Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
Foto tratta da interno.gov.it
//

Percorsi di non-accoglienza: i rimpatri verso la Tunisia

L'analisi del vissuto di 53 cittadini tunisini rimpatriati dall’Italia nella ricerca di ASF, ASGI e FTDES

Start

Lo studio di ASF, ASGI e FTDES sulla rotta migratoria Tunisia-Italia è dedicato a Wissem Ben Abdellatif, il 26enne tunisino morto legato a un letto di ospedale dopo un periodo di detenzione al CPR di Ponte Galeria.

Benché lo scoppio della guerra in Ucraina distolga il nostro sguardo da altri scenari, è importante tenere viva l’attenzione anche sulle ingiustizie e le morti causate dal regime delle frontiere attuale. Oltre agli orrori in Libia, dove i respingimenti collettivi e i campi di detenzione per migranti sono tenuti in piedi soprattutto dai finanziamenti italiani ed europei, nella vicina Tunisia le notizie di intercettazioni di imbarcazioni, ma anche i naufragi, a pochi chilometri dalle coste tunisine sono ormai quasi all’ordine del giorno.

La gestione sempre più repressiva del controllo dei confini da parte delle autorità tunisine è strettamente collegata al trattamento ricevuto in Italia: sono in aumento i rimpatri e le segnalazioni di trattamenti inumani e degradanti nei confronti di chi arriva dal paese.

Un nuovo studio congiunto di Avocats sans Frontières (ASF), Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI) e Forum Tunisino per i Diritti Economici e Sociali (FTDES) contribuisce a fare luce su questo fenomeno1. A partire dall’analisi del vissuto di 53 cittadini tunisini rimpatriati dall’Italia, la ricerca offre interessanti dati sui soggetti coinvolti, sul loro percorso migratorio e la permanenza sul territorio italiano, per poi inserire la particolare vicenda italo-tunisina nel più ampio contesto delle politiche di europee di gestione delle frontiere.

Troppo spesso ignorato o normalizzato nel discorso pubblico ufficiale italiano, il sistema di trattenimenti e rimpatri delle persone migranti di nazionalità tunisina è caratterizzato da numerose violazioni e da punti oscuri. Non è un caso infatti che i rimpatri verso la Tunisia negli ultimi anni superino di gran lunga quelli effettuati verso qualsiasi altro paese.

Come si legge nel report, sono 1.872 le persone rimpatriate nel 2021 in Tunisia dall’Italia. L’Egitto, al secondo posto, conta “solo” 231 rimpatri: per comprendere questo scarto notevole, bisogna ricordare che dal 2020 l’Italia ha accordato importanti finanziamenti allo stato tunisino proprio con lo scopo di prevenire le partenze. Com’è noto, questi soldi non vanno a favore di attività economiche o progetti di sviluppo locale, ma finanziano soprattutto la polizia di frontiera, in uno schema troppo simile a quello libico.

Eppure, come sottolinea lo studio, a partire generalmente sono proprio categorie di persone che vedono la migrazione come l’unica alternativa a una condizione socio-economica di disagio: giovani, in maggioranza uomini tra i 20 e i 30 anni, che vivono con le famiglie di origine e non riescono a rendersi autonomi. La metà dei partecipanti allo studio ha dichiarato di non avere alcuna fonte di reddito, mentre altri hanno un reddito comunque basso rispetto al costo della vita. Non è sorprendente quindi che più del 75% si sia indebitato per pagare la traversata. Le frustrazioni per condizioni di vita insostenibili sono accentuate dal fatto che molti hanno un livello di istruzione medio-alto: tra questi, la metà ha un diploma e l’11% ha un titolo universitario.

Emigrare, però, è sempre più difficile, soprattutto da quando è diventata prassi frequente il rimpatrio in tempi brevi delle persone con cittadinanza tunisina, provenienti da quello che l’Italia ritiene un paese sicuro. La maggior parte dei migranti tunisini passa quindi per uno o più luoghi di detenzione amministrativa, senza che gli venga garantito in molti casi il diritto a presentare richiesta di asilo.

Il report passa quindi ad analizzare quei dispositivi di controllo delle migrazioni ormai tristemente noti in Italia: hotspot, navi quarantena e CPR. Il transito per questi non-luoghi è ormai la prassi per chi spera di raggiungere l’Europa ma non ha i requisiti economici per ottenere un visto legalmente2. Maltrattamenti e condizioni degradanti (sporcizia, sovraffollamento, assenza di servizi legali e di traduzione adeguati) sono accertati come prassi, anche grazie al lavoro di chi denuncia e a pronunce giudiziarie di condanna verso l’Italia.

Lo studio conferma nuovamente ciò che attivisti e attiviste nel paese denunciano da tempo: i cittadini tunisini subiscono in molti casi delle discriminazioni per la loro provenienza, contrariamente alla Convenzione di Ginevra. Le navi quarantena, in particolare, hanno finora accolto soprattutto, ma non soltanto, persone tunisine. Istituite con il pretesto del controllo sanitario, le navi sono ormai diventate pratica ricorrente nel gestire gli arrivi dalla Tunisia: quasi tutti gli intervistati dello studio sono stati portati su una nave-hotspot al loro arrivo, permanendovi in media 15 giorni.

In molti casi i cittadini tunisini, se non si trovano in condizioni riconosciute come di particolare vulnerabilità – minori non accompagnati, donne incinte, persone che soffrono di malattie – vengono condotti in un CPR e rimpatriate: la presunzione di paese sicuro impedisce loro di accedere al sistema di protezione e asilo.

«La morte di Wissem Ben Abdellatif, a cui è dedicato lo studio, è solo la ‘punta dell’iceberg’ di una gestione delle migrazioni che si muove in una direzione sempre più securitaria», dichiara Martina Costa di ASF, che ha curato lo studio insieme a Dandoy Arnaud. «Le organizzazioni firmatarie condannano il ricorso a dispositivi di controllo e repressione delle migrazioni e sollecitano le autorità italiane a rispettare il diritto internazionale e gli standard dei diritti umani, mettendo in discussione l’esistenza stessa di questi dispositivi di controllo e detenzione, così come il sistema di gestione delle migrazioni nel suo complesso».

Ma appelli simili sono finora rimasti isolati e inascoltati. E mentre le nostre istituzioni presentano gli accordi – più o meno ufficiali – con la Tunisia in materia di migrazioni come un successo, nel paese è in atto un dibattito molto acceso e sfaccettato sul fenomeno. L’opinione che si fa sempre più strada – e che va di pari passo col malessere sociale crescente – è che la Tunisia non dovrebbe prestarsi a fare da “guardiacoste” dell’Europa e dell’Italia, e che dovrebbe perseguire invece gli interessi e i diritti dei propri cittadini.

  1. asf.be/wp-content/uploads/2022/03/Bruler-les-frontieres-Francais.pdf
  2. I requisiti richiesti dalle ambasciate italiane ai cittadini tunisini riguardano: le condizioni reddituali, che devono superare una certa soglia, abbastanza alta per il cittadino medio; la prova di possedere un alloggio e fonti di sostentamento durante il soggiorno in Italia; un’assicurazione medica (altro costo non indifferente per molti tunisini); i biglietti per i mezzi di trasporto di andata e ritorno.

Laura Morreale

Sono laureata in Mediazione linguistica e culturale all'Università per Stranieri di Siena e in Scienze delle lingue, storia e culture del Mediterraneo e dei Paesi Islamici presso l’Università degli studi di Napoli “L’Orientale”.
Mi interessa di mondo arabo-musulmano, migrazioni e contesti multiculturali.