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Guerra, psicologi e poeti

di Natale Losi, antropologo e psicoterapeuta

Photo credit: Yamine Madani

Che cosa potrebbero fare psicologi e psicoterapeuti nelle guerre ed in questa specifica guerra che si sta combattendo in Ucraina? Pensando ad una risposta di senso e ripercorrendo le molte esperienze vissute, in passato in altri terreni bellici e soprattutto nella Ex-Jugoslavia come responsabile del dipartimento di salute mentale di un’organizzazione delle Nazioni Unite, ed ora come direttore di una scuola di specializzazione che forma psicoterapeuti, hanno iniziato, con insistenza, a ripetersi nella mia mente i versi di una canzone/poesia di Francesco De Gregori: San Lorenzo. Il brano riporta: “E un giorno, credi/Questa guerra finirà/Ritornerà la pace/E il burro abbonderà/E andremo a pranzo la domenica/Fuori porta/a Cinecittà/Oggi pietà l’è morta/Ma un bel giorno rinascerà/E poi qualcuno farà qualcosa/Magari si sposerà”.

Cosa voleva dirmi De Gregori, di utile per indirizzare le idee del mondo “psy” sulla guerra? Provo a dare un senso a questo suo insistente affacciarsi alla mia mente. De Gregori sposta il tempo. Da quello di un ricordo passato – quando piovevano le bombe a San Lorenzo – a un auspicabile futuro, quando, un giorno, questa guerra finirà e si potranno fare ancora, nel futuro, delle cose alle quali eravamo abituati, come andare la domenica fuori porta. Il poeta ci propone un tempo curvo, circolare, in cui le belle cose possono tornare, anche il burro abbonderà. E il poeta non si limita a parlarci di condizioni materiali, ma anche morali. Oggi pietà l’è morta, ma un bel giorno rinascerà. E poi qualcuno farà qualcosa, magari si sposerà. Il tempo del poeta è circolare, come il sole che ogni mattina rinasce. Si riferisce a una Memoria Sociale e Culturale, ben più ampia, estesa e profonda della Memoria Traumatica.

È solo a quest’ultima invece che si riferisce la visione del tempo implicita in molti commenti e previsioni sugli effetti psicologici, traumatici della guerra. Una visione lineare in cui si dà per scontato che chi – a causa della guerra – partecipa e subisce situazioni ed eventi traumatici, svilupperà probabilmente o addirittura necessariamente dei traumi psicologici. Non è un caso che ci siano già da tempo associazioni di psicologi di vario orientamento che offrono le loro presunte competenze per gli ucraini. Agenzie delle Nazioni Unite e organismi internazionali assumono psicologi e psicoterapeuti che parlino ucraino o russo, per curare i traumi di guerra. Capisco le loro logiche. I paesi donatori (Donors nel gergo UN) hanno i soldi adesso e subito e bisogna battere il ferro finché è caldo. Anche nei paesi dove i profughi stanno sfollando gli organismi del mondo psy cercano di muoversi sulla stessa linea.

Il Diagnostic and Statistical Manual (DSM) usato in tutti gli Stati Uniti e nei paesi occidentali, riporta che il disturbo post traumatico da stress, il cosiddetto PTSD, si riferisce ufficialmente all’esperienza di un evento che va oltre la gamma della normale esperienza umana. Prima dell’invenzione del PTSD, gli effetti dei traumi da guerra erano indicati come shock da granata. Si trattava però di un’esperienza umana osservata in battaglia ben da prima che esistessero le granate. Sembra allora perlomeno dubbio affermare, come all’interno del DSM, di una condizione primaria della guerra che va oltre la gamma dell’esperienza umana. Dato che da quando si è cominciata a registrare la storia, gli esseri umani sono sempre stati immersi nell’esperienza della guerra. E i traumi non emergono subito né in modo lineare da quell’esperienza.

Credo che quelli attuali non siano i tempi dei traumi, ma quelli della “Gloria”. Cerco di spiegarmi. Antonio Scurati, scrivendo della Grande Guerra, la I guerra mondiale, l’ha proposta come la prima guerra “ctonia, sotterranea, invisibile”. Prima la guerra era “luminosa”, in senso simbolico. Basti pensare all’Iliade, dove i combattimenti avvengono tra avversari Eroi, destinati per l’appunto alla gloria. Una guerra splendida, chiarificatrice e redentrice.

