- Link all’articolo originale (ENG)
Sommario
A gennaio, il Border Violence Monitoring Network (BVMN) ha condiviso 29 testimonianze di respingimenti che hanno coinvolto 344 migranti attraverso i Balcani. Questo report riunisce resoconti di prima mano di una serie di paesi della regione, per esaminare il modo in cui gli Stati dell’Unione europea ed altri attori stanno influenzando la violenza sistemica nei confronti delle persone che attraversano le frontiere. Si approfondiscono le tendenze emergenti nei respingimenti e nella violenza alle frontiere contro le persone in movimento nel nord della Serbia, concentrandosi principalmente sugli sfratti e le rimozioni forzate nelle città di Srspki Krstur e Dala.
Alla fine di gennaio, l’eurodeputata Cornelia Ernst ha visitato Bihać, e ha parlato con i membri di BVMN attivi nell’area dei respingimenti dalla Croazia e dei respingimenti a catena dalla Slovenia attraverso la Croazia. Il team ha preso atto in particolare delle continue violenze impiegate durante i respingimenti, in particolare dopo l’attuazione del meccanismo indipendente di monitoraggio delle frontiere in Croazia. Nel cantone di Una Sana (BiH), il numero di migranti, e in particolare di quelli residenti nei campi, è diminuito in modo significativo.
Il report propone anche aggiornamenti sulla violenza contro i migranti in Romania. Anche se il numero di persone in movimento sembra diminuire, la Romania rimane una delle principali rotte dell’Europa centrale. Le sezioni riguardanti gli sviluppi in Grecia si concentrano sui cambiamenti nella gestione statale della migrazione, in particolare sull’aumento della sorveglianza come strategia di controllo delle frontiere. Dall’Italia, vengono condivisi aggiornamenti sulla situazione a Trieste e sulla detenzione ingiusta di una persona trasportata in aereo fuori da Kabul nel 2021 in seguito al ritiro delle forze americane in Afghanistan.
Un’ultima parte si concentra sulle deportazioni di massa di migranti in Turchia. Di fronte al crescente razzismo e agli attacchi sempre più violenti dei residenti locali contro i rifugiati, nonché alle crescenti tensioni tra le diverse comunità di rifugiati in Turchia, alla fine di gennaio le autorità hanno avviato una campagna di deportazioni su larga scala da Istanbul alla Siria.
BVMN è una rete di organizzazioni di controllo attive in Grecia e nei Balcani occidentali, tra cui No Name Kitchen, Rigardu, Are You Syrious, Mobile Info Team, Josoor, [re:]ports Sarajevo, InfoKolpa, Escuela con Alma, Centre for Peace Studies, Mare Liberum, Collective Aid e Fresh Response.

- Sommario
Network di segnalazione
Metodologia
Terminologia
Abbreviazioni
- Tendenze nella violenza alle frontiere
Sfratti e rimozioni forzate vicino Horgos
- Aggiornamenti sulla situazione
Croazia
Delegazione visita Bihać e Velika Kladuša
Bosnia ed Erzegovina
Aggiornamenti dal campo di Lipa e di Borici
Romania
Aggiornamenti da Timișoara
Grecia
Incendio nel campo di Kara Tepe
Visita della candidata presidenziale francese Valerie Pécresse e la protesta
Lettera dai residenti siriani del campo di Samos
Italia
Aggiornamenti da Trieste
Ingiusta detenzione di richiedenti asilo dopo l’evacuazione da Kabul
Turchia
Ritorni di massa forzati da Istanbul
- Glossario dei report, gennaio 2022
- Struttura e contatti del Network
Generale
Network di segnalazione
BVMN è un progetto collaborativo tra più organizzazioni e ONG che lavorano lungo la rotta dei Balcani occidentali e in Grecia, documentando le violenze ai confini contro i migranti. I membri delle organizzazioni utilizzano un database comune come piattaforma per raccogliere le testimonianze di respingimenti illegali ottenute attraverso interviste.
Terminologia
Il termine pushback è una componente chiave della situazione che si è venuta a creare lungo i confini dell’UE (Ungheria e Croazia) con la Serbia nel 2016, dopo la chiusura della rotta balcanica. Pushback descrive l’espulsione informale (senza giusto processo) di un individuo o di un gruppo verso un altro paese. È in contrasto con il termine “deportazione”, che è condotta all’interno di un quadro giuridico. I pushback sono diventati una parte importante, anche se non ufficiale, del regime migratorio dei paesi dell’UE e di altri paesi.
