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Status di rifugiata alla donna nigeriana vittima della brutale violenza della tratta

Tribunale di Bari, decreto dell'8 giugno 2022

Il Tribunale di Bari ha riconosciuto lo Status di Rifugiato ad una cittadina nigeriana, vittima di tratta; invero la donna innanzi la Commissione Territoriale di Foggia raccontò una storia diversa da quella che narrava al difensore, che dunque impugnava il diniego enunciando il narrato che la donna non riusciva a proferire alla Commissione.

Il Tribunale di Bari pertanto, convocava in audizione la richiedente, giudicandola credibile; il narrato è intriso di una violenza brutale e dettagliata: la ricorrente ha rappresentato di essere finita “nelle maglie di una Madam”, con la quale aveva contratto un debito di 200.000 naira, solo in minima parte restituito, e di essere “stata portata a Sabratha in Libia, chiusa in una connection house, per 5 mesi, ove si prostituiva (…).

Durante quel periodo fu tenuta a lungo a digiuno, le venivano somministrate due volte al giorno “medicine per abortire” e veniva picchiata ogniqualvolta si rifiutava di avere rapporti sessuali con i clienti, narrava di essere stata bloccata da tre uomini della connection house mentre il cliente la violentava e di venire anche legata con cavi elettrici.

Quando finì di pagare la somma, fu portata in Europa. Arrivò in Sicilia e poi  trasferita a Foggia, in un centro di accoglienza. Lì fu contattata telefonicamente dalla Madam la quale le ordinò di uscire dal centro e riprendere a prostituirsi“.

Agli intervistatori, in sede di audizione, non aveva narrato questa storia per paura della Madam, che aveva minacciato di ucciderla qualora avesse raccontato tali vicende a qualcuno.

Secondo il Tribunale è plausibile che ella nutrisse fondato e concreto timore per la propria vita qualora la Madam avesse scoperto che non aveva rispettato i patti e non aveva mantenuto il riserbo sulla sua attività, a fortiori se si considerano sia le minacce ricevute e le violenze subite in Libia sia, infine, la forza, la capillare e pervasiva diffusione nonché la violenza dei metodi delle organizzazioni criminali che gestiscono la tratta di esseri umani e costringono le donne nigeriane alla prostituzione (considerato altresì che assai di sovente le vittime di tratta non denunciano le violenze subite per timore di ritorsioni – cfr. Cass. n. 29603/2019); – parimenti verosimile è la parte della narrazione afferente alle somme da corrispondere per poter arrivare in Europa, al fatto che ella si sia dovuta prostituire per poterne pagare la prima tranche ed al viaggio affrontato.

Emerge inequivocabilmente l’effettiva costrizione della ricorrente all’esercizio della prostituzione, dopo essere stata raggirata e portata via dalla Nigeria con l’inganno – i suoi aguzzini la hanno a ciò costretta facendo sistematicamente uso di metodi e strumenti di coercizione e tortura e, in generale, di brutale e disumana violenza. Non deve omettersi di considerare, la natura “strutturale” della violenza subita dalla richiedente, per tale dovendosi intendere qualsiasi violenza diretta contro una donna in quanto tale, e che la ha colpita quando versava in una condizione di estrema vulnerabilità, stante la privazione di libertà e la totale soggezione ai membri dell’organizzazione criminale“.

La donna ha assolto all’onere probatorio sulla stessa gravante, avendo dimostrato (non solo in via indiziaria ma a mezzo di dichiarazioni, come detto, puntuali, lineari, intrinsecamente ed estrinsecamente coerenti) la credibilità dei fatti allegati (cfr. Cass. n. 30969/2019; n. 10/2021), concludendo che la richiedente è stata vittima di tratta, ragion per cui rientra nella nozione di rifugiata, siccome attinta dal fondato timore di essere perseguitata per la sua “appartenenza ad un particolare gruppo sociale”, ben individuabile in quello di genere (femminile),oggetto di discriminazioni concretizzantisi in soprusi, molestie, violenze (anche sessuali) in danno, appunto, delle donne.

La richiedente – in caso di rimpatrio – rimarrebbe esposta al pericolo di grave danno a causa del rischio elevatissimo di vendetta violenta da parte dei membri dell’organizzazione criminale della quale è rimasta vittima e dalla quale è stata sfruttata, con conseguente (evidente) compromissione dei suoi diritti umani fondamentali.

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Si ringrazia l’Avv. Mariagrazia Stigliano per la segnalazione e il commento.


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