Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
Nello stadio di Tapachula (MX). Photo Credit: Daniela Gutierrez
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Un percorso di rifiuto e abbandono: l’esperienza delle persone migranti haitiane in America

La ricerca di un luogo sicuro è ostacolata da politiche migratorie restrittive e caotiche

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Attraverso le testimonianze di persone haitiane migrate in diversi Stati americani a fine 2021, Refugees International denuncia le violenze e l’incertezza a cui sono sottoposte quotidianamente 1. Le politiche migratorie attuate da Stati come il Messico, gli Stati Uniti e il Brasile hanno consolidato l’idea discriminatoria che le persone haitiane non siano degne di ricevere la protezione internazionale, di fatto respingendole nell’ombra.

Haiti da diversi anni riporta un tasso di emigrazione molto elevato e le cause sono molteplici. In un articolo pubblicato nel 2020, MIDEQ (Migration for development and Equality) sostiene che i cittadini haitiani siano portati a spostarsi a causa della disuguaglianza sociale ed economica e delle discriminazioni nei confronti di donne e delle minoranze religiose e LGBTQI+. Tuttavia, il terremoto del 2010 ha segnato una svolta decisiva in una tendenza migratoria già ben avviata. A seguito di quell’evento catastrofico la condizione di vita di gran parte della popolazione è peggiorata, costringendo di fatto sempre più persone a lasciare il paese.

La situazione politica ed economica precaria ha raggiunto il culmine il 7 luglio 2021 con l’uccisione del presidente di Haiti, Jovenel Moise. Diverse bande armate si sono aggiudicate il controllo di metà del paese e le violenze e gli omicidi sono aumentati. Secondo Miami Herald, non è chiaro quante persone siano state uccise dall’inizio degli scontri, polizia e governo non hanno rilasciato dichiarazioni a riguardo. I cittadini hanno definito gli episodi di violenza come “scioccanti” e “spaventosi” con sempre più zone di Haiti diventate “terre di nessuno”.

People live in daily fear that going to work or to school or getting some food at the store will be a lethal decision, they don’t even leave their houses for days.

La gente vive nella paura quotidiana che andare al lavoro, a scuola o a comprare del cibo al supermercato sia una decisione letale, non esce nemmeno di casa per giorni. (Brian Concannon, fondatore dell’Institute for Justice and Democracy ad Haiti, 18 Gennaio 2022, AlJazeera)

All’instabilità economica e politica si aggiunge anche l’insicurezza alimentare. Secondo The Integrated Food Security Phase Classification 4 milioni e mezzo di haitiani (il 45% delle popolazione) vivono una crisi alimentare acuta e necessitano di assistenza urgente. UN News scrive che a causa della guerra in Ucraina i prezzi alimentari sono ai massimi storici e la crisi economica ad Haiti, con un’inflazione crescente, ha ridotto di molto il potere d’acquisto delle famiglie, rendendo loro difficile l’accesso a beni di prima necessità come il cibo.

Haitiani in piedi intorno a un cartello per una marcia di protesta a Tapachula, in Messico. Photo credit: Daniela Gutierrez

L’esperienza migratoria

«Le persone che fuggono dalle violenze in atto ad Haiti viaggiano attraverso il Messico, Brasile e Cile affrontando discriminazioni quotidiane e vedendosi negato l’accesso ai servizi sociali», denuncia Refugees International. 

Il Brasile è sempre stato uno fra i primi Stati scelti dalle persone haitiane in movimento. Subito dopo il terremoto del 2010, il governo aveva garantito, a chi lo richiedesse, un permesso umanitario di cinque anni, che comprendeva l’accesso al mercato del lavoro, al sistema sanitario ed ai servizi sociali. Allo scadere dei cinque anni il permesso veniva rinnovato solo nel caso in cui la persona provasse di avere un lavoro ed un’abitazione permanente. Tuttavia, la crisi economica che ha colpito il Brasile a metà della scorsa decade, ha reso difficile soddisfare questi requisiti, soprattutto per le donne. La difficoltà nell’ottenere un permesso permanente e le discriminazioni che dovevano fronteggiare ha portato diversi cittadini haitiani a spostarsi nuovamente. 

Refugees International ha raccolto le testimonianze di persone migranti haitiane 2 che hanno lasciato il Brasile per il Messico o il Cile. In un’intervista una donna haitiana arrivata in Cile nel 2017 ha raccontato la difficoltà nell’ottenere un permesso di soggiorno anche in Cile. Le condizionalità da soddisfare sono diverse e spesso sono richiesti documenti forniti solo dalle istituzioni haitiane, che al momento sono difficili da reperire. 

La pandemia da Covid-19 ha poi colpito terribilmente a livello economico e di sicurezza i cittadini haitiani in Brasile ed in Cile. Diverse persone hanno raccontato a Refugees International che le conseguenze della pandemia hanno fatto perdere loro il lavoro, con poche prospettive di trovare un nuovo impiego. La mancanza di un’occupazione rende quasi impossibile affittare un appartamento o rinnovare il permesso di soggiorno. 