Metodologia
Il processo metodologico delle interviste sfrutta lo stretto contatto sociale che i nostri volontari sul campo hanno con rifugiati e migranti per monitorare i respingimenti ai confini. Quando gli individui tornano con lesioni significative o storie di abusi, uno dei volontari addetti alla segnalazione delle violenze si siede con loro per raccogliere una testimonianza. Anche se la raccolta di testimonianze in sé si rivolge di solito ad un gruppo non più grande di 5 persone, i racconti possono riguardare anche gruppi di 50 persone. Le interviste hanno una struttura standardizzata che unisce la raccolta di dati (date, geo-localizzazioni, descrizioni degli agenti di polizia, foto di lesioni / referti medici, ecc.) a testimonianze delle violenze.
Abbreviazioni
BiH – Bosnia ed Erzegovina; HR – Croazia; SRB – Serbia; SLO – Slovenia; ROM – Romania; HUN – Ungheria; ITA – Italia; MNK – Macedonia del nord; ALB – Albania; GRK – Grecia; TUR – Turchia; EU – Unione Europea
Tendenze nella violenza alle frontiere
Sfratti e rimozioni forzate vicino Horgos
A pochi chilometri a est di Horgos, uno dei principali punti caldi della Serbia in termini di flussi migratori, si trovano una serie di insediamenti informali utilizzati dai migranti. Negli ultimi mesi, questi spazi sono stati colpiti da una crescente violenza da parte delle autorità serbe.
Dopo la scomparsa del corridoio umanitario lungo la rotta balcanica nel 2015, molti gruppi di transito hanno utilizzato questo tratto di confine verde lungo il fiume Tisa come luogo di riposo e come punto di passaggio per entrare in Ungheria. Il villaggio di Srspki Krstur è abitato principalmente da comunità marocchine e siriane, e il numero di donne e bambini che dormono qui all’addiaccio è sempre stato estremamente alto. Negli ultimi tre mesi, Srspki Krstur, come altri insediamenti informali nel nord della Serbia, è stato oggetto di una crescente repressione da parte delle autorità. Come affermato in precedenti report mensili, operazioni su larga scala nel Nord sono state effettuate più volte questo inverno. Questi sfratti sono notoriamente inefficaci nel contrastare le reti di traffico, e piuttosto contribuiscono a rimodellarne le rotte o, su scala minore, a rimodellare la distribuzione degli individui in un determinato spazio.
L’organizzazione Collective Aid ha visto la presenza di famiglie a Srspski Krstur diminuire rapidamente a causa della crescente repressione. A pochi chilometri di distanza, il villaggio di Dala è diventato gradualmente una valida alternativa per le famiglie che cercavano di andare più a ovest. Donne e bambini, a volte molto piccoli, vivono da mesi in case abbandonate alla periferia del villaggio.
Le squadre mobili governative (presenti anche nell’area di Majdan) pattugliano regolarmente l’area, come parte della loro missione di monitoraggio delle frontiere. Il loro mandato include il passaggio di informazioni sui centri di accoglienza per richiedenti asilo in tutto il paese, e si ritiene che i dati raccolti siano utilizzati dalle forze di polizia per rimuovere con la forza le persone da Dala e da altri spazi abitativi.
Come testimoniato dai membri del nostro team sul campo, un numero elevato di persone tende a tornare nei luoghi da cui sono state sfrattate. Si innesca così un cerchio infinito di sfratti che non solo non è efficiente, ma soprattutto è violento, e mette in pericolo le comunità vulnerabili che hanno poche opzioni in fatto di alloggi.
Aggiornamenti sulla situazione
Croazia
Delegazione visita Bihać e Velika Kladuša
Domenica 24 gennaio, l’eurodeputata Ernst (Sinistra Unita Verde Nordica) e il suo team hanno visitato Bihać, BiH. La giornata è iniziata con discussioni aperte con i membri di varie organizzazioni attive a Bihać, tra cui No Name Kitchen e volontari locali. Si è discusso dei respingimenti dalla Croazia alla Bosnia ed Erzegovina, dei respingimenti a catena, della persistenza di pushback dopo l’inchiesta di Lighthouse Reports e dell’attuazione del meccanismo indipendente di monitoraggio delle frontiere. Il team ha preso particolare nota delle continue violenze impiegate durante i respingimenti.
