Tra il 1 e il 5 giugno Nicola e Francesco dell’associazione Linea D’Ombra di Trieste sono stati a Bihac e Velika Kladusa per portare supporto alle realtà presenti in loco, fare rete e monitorare la situazione rispetto alle ultime indiscrezioni sulle situazioni delle persone in movimento nel cantone nord-occidentale della Bosnia. Tra distribuzioni, spese, sgomberi, visite a diversi squat e al campo ufficiale di Lipa, questo il loro diario di viaggio giorno per giorno.
02/06/2022 – Bihac
La giornata inizia con una visita ufficiale al nuovo campo di Lipa. È la prima volta che Linea d’Ombra riesce ad accedere all’interno di questo campo. All’arrivo ci accoglie il camp manager, un poliziotto burbero che ci proibisce di filmare o fotografare, biasimando anche il nostro abbigliamento non consono alla formalità militare con cui è gestito il campo.
Un giovane del Service for Foreigners’ Affairs ci guida verso la sala comune in cui le associazioni IPSIA e Zene Sa Une animano con giochi, tè e altre attività la vita monotona del campo. Chiacchieriamo con ragazzi indiani, bengalesi, congolesi e iraniani riguardo la vita dentro Lipa e la situazione dei pushback, che continuano ad avvenire con regolare violenza. Le condizioni di vita sono migliori rispetto ai precedenti campi, ma resta la distanza da Bihac, l’isolamento, le guardie, le recinzioni. La nostra guida dice che è previsto un servizio navetta, però solo dalla città verso il campo e non in senso opposto. Interrogato, racconta che continuano gli interventi della polizia in collaborazione con IOM per prelevare le persone e portarle nel campo.
Lipa può contenere fino a 1.500 persone, ma al momento vengono serviti poco più di 300 pasti al giorno. Questo non-luogo è un susseguirsi interminabile di baracche bianche di lamiera arroventata dal sole, ognuna con tre letti a castello e organizzate in zone distinte per provenienza dei migranti, ad accesso ristretto. A parte stanno il blocco dei bagni, gli uffici delle organizzazioni e le aree comuni. Stordiscono il candore accecante delle baracche e il caldo insopportabile, moltiplicato dall’asfalto e dalla totale mancanza di alberi, in contrasto con la verde vallata circostante.

C’è una moschea, ottenuta in seguito a pesanti proteste durate più di quattro mesi e ricavata da un grosso tendone in plastica, al cui interno si raggiungono temperature da sauna. L’ambiente più vivibile è la grande mensa, con tavoloni da sagra circondati da transenne, usate tempo prima per dividere gli uomini soli dalle famiglie, ora non più presenti nel campo. Il locale è l’unico climatizzato tutto il giorno, però vi si può accedere solo negli orari dei pasti. Le finestre e le porte sono aperte, il luogo deserto. Poco distante dalla mensa si trova, sotto una tettoia, la zona in cui gli ospiti del campo possono cucinare in autonomia accendendo fuochi in cilindri di cemento. Un gruppo di ragazzi del Punjab ci offre una paratha fumante: “garam garam!”.
Chiediamo di parlare con il gruppo di cubani che sappiamo essere ospiti del campo. Ci accolgono calorosamente, ma rimangono avviliti e arrabbiati quando, dopo aver parlato con noi, scoprono la cruda realtà dei respingimenti foraggiati dall’Unione Europea. Ci meraviglia il fatto che siano inconsapevoli. Sono arrivati volando a Mosca e poi da lì verso la Serbia. Rimaniamo a chiacchierare e scherzare con loro fino a quando la guida si accorge che abbiamo sforato di un’ora il tempo concesso. Mentre usciamo il Camp Manager la richiama nel suo ufficio: riceverà una ramanzina.



Torniamo a Bihac, dove al Cardak incontriamo per caso Niccolò, un ragazzo italiano che lavora con Kompas 071. Ci informiamo sui numeri delle persone che vivono fuori dal campo nella zona di Bihac, pare siano circa trecento. Ci accordiamo per incontrarci l’indomani: faremo insieme una spesa per il loro centro diurno, per No Name Kitchen e per Frach.
Raggiungiamo il magazzino di NNK, che aiuteremo nella distribuzione di cibo e vestiti. La destinazione è di nuovo il campo di Lipa, questa volta in veste di attivisti e quindi non graditi alle autorità. Carichiamo la macchina di sacchetti colmi di cibo e vestiti e insieme a Iris raggiungiamo una zona nascosta poco distante dal campo. Le distribuzioni filano lisce, ma alcuni ragazzi arrivano in ritardo per cui diamo loro appuntamento per l’indomani.
