Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
/

La solidarietà criminalizzata: sei attiviste del progetto B.U.R.N. espulse dalla Bosnia

Il decreto di espulsione per "attività umanitaria illegale"


«Pochi giorni fa sei nostre attiviste di sono state fermate e accompagnate in caserma da parte della polizia bosniaca mentre erano intente a fornire trattamenti sanitari contro la scabbia alle persone in movimento bloccate alla frontiera tra Bosnia e Croazia. Dopo ore di duro interrogatorio, le autorità bosniache hanno notificato 6 decreti di espulsione dalla Bosnia per attività umanitaria illegale e tradimento della costituzione bosniaca».

E’ quanto denuncia YaBasta Bologna e Laboratorio Salute Popolare , presenti in Bosnia ed Erzegovina da inizio anno nelle zone vicine al confine con la Croazia con il progetto B.U.R.N. – Health On The Move promosso insieme a No Name Kitchen.

La polizia bosniaca non è nuova a pratiche intimidatorie ma probabilmente è la prima volta che viene colpita in questo modo la solidarietà indipendente. La decisione delle associazioni è quella di impugnare il decreto di espulsione per «smascherare l’ipocrisia delle politiche migratorie dell’Unione Europea, delle misure di contenimento, tutela e accoglienza delle persone che attraversano le sue geografie per sfuggire a guerra, miseria, schiavitù. L’intensificazione dei controlli delle zone informali di stanziamento delle persone respinte dall’Europa in Bosnia sta svelando il fallimento e l’incongruenza dell’immenso ammontare di risorse investite sulla sorveglianza dei confini e negli hub per migranti: Lipa è quasi del tutto vuota e militarizzata. Pur di non finire recluse, le persone in movimento, si adattano al meglio lungo la frontiera, sottoponendosi alle reiterate violenze dei respingimenti pur di farcela, mentre, dall’altra parte, le organizzazioni umanitarie subordinate all’IOM, distribuiscono quelle poche risorse che non sono state destinate all’equipaggiamento delle forze di sicurezza o alla costruzione di muri e torrette». 

Secondo le attiviste di B.U.R.N. questa strategia repressiva contro la solidarietà indipendente si inscrive in una quadro ben preciso.

«La primavera in frontiera – scrivono – scalda le rotte alle porte d’Europa, ed il pattern dell’apparato di sicurezza europeo si ripete: criminalizzazione, sgomberi degli accampamenti, confinamento nei campi governativi. In questo periodo in cui le pressioni sul confine non sono ancora alte, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM) ha iniziato a setacciare gli accampamenti informali in frontiera, per censire presumibilmente le presenze e favorire le deportazioni nei campi formali sul territorio, (il campo di Lipa in questa geografia) su cui l’unione Europea ha investito soldi e risorse.
L’IOM è un’agenzia delle Nazioni Unite responsabile della gestione dei flussi migratori sulla rotta balcanica, sostenuta finanziariamente dalla Commissione Europea. E’ la stessa responsabile della gestione del campo di Lipa; pur formalmente super partes, costituita a tutela delle persone in movimento, coopera attivamente con uno specifico corpo del Ministero di Sicurezza bosniaco: il Servizio per gli Affari degli Stranieri, a cui, per attinenza territoriale, ha demandato la gestione del campo di Lipa.

Alle visite negli squat e nella jungle, da parte delle organizzazioni riconosciute (Croce Rossa Bosniaca, Danish Refugees Council, SOS Bihac tra quelle più attive) supportate dall’IOM, segue sempre un controllo di polizia, ed è proprio in questo frangente che le nostre attiviste sono state fermate e sottoposte ad un duro interrogatorio in centrale da parte degli agenti dell’SFA (Service for Foreigners’ Affairs). Dopo l’interrogatorio è arrivato il decreto di espulsione, per attività umanitaria illegale e tradimento della costituzione bosniaca. A seguire, SFA e polizia hanno intensificato i controlli lungo la linea di frontiera, sgomberando gli squat più numerosi e deportando le persone al campo di Lipa contro la loro stessa volontà, mentre le nostre attiviste sono state sottoposte ad ulteriori controlli e intimidazioni».

Le associazioni proseguono nella denuncia spiegando che «il pretesto è sempre legale e securitario, normalizzando forme di “razzismo istituzionale”, come il divieto di offrire un passaggio a persone senza documenti, l’impossibilità per POM di prendere mezzi pubblici, il divieto e la stigmatizzazione di azioni di solidarietà da parte dei locali, in forma organizzata o meno». 

«L’ipocrisia dell’assetto securitario riscontrato qui sul confine croato-bosniaco svilisce il profuso impegno all’accoglienza delle donne e dei bambini in fuga dall’invasione Russa dell’Ucraina. La politica differenziale adottata in questo caso segna l’ennesima inadempienza delle istituzioni europee nella tutela del diritto internazionale e della protezione umanitaria. Se è su questo che oggi l’Europa sta definendo se stessa, sulle frontiere, sulla militarizzazione dei confini, la sorveglianza e l’attraversamento differenziale delle sue geografie, dobbiamo opporre un contraltare che disegni una nuova geografia, una nuova protezione internazionale, una nuova rotta».