Per tutto il resto della giornata l’eurodeputata ha incontrato i migranti a Bihać e dintorni. Una persona ha descritto la morte del suo amico Ijaz in Croazia, un argomento che l’eurodeputata ha poi sollevato con il ministro degli Interni croato. Durante ulteriori incontri, individui e famiglie vittime di respingimenti hanno raccontato le loro esperienze alle autorità croate.
A Velika Kladuša, i volontari di No Name Kitchen hanno incontrato la delegazione e hanno discusso del persistere dei respingimenti al confine croato, della mancanza di considerazione delle richieste di asilo e degli abusi che i migranti subiscono per mano della polizia, ovvero percosse e furto di oggetti personali come telefoni, denaro o documenti di identità. Si è parlato delle condizioni di vita dei migranti a Velika Kladuša e nell’area circostante e degli ostacoli causati dalla criminalizzazione del lavoro umanitario.

Bosnia ed Erzegovina
Aggiornamenti dal campo di Lipa e di Borici
Il numero di persone in movimento nel cantone di Una Sana in Bosnia sta diminuendo, specialmente quelle che vivono nei campi ufficiali.
Il nuovo campo di Lipa è stato inaugurato a novembre 2021 ed ha la capacità di ospitare 1.500 persone. Il Rappresentante Speciale del Segretario Generale per le Migrazioni e i Rifugiati, l’ambasciatore Drahoslav Štefánek, ha accolto con favore l’apertura del campo, affermando:
«L‘apertura del centro di accoglienza nel cantone di Una Sana dimostra oggi l’impegno delle autorità della Bosnia ed Erzegovina per migliorare le condizioni di accoglienza e il trattamento dei gruppi di migranti vulnerabili. Adeguate strutture di accoglienza sono uno degli aspetti chiave della gestione della migrazione basata sui diritti umani».
Il finanziamento per la costruzione del campo è stato in gran parte fornito dalla Commissione europea, che ha offerto 3,5 milioni di euro alla Bosnia per sostenere la ricostruzione del campo di Lipa dopo l’incendio di dicembre 2020. Questo finanziamento si è aggiunto ai 4,5 milioni di euro stanziati ad aprile 2020, portando l’assistenza umanitaria dell’UE per rifugiati e migranti in Bosnia ed Erzegovina a 13,8 milioni di euro dal 2018.
Tuttavia, i numeri forniti dall’OIM mostrano che il campo sta operando in modo insufficiente, con oltre il 50% dei posti letto non occupati. Ciò è confermato da volontari e migranti che riferiscono che solo circa 200 persone soggiornano attualmente al campo di Lipa e 50 a Borici. Questo riflette in generale il basso numero di migranti attualmente presenti nel cantone di Una Sana, ma è anche in parte dovuto al fatto che le persone preferiscono rimanere fuori dai campi ufficiali, anche in inverno, a causa delle condizioni precarie di questi ultimi. Il cibo in entrambi i campi è inadeguato e di scarsa qualità. Nel campo di Lipa, in particolare, le persone si preoccupano dei furti quando lasciano i loro beni incustoditi anche per brevi periodi e della trasmissione di malattie dai quartieri vicini. Al campo di Borici, che è un centro per donne, bambini e famiglie, è ancora in vigore un rigido coprifuoco e i residenti possono uscire solo tra le 8:00 e le 16:00. Pare che il coprifuoco sia stato messo in atto come precauzione contro il Covid19, anche se i vaccini sono già disponibili.
Romania
Aggiornamenti da Timișoara
Secondo i rapporti della polizia di frontiera rumena, i migranti arrivano in Romania principalmente via terra attraverso il confine sud-occidentale con la Serbia, attraverso il confine meridionale con la Bulgaria e il confine settentrionale con l’Ucraina. Nel 2020, le persone hanno anche cercato di entrare in Romania attraversando il Danubio con barche o a nuoto. Da quanto abbiamo valutato, la maggior parte delle persone che arrivano a Timișoara passano attraverso la Serbia, anche se i passaggi dalla Bulgaria sono recentemente aumentati. Circa l’80% dei migranti è a Timișoara, un crocevia per l’Ungheria. La maggior parte delle persone non intende chiedere asilo in Romania, e rimane a Timișoara per un tempo relativamente breve, (da poche settimane ad alcuni mesi) prima di riuscire ad arrivare in Ungheria. Coloro che vengono sorpresi con un permesso di soggiorno scaduto sono detenuti nel centro di detenzione di Arad.
