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Cittadinanza italiana – Il ministero dell’Interno non si pronuncia colpevolmente o con enormi ritardi alle istanze

T.A.R. per il Lazio, ordinanza n. 2543 del 3 marzo 2022

Foto di archivio, di Associazione Naga

Nell’anno 2017 una cittadina presentava presso la Prefettura di Bari – UT.G. l’istanza volta ad ottenere la cittadinanza italiana ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. B della l. n. 91/92.
Nell’anno 2021, stante il perdurare dell’inerzia dell’amministrazione, inviava a mezzo PEC all‘indirizzo, atto di diffida sull’istanza di cittadinanza al Ministero dell’Interno ed alla Prefettura di Bari, ma anche questo atto rimaneva priva di riscontro. Poiché l’amministrazione non provvedeva a concedere la cittadinanza la ricorrente essendo decorsi oltre 4 anni dalla presentazione dell’istanza si rivolgeva al Tar Lazio – sede di Roma presentando ricorso avverso il silenzio – rifiuto serbato dal Ministero dell’Interno sull’istanza volta ad ottenere la cittadinanza italiana.
Orbene la legge 5.2.1992 n. 91, all’articolo 9, comma 1, prevede che “La cittadinanza italiana può essere concessa con decreto del Presidente della Repubblica, sentito il Consiglio di Stato, su proposta del Ministro dell’Interno” lett. B allo straniero maggiorenne adottato da cittadino italiano che risiede legalmente nel territorio della Repubblica da almeno cinque anni successivamente alla adozione.

Il D.P.R. 18 aprile 1994, n. 362 – di approvazione del regolamento per la disciplina dei procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana – all’articolo 3, espressamente prevede che “Per quanto previsto dagli articoli 2 e 4 della legge 7 agosto 1990, n. 241, il termine per la definizione dei procedimenti di cui al presente regolamento è di settecentotrenta giorni dalla data di presentazione della domanda”. A sua volta il D.M. 24.3.1995 n. 228 dispone che “La tabella A, allegata al D.M. 2 febbraio 1993, n. 284, del Ministro dell’interno di adozione del regolamento di attuazione degli articoli 2 e 4 della legge 7 agosto 1990, n. 241, riguardanti i termini di conclusione ed i responsabili dei procedimenti imputati alla competenza degli organi dell’Amministrazione centrale e periferica dell’interno, nella parte relativa ai procedimenti di competenza della divisione cittadinanza del servizio cittadinanza affari speciali e patrimoniali della Direzione generale per l’amministrazione generale e per gli affari del personale, è modificata nel senso che i termini finali per la definizione dei provvedimenti di conferimento e di concessione della cittadinanza italiana, di cui rispettivamente agli articoli 5 e 9della legge 5 febbraio 1992, n. 91, sono fissati in settecentotrenta giorni.”.

Il TAR Lazio – sede di Roma sezione quater, con sentenza emessa in data 3 luglio 2012 aveva già statuito che: “… il Ministero dell’Interno aveva l’obbligo di pronunciarsi entro il richiamato termine di settecentotrenta giorni dalla data di presentazione della domanda. Detto termine, nella fattispecie in esame, è inutilmente spirato in data 27.7.09, non essendo stata a tutt’oggi adottata nessuna pronuncia espressa da parte dell’amministrazione. Il ricorso va pertanto accolto con conseguente declaratoria dell’obbligo del Ministero dell’Interno intimato di pronunciarsi con un provvedimento espresso in ordine alla richiesta di cittadinanza italiana presentata dal ricorrente entro il termine di 90 giorni dalla comunicazione o notificazione della presente sentenza”.

Si evidenzia inoltre, che anche a voler considerare, operativa nel caso di specie, la normativa modificata con il D.L. n. 130 del 21 ottobre 2020, i termini di 36 mesi ovvero tre anni erano comunque decorsi.
Il Tar Lazio fissava l’udienza in camera di consiglio e l’amministrazione si costituiva con una memoria nella quale commetteva un lodevole sforzo per giustificare un’inerzia durata quasi 5 anni, al solo fine di non essere condannata alle spese di lite e depositava il decreto di conferimento della cittadinanza.
In effetti, dopo appena due mesi il decreto di conferimento veniva depositato in cancelleria con la dicitura stralcio del decreto che è stato mandato alla firma; questo comportamento della controparte dimostrava che non era difficile emettere il provvedimento in tempi ragionevoli e senza costringere la ricorrente ad avviare un procedimento amministrativo e per tale motivo si chiedeva in virtù del principio di soccombenza virtuale, la condanna del Ministero alla rifusione delle spese di lite in favore del difensore, secondo i parametri di cui al D.M. 55/2014 e s.s. ovvero in via forfettaria, nonché, al rimborso del contributo unificato di € 300,00 (cfr. versamento F24 Elide in atti) per un giudizio originato esclusivamente dal comportamento silente della controparte, la quale, ben poteva rispondere alla diffida comunicando che il decreto di riconoscimento della cittadinanza sarebbe stato emesso in tempi brevissimi, come di fatto è avvenuto solo dopo il giudizio al Tar.

Il giudizio si concludeva con la cessata materia del contendere perché la ricorrente aveva ottenuto il decreto di conferimento della cittadinanza però le spese sono state compensate.

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Si ringrazia l’avv. Uljana Gazidede per la segnalazione ed il commento.