Di rientro a Bihac passiamo a visitare la nuova sede di U Pokretu, associazione di promozione sociale e culturale gestita da un gruppo misto di volontari. Per la serata è in programma la proiezione di un film. Assistiamo ad una riunione il cui focus è come rendere più partecipi i giovani e le giovani di Bihac e come coinvolgerli nella questione migratoria.
Terminiamo la giornata con un’ultima distribuzione assieme alla Kitchen, in uno degli squat più grandi rimasti in città chiamato “Elegant Place”. Assieme a Chris portiamo in un vecchio furgone targato Vicenza acqua, legna e provviste alla comunità di Pashtun che abita l’edificio – dovevano essere una quarantina ma molti sono partiti oggi per il game, ne troviamo cinque. Stiamo per sederci a bere un tè dopo aver scaricato le provviste quando due poliziotti fanno capolino silenziosamente da dietro un muro. Sono stati avvisati dai presunti proprietari del fabbricato, che hanno visto il furgone entrare nella proprietà. Ci fingiamo turisti in viaggio entrati in contatto per caso con questi ragazzi, e li aiutiamo a portare lo stretto indispensabile fuori dallo squat, mediando nel frattempo con i poliziotti. Siamo dispiaciuti per aver causato lo sgombero, ma i ragazzi ci rispondono sereni: non è la prima volta che accade, fingeranno di allontanarsi e rientreranno subito. I poliziotti ne sono al corrente, hanno già ripetuto questa scena diverse volte. Uscendo con lo zaino in spalla i ragazzi ridevano in faccia agli agenti, e noi ci siamo chiesti quanto in fondo debba essere frustrante ostentare un’autorità che nei fatti non esiste.
Rientriamo in città e riconsegnamo il van a NNK, incontrando per caso il loro vicino di casa, Josip, arzillo ottantaquattrenne sopravvissuto a quattro ictus che ci invita a bere la sua Rakija. Parla solo Bosniaco, capiamo che è cattolico e sposato ad una donna musulmana. Malgrado le barriere linguistiche andiamo d’accordo alla grande.

03/06/2022 – Bihac
Il secondo giorno a Bihac è movimentato quasi quanto il primo. Iniziamo la mattina acquistando telefoni da distribuire ad alcuni ragazzi bloccati nel campo di Lipa, tra gli altri ad un ragazzo del Bangladesh che si è rotto la gamba sinistra durante l’ultimo respingimento subìto e due ragazzi cubani che mai si sarebbero aspettati la dose di violenza subita, il furto dei telefoni, le umiliazioni. Con questi ultimi ci soffermiamo nuovamente a parlare del sistema di controllo dei confini, delle possibilità di successo nel game, del sistema dei trafficanti e di come sia legato anche alla polizia. Sono privi delle informazioni basilari, isolati con la loro piccola comunità di una decina di persone in una zona periferica del campo di Lipa, con barriere linguistiche e culturali invalicabili rispetto alla maggioranza degli abitanti del campo, provenienti da Asia e Africa. Lo stesso gruppo è eterogeneo al suo interno: come sempre c’è chi ha possibilità economiche e chi ha perso tutto il poco che aveva dopo il primo pushback, subito due settimane fa in Croazia. Alla vista dei telefoni e delle powerbank ci abbracciano increduli. Jorge stringe in mano il Dueno del Camino, un amuleto che porta con sé fin da Cuba, un volto scolpito in un sasso che protegge i viaggiatori. I ragazzi parlano delle loro vite, e di come la situazione economica e la disparità sociale nella loro madrepatria siano diventate insostenibili.