Nel corso del 2020 e del 2021 Timisoara ha registrato un’escalation di transiti e presenze a causa delle restrizioni causate dalla pandemia, della situazione sempre più difficile al confine bosniaco-croato, delle condizioni fuori e dentro i campi in Bosnia ed Erzegovina, delle violenze sistematiche e delle catene di respingimenti da Slovenia e Croazia.
Secondo tutti gli attori attivi a Timisoara sulla situazione migratoria, il flusso sta ora diminuendo, ma la Romania rimane ancora una delle principali rotte verso l’Europa centrale. Questa diminuzione è dovuta sia ai respingimenti e alle violenze della polizia nei paesi precedenti l’arrivo in Romania, sia a un maggiore controllo, che rende più difficile entrare, e porta ad un aumento dei costi, anche per coloro che cercano di attraversare i confini nascondendosi in auto e camion.
Inoltre, questa diminuzione è legata al recente alto tasso di sgomberi di aree informali, dove i migranti potrebbero rimanere senza lasciare tracce della loro presenza, e alle terribili condizioni di vita dei campi governativi, dove le persone di solito rimangono per un tempo molto breve prima di attraversare l’Ungheria. Le zone di confine sono pattugliate dalla “gendarmeria“, forze speciali rumene, e da Frontex che addestra la polizia locale, implementa e rafforza i controlli. Fino alla primavera del 2021 ci sono stati casi di respingimenti e violenze da parte della polizia ungherese, ora sembra che ci sia meno pressione.
All’interno del paese tra le istituzioni statali e le organizzazioni caritatevoli locali che non hanno finanziamenti pubblici si registra una pace inquieta. Da un lato, la polizia non interferisce con il lavoro di strada delle ONG se queste operano in specifiche aree suburbane, dall’altro le ONG e i loro partner non fanno parte di reti internazionali e non si concentrano in modo politico sulla questione delle violazioni dei diritti, mantenendo essenzialmente un approccio umanitario. Sembra che ci sia un transito lento ma costantemente monitorato, tollerato dalle autorità a causa delle sue piccole dimensioni e gestito da una rete di trafficanti che non crea particolari conflitti sul territorio.
Grecia
Incendio nel campo di Kara Tepe
In due diverse occasioni, il 14 gennaio e una settimana dopo, il 28 gennaio, due grandi incendi hanno colpito la cosiddetta “Zona Gialla” nel campo di Mavrovouni (Lesbo), dove sono ospitati uomini non accompagnati.
Quest’area è composta da un totale di quattordici grandi strutture comunemente conosciute come Rubb Halls: tende alte 3 metri che si estendono su un reticolo di “stanze” senza tetto. La tenda e la struttura completa sono realizzate in telo e metallo, mentre lo stretto corridoio al centro e il reticolo di “stanze” quadrate di 4 metri su entrambi i lati sono di compensato.
In queste Rub Hall, in assenza di qualsiasi forma di privacy, vivono circa 40-50 persone, in letti a castello e senza la possibilità di chiudere le porte a chiave. All’interno di queste “stanze“, spesso vivono fino a quattro persone, il più delle volte senza accesso autonomo all’illuminazione, al riscaldamento o all’elettricità.
In occasione degli incendi, i Vigili del Fuoco sono intervenuti rapidamente evacuando le strutture colpite e le immediate vicinanze. In totale, circa 100 residenti sono rimasti fortunatamente illesi ma angosciati, e tutti i loro averi sono stati distrutti dalle fiamme.
Per quanto riguarda la causa degli incendi, le spiegazioni più probabili rimandano allo scarso o assente accesso al riscaldamento, con temperature stagionali costantemente vicine allo zero. Di fronte a tale situazione alcuni residenti potrebbero aver cercato di rimediare tramite collegamenti elettrici fatti a mano e non sicuri.
Visita della candidata presidenziale francese Valerie Pécresse e la protesta
Il 15 gennaio, la candidata presidenziale francese Valérie Pécresse ha visitato il nuovo Centro ad accesso controllato chiuso (C.C.A.C.) a Samos. Durante la sua visita, ha elogiato il campo di nuova costruzione definendolo “un modèle à développer“, un modello da sviluppare. Ha continuato dicendo che i container sono impeccabili e le recinzioni un «esempio per la politica di umanità e fermezza». La sua retorica concordava con la sua dichiarazione iniziale del giorno precedente durante la visita ad Atene.
