pagato», racconta Batch. E poi ci sono le condizioni dei casolari. Non c’è luce, non c’è acqua. Chi non va a lavorare, percorre due chilometri a piedi per andare a prendere l’acqua che poi servirà per bere, per cucinare, per lavarsi. «Chi torna dal lavoro, acquista l’acqua da chi è andato a prenderla perché una volta tornati dal lavoro sono troppo stanchi per poter andare anche a prendere l’acqua».

«I ragazzi si fidano di me perché sono africano come loro – prosegue Batch -. Tanti mi chiedono informazioni, anche perché io ho già vissuto tutto sia per il lavoro che per l’accoglienza. Io voglio condividere la mia esperienza con chi non ha ancora fatto la strada che io ho già percorso. Spiego loro cosa fare per avere il permesso di soggiorno, per trovare un lavoro, per l’assistenza legale e sanitaria, come raccontare la propria storia per la richiesta di protezione internazionale».

Dal Mali a Brindisi

Infine c’è chi ha fatto della cucina uno strumento di intercultura. Fuggito dal Mali nel 2007, Drissa Doumbya per anni lavora nelle campagne di Foggia, Rosarno e Brindisi al soldo di caporali della Capitanata e della piana di Gioia Tauro. L’esperienza in agricoltura, fatta di sevizie fisiche e pesanti contraccolpi psicologici, si conclude con una nuova offerta di lavoro, arrivata mentre abitava ancora nei ghetti. Drissa viene assunto come lavapiatti in un ristorante, si innamora della cucina italiana e decide di studiare per diventare chef. Impara l’italiano e affina le sue abilità in cucina, iniziano così ad arrivare le prime esperienze di lavoro contrattualizzate che in poco tempo gli consentiranno di emanciparsi da una condizione di forte precarietà.

Non è facile dimenticare quanto subito, per questo decide di impegnarsi attivamente nella lotta contro lo sfruttamento dei migranti. Fonda a Brindisi, città d’adozione, una delle prime comunità africane di Puglia e poi l’Associazione Solidale Maliana. Drissa diviene un punto di riferimento per le comunità migranti del brindisino ed ha collaborato con numerose realtà del terzo settore pugliese, impegnandosi a sostegno dei braccianti sfruttati in agricoltura, delle donne vittime di tratta e promuovendo campagne per il benessere psicologico dei migranti e per il superamento dell’emergenza abitativa.

  1. Il Programma Su.Pr.Eme. Italia (Sud Protagonista nel superamento delle Emergenze in ambito di grave sfruttamento e di gravi marginalità degli stranieri regolarmente presenti nelle 5 regioni meno sviluppate) è finanziato nell’ambito dei fondi AMIF – Emergency Funds (AP2019) della Commissione Europea – DG Migration and Home Affairs. Il partenariato è guidato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – Direzione Generale Immigrazione (Lead partner) coadiuvato dalla Regione Puglia (Coordinating Partner) insieme alle Regioni Basilicata, Calabria, Campania e Sicilia e l’Ispettorato Nazionale del Lavoro, l‘Organizzazione Internazionale per le Migrazioni e Nova consorzio nazionale per l’innovazione sociale.