Ho scritto altrove1 che – in riferimento alle guerre balcaniche – avremmo dovuto spostare l’aureola luminosa della gloria, dalle figure dei combattenti, oscurati dalla potenza tecnologica delle armi usate, alle figure dei “soccorritori”, dei salvatori. Tra questi nuovi eroi/salvatori, allora come adesso, spiccano le figure di psicologi, psicoterapeuti, psichiatri guaritori di traumi. Insomma, il “mondo psy”.

Da questo punto di vista, il DSM mostra un’idea dell’esperienza umana inadatta al compito di immaginare la guerra. In particolare, le esperienze degli uomini e delle donne nelle guerre comportano una confusione di mondi, umano-non umano-sovrannaturale; un caos tra il mondo dei vivi e quello dei morti. La guerra, come altri grandi temi dell’esistenza, malattia, morte, follia, riceve significato dai miti o per dirla con Hillman, i miti sono la normazione dell’irragionevole. L’averlo riconosciuto è la più grande di tutte le conquiste della mente e della cultura greca. Nella tragedia greca, l’azione decisiva del mito si riverbera direttamente sulle vicende umane, all’interno della società, della famiglia, dell’individuo. Per questo l’immaginario greco assume un rilievo particolare per la comprensione della guerra. I racconti mitici non sono semplicemente storie degli dei, non parlano soltanto di loro ma anche di noi, non solo della loro mitologia ma anche della nostra psicologia.

Le guerre sono tutte uguali, ma anche tutte diverse. Dall’antichità, fino alla Grande Guerra, la guerra è luminosa, con quest’ultima diventa “ctonia”, con la guerra dell’ex-Jugoslavia la luminosità investiva nuovi eroi, i soccorritori e oggi, in riferimento all’Ucraina, almeno per il momento, quantomeno in Occidente, l’aureola della Gloria illumina Zelens’kyj, come comandante in capo di un popolo di eroi. Dobbiamo renderci però conto che in Russia, per molti, l’eroe è un altro. Questi due nuovi eroi, come tutti gli eroi, sono tali perché rinverdiscono i miti, riescono a dar spiegazione delle loro imprese per riprendere il contatto collettivo con il mito fondativo, per rimettere ordine nel caos.

Credo che prima di offrire – un po’ ingenuamente oltre che generosamente – i loro servizi, la maggior parte dei nostri psicologi si debba preparare a contestualizzare le conseguenze di questa specifica guerra in questo nuovo scenario. Uno scenario in cui ci sono specifici nuovi eroi, che reggeranno finché si combatte e che ben presto lasceranno lo spazio a narrazioni necessariamente non solo “luminose”, ma anche terrificanti e traumatiche.

I traumi non emergono subito e in modo lineare. I traumi non colpiscono solo i vinti, ma anche i vincitori e gli spettatori. Occorre preparare i nostri psicologi a intervenire quando il riverbero di questi nuovi eroi non sarà più in grado di dare una risposta alle sofferenze dei loro popoli. Nelle mie esperienze nei teatri di guerra ho verificato che gli esiti di quel che sperimentano le vittime del terrore, non è qualcosa di oggettivo e standardizzabile, ma è in funzione di quello che questi esempi significano per loro. La memoria sociale è una fonte importante per queste interpretazioni e attribuzioni perché provvede il contesto entro il quale gli eventi possono essere ordinati e significati. La memoria sociale porta uno o più punti di vista sulla storia e le identità di crisi passate, sui modelli di lotta, eroismo e saggezza applicate in quelle occasioni. Non è e non sarà necessario essere professionisti della salute mentale per offrire sostegno psicologico a chi lo richieda. Occorrerà invece che il “mondo psy” si allei con altri mondi per costruire memorie sociali e culturali che vadano oltre le attuali memorie, che congelano nella memoria traumatica le esperienze di vita e di guerra. Per questo ci sarà bisogno di un lungo sodalizio rispettoso e collaborativo con i giornalisti e con i poeti, come De Gregori mi ha insistentemente suggerito.

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Natale Losi è antropologo e psicoterapeuta, direttore della Scuola Etno-Sistemico-Narrativa di Roma.
Info: etnopsi.it

  1. N. Losi, Guarire la guerra, L’Harmattan, 2017; N. Losi, Critica del trauma, Quodlibet, 2020.