Di fronte all’antica Acropoli, ha dichiarato che «non c’è Europa senza confini, e la questione dei confini è assolutamente fondamentale oggi per costruire il potere europeo». Ha sottolineato che il suo “modello europeo” è un’Europa con punti di accesso designati, che tutti coloro che tentano di entrare devono superare. Mentre tentava di allontanarsi da un’immagine di “fortezza Europa“, ha chiaramente approvato questa immagine con il suo “modello europeo“, l’esternalizzazione della gestione delle frontiere.
Oltre alle dichiarazioni abbastanza prevedibili, Pécresse ha interrogato insistentemente un residente del campo di fronte ai media internazionali sul suo viaggio in Europa. Sottolineando che il richiedente asilo congolese proveniva da un paese di origine che non confina col Mediterraneo, lo ha spinto a rivelare che è passato dalla Turchia, un paese ritenuto sicuro per molti rifugiati. Questa interazione non è stata solo sorprendente, ma anche fuori luogo, soprattutto perché il candidato non possiede il mandato per porre queste domande né la legittimità di pronunciarsi sulla loro validità.
La visita di Pécresse è stata accolta da una protesta organizzata dalla comunità somala. Molte persone provenienti dalla Somalia sono attualmente detenute arbitrariamente in quanto non sono in grado di presentare una carta di asilo valida per lasciare il campo. Il gruppo ha esposto striscioni come “Stop alla detenzione” e “Libertà, giustizia, uguaglianza per tutti“. Le loro dichiarazioni sono in netto contrasto con la politica dell’umanità approvata da Précresse.
Lettera dai residenti siriani del campo di Samos
I residenti siriani del Centro ad accesso controllato chiuso di Samos, aperto di recente, hanno scritto una lettera sottolineando che né la Turchia né il nuovo campo sono un luogo sicuro per i rifugiati siriani.
Lo scorso novembre, tre giovani siriani sono stati bruciati a morte in un attacco razzista “a sangue freddo” di un nazionalista turco. Questo incidente, che ha ricevuto poca copertura mediatica, prova ancora una volta che “la Turchia non è un paese sicuro per i siriani“, nonostante sia stato ritenuto tale dall’accordo UE-Turchia del 2016 e dalla decisione ministeriale congiunta del governo greco nel 2021. Nell’emettere questa decisione, la Grecia ha dichiarato che i siriani (tra le altre nazionalità) che erano passati attraverso la Turchia prima di chiedere asilo in Grecia potevano vedersi respingere la loro richiesta in Grecia perché avrebbero potuto ricevere protezione e sicurezza in Turchia. Inutile dire che questa argomentazione è insostenibile.
Visto che la Turchia non accetta il ritorno dei rifugiati nel suo territorio da marzo 2020, migliaia di siriani in Grecia si trovano bloccati in un limbo. Quelli di Samos sono ora costretti a vivere nel campo “prigione” finanziato dall’UE. Le testimonianze del rapporto “All I want is to be free and leave” (Tutto quello che voglio è essere libero e andare via) mostrano che le persone che vivono nel campo sono sottoposte a detenzione ingiustificata e indefinita, cibo immangiabile, mancanza di servizi di base, di diritti e libertà fondamentali. La lettera dei residenti siriani evidenzia la violenza, la discriminazione e la paura che i rifugiati siriani affrontano dalla Turchia alla Grecia.
Italia
Aggiornamenti da Trieste
A Trieste il numero di arrivi sembra essere diminuito nell’ultimo mese. A gennaio 2022, le associazioni che operano in Piazza Libertà, a Trieste, hanno incontrato e aiutato almeno 61 migranti di diverse nazionalità: provenienti da Afghanistan e Pakistan ma anche da Iraq, Siria, Iran e Kurdistan. La maggior parte dei migranti erano uomini soli, ma le associazioni hanno anche interagito con 8 minori e 2 famiglie con bambini. Si tratta di un piccolo numero di persone rispetto all’estate e all’autunno precedenti. La riduzione degli arrivi è probabilmente dovuta alle condizioni invernali, ma anche al fatto che in Bosnia ed Erzegovina ci sono attualmente meno migranti fuori e all’interno dei campi ufficiali e ci sono stretti controlli all’interno della regione di confine.