Le interviste hanno rivelato anche la condizione di insicurezza percepita dai cittadini Haitiani in Cile e Brasile. Un uomo ha raccontato di essere stato picchiato e rapito da un gruppo armato a Port au Prince e alcuni anni dopo ha lasciato anche Rio de Janeiro dopo che il suo vicino è stato ucciso in una sparatoria appena fuori dalla sua abitazione. 

In molti hanno così deciso di spostarsi verso altri Stati americani, come il Messico e di richiedere lì la protezione internazionale.

Un biglietto che le autorità messicane per l’immigrazione hanno dato agli haitiani nel programma di trasferimento. Photo Credit: Daniela Gutierrez

L’accoglienza in Messico

Negli ultimi anni il numero di richieste di asilo in Messico è cresciuto esponenzialmente, mentre la Commissione messicana per l’aiuto ai rifugiati (Comisión Mexicana de Ayuda a Refugiados/COMAR) non ha ricevuto fondi adeguati per gestire le domande. I dati COMAR rivelano che le persone haitiane che hanno richiesto la protezione in Messico nel 2021 sono 47.494, il 38% delle richieste totali nel paese. Mentre le interviste con i responsabili coinvolti nei processi di attivazione delle richieste di asilo indicano che solo il 27% delle domande sono state approvate.

(Statistiche pubblicate sul sito del Governo del Messico, 1 Dicembre 2021)

Le poche approvazioni delle richieste di asilo dei cittadini haitiani in Messico sono da attribuire all’attuazione della Dichiarazione di Cartagena, che regola l’accesso preferenziale e facilitato alla protezione. Tale regolamento rende più efficiente il processo di richiesta di asilo per i cittadini di Stati che affrontano violenza diffusa, conflitti interni e violazioni dei diritti umani. Tuttavia, la COMAR non ha inserito Haiti fra questi Stati, nonostante sia chiara la grave crisi politica ed economica del paese, il quale sta affrontando episodi di violenza interna molto seri. 

Inoltre, le interviste di Refugees International aggiungono che la COMAR non garantisce la presenza di interpreti ed i funzionari non conoscono la situazione ad Haiti. In molti si sono trovati a sostenere colloqui umilianti, in cui gli agenti COMAR non avevano buone competenze linguistiche e non erano preparati a svolgere al meglio il loro lavoro. 

COMAR denials of asylum were “badly written” and “used outdated country of origin information.” […] COMAR also did not transcribe eligibility interviews accurately and fully.

I dinieghi di asilo del COMAR erano “scritti male” e “utilizzavano informazioni obsolete sul Paese di origine”. […] Inoltre, il COMAR non ha trascritto i colloqui di idoneità in modo accurato e completo.(Intervista ad un funzionario che fornisce supporto legale alle persone richiedenti asilo haitiane, report di Refugees International, pagina 9, 1 Aprile 2022)

Le persone richiedenti asilo in Messico, secondo le regole della COMAR, devono rimanere nello stato in cui hanno fatto la richiesta fin quando non avranno la risposta. Di conseguenza, i migranti Haitiani sono intrappolati a Tapachula, nel sud del Messico, per mesi. L’incremento nel 2021 delle domande di asilo ha provocato lunghe file di attesa fuori dalla sede della COMAR; ogni giorno in media 2.000 persone provano a registrarsi. 

Nell’attesa di registrare la propria richiesta agli uffici di Tapachula, Refugees International evidenzia che le persone haitiane hanno condotto per mesi una vita precaria nelle strade intorno alla sede dell’Agenzia, mentre venivano etichettate come “violente”, “aggressive” ed “invasori” dai cittadini e dalle autorità locali. 

Looked at us [Haitians] like trash
Guardavano noi [Haitiani] come fossimo immondizia (un uomo haitiano richiedente asilo che ha vissuto per 8 mesi a Tapachula, report di Refugees International, pagina 10, 1 Aprile 2022)

Nel report di RI si denunciano anche diversi casi di violenza da parte della polizia e dell’Istituto Nazionale per le Migrazioni (INM) nei confronti delle persone migranti che provano a fuggire da Tapachula. Ci sono testimonianze anche di famiglie separate dall’autorità o di casi di violenza su donne e bambini. A seguito delle violenze continue e dell’immobilità del sistema di accoglienza, i cittadini haitiani richiedenti asilo hanno iniziato una protesta fra agosto e settembre 2021.

Lo stadio di Tapachula, dove migliaia di haitiani hanno atteso, nel dicembre 2021. Photo Credit: Daniela Gutierrez

Nuove politiche migratorie in Messico

A seguito delle proteste, il governo messicano ha promosso nuove politiche. Lo stadio Olimpico di Tapachula dal 28 settembre 2021 è diventato la sede del COMAR dove richiedere l’asilo, tuttavia il numero di domande era talmente elevato che le associazione umanitarie non potevano garantire un supporto e un alloggio temporaneo a tutte le persone. 

