Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Pink Refugees: «Perché un richiedente asilo deve attendere 2 mesi prima di poter lavorare?»

La denuncia dell'associazione: «Obbligati a lavorare in nero»

«Che senso ha che un richiedente asilo in possesso di un permesso bianco, “permesso di soggiorno provvisorio“ in attesa che la commissione decida se ammettere la sua richiesta reiterata di asilo non possa lavorare con regolare contratto per i primi due mesi da quando gli è stato rilasciato?»

E’ la domanda spontanea che Pink Refugees di Verona ha posto pubblicamente dopo che un richiedente asilo di loro conoscenza ha presentato istanza reiterata di asilo e non ha potuto vedersi rinnovato il contratto di lavoro, appunto perché questo tipo di permesso di soggiorno provvisorio prevede che per i primi due mesi non si possa lavorare con regolare contratto.

«E. – spiega Pink Refugees – si è visto sospendere il lavoro e ora dovrà attendere due mesi prima di poter essere riassunto. In questi due mesi è costretto a lavorare in nero (irregolarmente? nessun problema per E. lo ha già fatto e come lui tant* altr*), ma se davvero le istituzioni li vogliono tutti regolari perché questa assurda regola? Qual è il senso di questa piccola ma condizionante postilla?».

Questa domanda l’associazione veronese la vorrebbe porgere direttamente al Ministro dell’Interno, soprattutto, aggiungiamo noi, in un momento in cui le persone che arrivano dall’Ucraina possono lavorare immediatamente dopo aver formalizzato la richiesta di protezione temporanea, a differenza tra l’altro dei loro connazionali che hanno fatto richiesta di asilo.
Infatti, con la direttiva europea (2001/55/Ce), l’accesso al lavoro è uno dei diritti che si acquisiscono con la richiesta della protezione temporanea attivata per la prima volta dall’Unione europea il 4 marzo, proprio per far fronte all’arrivo degli sfollati dall’Ucraina. Gli stessi possono decidere di aprire anche una partita Iva per lavorare come autonomi. Un diritto che andrebbe allargato a tutti e tutte, senza ulteriore distinzione e discriminazione tra profughi di “serie a” e “serie b”.

«E. non è certamente l’unico che presenta richiesta di asilo reiterata, ne abbiamo altr* che hanno questo tipo di permesso. Che vorrebbero e potrebbero lavorare ma restano in un limbo perdendo occasioni, anche quella che la loro istanza abbia il valore aggiunto di un contratto di lavoro», prosegue Pink Refugees.
La stessa sorte, con tempi di attesa ancora più lunghi, tocca anche a tutte le persone che hanno fatto richiesta di protezione speciale direttamente in Questura e che si ritrovano tra le mani il tagliandino provvisorio: nella loro condizione è impossibile sottoscrivere un contratto di lavoro.

Un altro disagio segnalato è quello dei conti correnti. «M., un altro Pink in reiterata, ha quello stesso permesso da più di due mesi, ma non potrà lavorare in regola se non avrà un IBAN su cui versare lo stipendio. E istituti bancari e poste pongono mille paletti all’apertura di conti correnti o rilascio di prepagate in assenza di carta d’identità, a sua volta documento difficilissimo da ottenere per persone che vivono per strada o ospiti provvisorie di amici o padroni di casa che non ne vogliono sapere di regolarizzare la situazione».

Nonostante l’apertura di un conto corrente sia un diritto del richiedente asilo ribadito anche nella circolare dell’ABI del 2019 – la ricevuta attestante la presentazione di domanda di protezione internazionale “rilasciata contestualmente alla verbalizzazione della domanda ai sensi dell’art. 26, comma 2 bis del d.lgs. 25/2008, costituisce permesso di soggiorno provvisorio” -, nella prassi quotidiana sono ancora molte le persone discriminate.

«Sembra una corsa ad ostacoli destinata a non trovare mai una strada, un gatto che si morde la coda – conclude Pink Refugees Verona.
Si dichiara di volerli regolari ma si mettono mille paletti alla loro volontà di intraprendere un percorso, costringendoli all’irregolarità. E viene da chiedersi se non c’è una precisa volontà dietro tutto questo, quella di usare la burocrazia come uno strumento di schiavitù».