Nel pomeriggio ci diamo appuntamento con Irene di No Name Kitchen, Niccolò di Kompas 071 e Blanka, un’attivista indipendente della Repubblica Ceca, che in solitaria con la sua monovolume rossa e sgangherata supporta tutte le realtà presenti sul campo facendo da connettore. Dobbiamo fare acquisti ingenti per sostenere le distribuzioni di ciascuna realtà. Da Irene veniamo a sapere che i ragazzi pashtun incontrati il giorno prima sono stati sgomberati la mattina presto dalla polizia, questa volta in maniera definitiva. Senza perdersi troppo d’animo hanno già trovato una nuova sistemazione nel campo di una signora che li ha accolti addirittura con gioia. La prima tappa per la spesa è da Hari, negozio di vestiti e attrezzature. Acquistiamo tende, zaini, scarpe, mutande, calzini, pantaloni e powerbank che dividiamo secondo le necessità tra i nostri tre amici. La seconda tappa al Robot copre gli articoli alimentari: olio e biscotti, frutta secca, acqua e dolci. Blanka prevede di portare queste cose a Kljuc, paesino a metà strada tra Sarajevo e Bihac, dove la polizia bosniaca, dopo una identificazione sommaria su base razziale, blocca le persone migranti sui bus di linea chiedendo i documenti e forzandole a scendere in mezzo al nulla. Qui la Croce Rossa ha montato un piccolo avamposto che pare però sprovvisto di diversi beni di prima necessità, primo fra tutti l’acqua in bottiglia. Dopo aver scaricato gli acquisti nei magazzini delle rispettive associazioni, andiamo a visitare il centro diurno di Kompas 071. L’edificio si trova fuori dalla città sulla strada che porta verso Sturlic e Velika Kladusa, la posizione è strategica anche se decentrata, infatti qui si incontra sia chi è diretto verso il confine in partenza per il game, sia chi è stato respinto da poco. Niccolò e Yannick ci mostrano l’edificio. Al piano terra c’è una sala di ritrovo con una zona ristoro, un magazzino e una stanza con vestiti da cui i migranti possono attingere; al piano superiore quattro stanze con docce sono a disposizione di chi vuole lavarsi. Il centro ha aperto a febbraio di quest’anno e nei giorni più impegnativi è riuscito ad aiutare fino a sessanta persone, anche se nell’ultimo periodo il numero di passaggi si è ridotto. Le energie dei volontari in questi giorni sono impiegate nella realizzazione di una palestra di arrampicata che sarà gestita insieme a U Pokretu e un’associazione sportiva locale, alla quale dovrebbero accedere anche minori non accompagnati.
Terminiamo la giornata incontrando Silvia, coordinatrice di IPSIA presente sul luogo da molti anni e punto di riferimento per comprendere l’evoluzione della situazione. Ci conferma il numero di persone dentro Lipa, tre-quattrocento. Ci racconta di più sulla situazione del campo, che paragonato a quelli precedenti nella zona (Bira, Miral, Vucjak, vecchio Lipa) ha condizioni igienico-sanitarie migliori – anche grazie al fatto che su una capienza nominale di 1500 persone gli ospiti attuali sono meno di un quarto. Concordiamo con lei che, nell’assurdità della situazione interna a Lipa, la presenza della sala comune dove si svolgono attività sociali e delle cucine autogestite volute da IPSIA e Caritas renda la vita degli ospiti un poco meno alienante. Resta il dubbio sulla sensatezza di una struttura costata tre milioni e mezzo, una quantità di soldi – senza contare i costi operativi – che si sarebbe potuta spendere nell’ottica di un’accoglienza diffusa, a misura d’uomo, virtuosa per la crescita dell’economia locale.


04/06/2022 Velika Kladusa
Partiamo presto la mattina da Bihac per arrivare alla riunione congiunta delle varie realtà che operano a Velika Kladuša: No Name Kitchen, Blindspots, Medical Volunteer International. Oltre a queste associazioni, nel coordinamento c’è anche Rahma, che però non riesce a partecipare alla riunione. Dopo un giro di presentazioni chiediamo un resoconto della situazione a Kladuša. La stragrande maggioranza delle persone che stavano qui sono riuscite a partire e ora ne rimangono circa 150, per lo più uomini, residuo della chiusura del Miral Camp. Secondo voci informali tutti i campi in Bosnia verranno chiusi, ad eccezione di Lipa, questo per il basso numero di persone presenti in Bosnia e la necessità di dare senso alla spesa ingente servita per costruirlo: 3,5 milioni di Euro. In seguito la discussione si sposta su un evento spiacevole avvenuto a Bihać qualche giorno prima. Un’attivista ha ospitato per due giorni nel suo appartamento in affitto una migrante ucraina, anch’essa attivista e presente in Bosnia già da un paio d’anni. La polizia è entrata nell’appartamento e ha sgomberato la migrante, dando una multa di 600 marchi (circa 300 euro) all’attivista che la ospitava. La discussione infine si è spostata su cosa avremmo potuto acquistare per soddisfare le necessità delle varie associazioni e sul coordinamento pratico delle azioni sul campo. Abbiamo notato con piacere come queste riunioni, oltre alla divisione dei compiti tra le varie realtà, rendano il lavoro migliore ed efficace. NNK si occupa soprattutto di zaini, scarpe e vestiti, Blindspots di elettronica, acqua e legna, MVI di medicina e Rahma di cibo e vestiti.