Ingiusta detenzione di richiedenti asilo dopo l’evacuazione da Kabul
Grazie al lavoro dell’ASGI (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione), è stata pubblicata la storia di un richiedente asilo detenuto presso il CPR di Gradisca d’Isonzo. A. è un cittadino afghano che è stato evacuato con un volo del Ministero dell’Interno italiano il 15 agosto, in seguito all’occupazione di Kabul da parte dei talebani. In seguito, ha raggiunto la Francia ed è stato deportato in Italia, dove è stato rinchiuso per 32 giorni nel centro di detenzione e deportazione di Gradisca. Come dichiara l’avvocato Caterina Bove nell’intervista: «A. è libero e ora continuerà con il suo percorso di asilo solo grazie a “eventi fortuiti”. Insomma, in circostanze diverse, A avrebbe potuto trascorrere molto più tempo ingiustamente detenuto. Questo caso è emblematico di questioni più ampie all’interno dei sistemi di detenzione e deportazione in Italia, e mostra quanto palesemente i diritti delle persone siano violati».
Turchia
Ritorni di massa forzati da Istanbul
Tra il crescente razzismo e gli attacchi sempre più violenti dei residenti locali contro i rifugiati, nonché le crescenti tensioni tra le diverse comunità di rifugiati in Turchia, alla fine di gennaio le autorità hanno avviato una nuova campagna su larga scala di deportazioni da Istanbul alla Siria. Dopo le prime notizie di alcune centinaia di rimpatri forzati verso l’area di confine, ora sembra che circa 800 persone siano state radunate in diversi distretti di Istanbul e che le maggiori operazioni siano in atto nel sobborgo di Esenyurt, punto importante per diverse comunità di rifugiati. Voci non confermate stanno circolando su un’operazione di rimpatrio forzato senza precedenti avvenuta il 12 febbraio. I siriani disperati nei centri di deportazione si sono rivolti ai social media per difendere i loro diritti. I rimpatri sono indiscriminati e coinvolgono anche persone con documenti di soggiorno validi e persone della comunità LGBTQI+.
In precedenti iniziative di questo tipo, le autorità avevano istituito posti di blocco in tutta la città e proceduto a detenere quei siriani che non avevano documenti validi o che avevano documenti che permettevano la residenza in province diverse da Istanbul. A causa delle tensioni sociali e delle questioni economiche, un numero considerevole di persone registrate in altre province risiede a Istanbul senza documenti validi poiché la città ha a lungo cercato di ridurre al minimo il numero di rifugiati che vi risiedono. Attualmente le domande di protezione internazionale sono completamente bloccate. Questa volta, tuttavia, le autorità sembrano radunare ed espellere con la forza anche le persone con documenti validi registrati a Istanbul. Vengono guidate attraverso il paese e portate in campi di deportazione lungo il confine, dove sono poi costrette a firmare documenti di espulsione volontaria. Inoltre, chiunque venga individuato dalle autorità turche dopo aver subito un respingimento dalla Grecia o dalla Bulgaria, secondo la legge turca, può essere espulso, anche a causa di un regolamento che classifica il tentativo di lasciare irregolarmente il paese come motivo di deportazione.
Glossario dei report. Gennaio 2022
A gennaio BVMN ha riportato 29 casi di pushback, che hanno coinvolto 344 migranti. Le persone coinvolte sono uomini, donne, bambini con tutori o minori non accompagnati, e provengono dal Marocco, Algeria, Iraq, Iran, Pakistan, Afghanistan, Cuba, Siria:
- 6 respingimenti dalla Serbia (1 dalla Romania, 3dall’Ungheria e 2 dalla Croazia)
- 15 respingimenti in Bosnia ed Erzegovina (1 dalla Slovenia e 14 dalla Croazia)
- 5 respingimenti verso la Turchia (2 dalla Grecia, 3 dalla Bulgaria, 1 dalla Bulgaria alla Turchia attraverso la Grecia)
- 2 respingimenti verso la Grecia dall’Italia


Struttura e contatti del Network
BVMN è un organismo volontario, che agisce come un’alleanza di organizzazioni nei Balcani occidentali e Grecia. BVMN si basa sugli sforzi dei partecipanti e di organizzazioni che operano nel campo della documentazione, dei media e della difesa legale. Finanziamo il lavoro attraverso sovvenzioni e fondazioni caritatevoli, e non riceviamo fondi da alcuna organizzazione politica. Le spese riguardano i trasporti per i volontari sul campo e quattro posizioni retribuite.
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