Appena un mese dopo lo stadio è stato trasformato in un centro di trasferimento per coloro che volessero avviare il processo di migrazione in un altro stato, permettendo così alle persone migranti di uscire da Tapachula. Tuttavia, il piano di trasferimento non è stato comunicato in modo chiaro e molte persone migranti hanno abbandonato gli alloggi temporanei che avevano per riversarsi allo stadio in attesa di un bus. A dicembre 2021, durante la visita di Refugees International, nello stadio c’erano circa 3.000 persone che vivevano in condizioni estremamente precarie, costretti sotto il sole, senza un’adeguata assistenza sanitaria. 

Alcune ONG attive sul posto hanno dichiarato che il piano mirava semplicemente a disperdere le persone migranti haitiane. In meno di due mesi 37.471 persone sono partite dallo stadio, tra le quali circa 30000 haitiane, e sono state disseminate nel territorio messicano. A chi partiva non erano fornite informazioni su dove stesse andando. Una volta scesi dal bus, la decisione da prendere era se rimanere in Messico o provare a raggiungere gli Stati Uniti. Ma ancora il viaggio era pieno di ostacoli.

L’accoglienza negli Stati Uniti

Per le persone migranti che hanno provato ad attraversare il confine tra Stati Uniti e Messico tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022 le difficoltà sono state molteplici. In primo luogo, The Intercept ha denunciato che, nonostante le autorità di frontiera statunitensi fossero state avvertite dell’avvicinamento al confine di diversi cittadini Haitiani, a settembre 2021 l’amministrazione Biden ha intrappolato più di 15.000 persone a Del Rio, piccola città di confine. L’accampamento non consentiva alle persone un accesso adeguato al cibo ed alle cure mediche e le violenze razziste erano all’ordine del giorno. 

It was humiliating. It felt like at home how you would throw food for chickens on the floor. That’s how they treated us. It felt like they did enough so we wouldn’t die but no more than that.

È stato umiliante. Sembrava di essere a casa, quando si gettava per terra il cibo per i polli. Ecco come ci trattavano. Sembrava che facessero il necessario per non farci morire, ma non di più. (Testimonianza di un uomo haitiano detenuto a Del Rio, report di RFK Human Rights, pagina 27, 2022)

Successivamente, in un’ottica di deterrenza, l’amministrazione statunitense ha attuato l’espulsione verso Haiti di persone detenute a Del Rio, senza verificare le loro richieste di asilo. La norma che ha reso possibili le espulsioni è il “Titolo 42”, implementato nel 2020 dall’amministrazione Trump, che permette ai funzionari statali di espellere dal paese coloro che sono entrati illegalmente “nell’interesse della salute pubblica”. Secondo i dati analizzati da Refugees International sono 77 i voli partiti dal confine statunitense verso Haiti nei primi mesi dell’anno, portando all’espulsione di 4.500 persone. 

Fra la paura di essere rispediti ad Haiti e l’impossibilità di accedere alla procedura di asilo negli Stati Uniti, migliaia di persone migranti haitiane rimangono nell’ombra, disperse nelle città settentrionali del Messico. Le difficoltà riscontrate nello stanziarsi in altri Stati del continente si sono dimostrate invalicabili e per molti il Messico rimane l’ultima spiaggia. Tuttavia, le autorità del paese non hanno voluto organizzare un piano di inserimento ed accoglienza delle persone migranti che ne hanno fatto domanda. L’attuazione di caotiche politiche migratorie non ha fornito nessuna protezione e tutela a chi ne faceva domanda. 

  1. «Pushed into the Shadows: Mexico’s Reception of Haitian Migrants», di Yael Schacher e Rachel Schmidtke (aprile 2022)
  2. Questo rapporto si basa su interviste a 25 uomini e donne haitiani tra dicembre 2021 e marzo 2022. Refugees International ha condotto le prime interviste di persona con gli haitiani a Tapachula, in Messico, nel dicembre 2021, e ha poi seguito con interviste telefoniche gli stessi haitiani e altri tra gennaio e marzo 2022. A quel punto, gli intervistati si erano trasferiti nel Messico settentrionale o avevano attraversato il confine con gli Stati Uniti ed erano stati espulsi ad Haiti dal Dipartimento di Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti (DHS). Refugees International ha inoltre condotto 15 interviste, sia di persona che telefoniche, con rappresentanti di organizzazioni no-profit e centri di accoglienza che lavorano con gli haitiani in Messico (Tapachula, Città del Messico, Ciudad Juárez, Matamoros, Tijuana) e negli Stati Uniti (Del Rio, San Antonio, San Diego), e con le organizzazioni delle Nazioni Unite, tra cui l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) e l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), nonché con i funzionari messicani della Commissione per l’Assistenza ai Rifugiati e dell’Istituto Nazionale per le Migrazioni.

Francesca Olivi

Dopo la laurea triennale in Studi Internazionali a Trento, ora frequento un corso di laurea magistrale in International Relations a Bologna, con un focus su criminologia e giustizia. In passato ho seguito una formazione per il volontariato presso il Centro Astalli di Trento per il progetto suXr. Dal febbraio 2022 svolgo il tirocinio curriculare presso l'Associazione Melting Pot.