In seguito alla riunione partecipiamo a una rapida distribuzione di acqua in una casa dove vivono 5 afghani. A parte la mancanza di utenze e i rifiuti accumulati all’ingresso, l’alloggio è in buone condizioni, e ci sediamo per fare quattro chiacchiere e condividere un bicchiere di cola offerto dai ragazzi. Accompagnati da Nia di Blindspots iniziamo le spese dal negozio di elettronica, in cui riusciamo ad acquistare sim internazionali, fondamentali per la buona riuscita del game. Altra cosa importante è lo stanziamento di un fondo per la riparazione dei telefoni, necessaria per tutti gli smartphone danneggiati dalla polizia croata. Successivamente compriamo zaini, scarpe e mutande da suddividere tra NNK e Rahma, oltre al paracetamolo e all’ibuprofene destinati a MVI. È la prima volta che li incontriamo, per cui ci facciamo raccontare di più sulla loro attività. L’associazione, nata nel 2016 in Germania per portare cure mediche a migranti in Grecia, si è espansa negli ultimi anni fino a riuscire a portare volontari e volontarie in Serbia, Ucraina e, per l’appunto, Bosnia. Qui a Kladuša ci sono Martin e Hana, medico in pensione e infermiera tedeschi, e Greg, paramedico statunitense. Svolgono principalmente attività di supporto medico per i migranti che stanno nelle jungle e negli squat, accompagnandoli quando necessario all’ospedale.



Dopo l’incontro ci spostiamo al magazzino di Rahma, poco fuori dal paese, dove ci accoglie Alma. Rahma, che in arabo significa compassione o gentilezza, è un’associazione locale che fornisce beni alimentari e vestiti. Insieme ad Alma c’è Ben, un fotografo inglese che ci mostra le sue foto scattate nel corso degli ultimi due anni a Velika Kladuša e dintorni che raccontano molto bene la vita dei migranti negli squat. Concludiamo la giornata con una cena alla Factory, uno degli edifici abbandonati più grandi della zona, in cui stanno più di una ventina di uomini e donne, per lo più punjabi, indiani e nepalesi. A invitarci è Barbara, un’amica di Bergamo anche lei nel cantone Una-Sana per portare aiuti. Andiamo insieme a Giulia, volontaria di NNK. I ragazzi e le ragazze dello squat hanno preparato un’abbondante stufato di pollo, speziato alla maniera Punjabi, accompagnato con roti caldo e un dolce di panna e frutta. La regina della serata è una gattina di qualche settimana che i ragazzi hanno trovato negli arbusti. Decidiamo di chiamarla Chimni, versione rotta della parola chimney usata da migranti e attivisti per riferirsi alla ciminiera che sovrasta la fabbrica abbandonata e che è uno dei nomi in codice dello squat. Nella gioiosa serata ci dimentichiamo per un po’ delle ingiustizie che queste persone sono costrette a soffrire, condividendo un momento di socialità e di normalità.
La rakija e le chitarre accorciano lo spazio tra notte e giorno, e l’indomani non resta che incontrare Zehida, donna musulmana, attivista imperterrita che in passato ha subito pesanti minacce e ricevuto importanti riconoscimenti. Ci rassicura di stare bene e ci aggiorna sulle sue attività: aiuta qualche famiglia e donne sole presenti nella zona, ma da un po’ si concentra per lo più sulle scuole e sui disagi economici e sociali dei bambini bosniaci, lavorando di concerto con le scuole e alcune maestre che mettono a disposizione i loro pomeriggi. Si tratta di un’occasione importante anche per portare nelle scuole la questione migratoria. Facciamo una spesa anche per lei, per lo più prodotti per l’igiene e alimentari. Ci salutiamo e ci dirigiamo verso il negozio di Dario, dove si sta tenendo una grigliata. Troviamo diverse persone amiche conosciute negli ultimi giorni, venute anche da Bihać. Altri sono andati a nuotare nel parco naturale del fiume Una.
Ci salutiamo, è stata una visita troppo veloce, ci promettiamo di prendere più tempo la prossima volta e invitiamo tutti a in Piazza Libertà a Trieste.
