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Le orme verdi di Irún

La città basca al confine francese è stata la prima tappa della Caravana Abriendo Fronteras (Pirenei-Alpi 2022)

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«Le prime orme le abbiamo tracciate di notte. Siamo andate avanti a lavorare sino all’alba. Ogni tre passi, un’orma, stando attenti a marcare bene le deviazioni. Abbiamo scelto un colore verde fosforescente così che si veda bene anche al buio». Così racconta Maite Santamaria, attivista di Irungo Harrera Sarea, traducibile dalla lingua basca come “rete di accoglienza di Irún”.

Una città di frontiera di lunga tradizione, la basca Irún, che sorge a ridosso del confine francese che sorge a ridosso del confine francese, città da dove è partita la Carovana Abriendo Fronteras.

A soli sette chilometri di distanza, proiettato sull’oceano Atlantico, si trova il porto di Pasaia, uno dei più importanti di tutta la penisola Iberica. Più a sud, sorge l’aeroporto internazionale di San Sebastian, il più grande del Paese Basco. Anche lo scalo ferroviario della città è uno degli snodi merci principali che collegano la Spagna con la Francia e il nord Europa.

Ad Irún la frontiera è tangibile. Potremmo scrivere che i suoi cittadini ce l’hanno dentro casa. Il confine con la Francia corre sulla acque del fiume Bidasoa che la divide da Hendaye, la sua consorella che sorge in territorio francese. In pratica, è la stessa città con due nomi diversi. Tanto a sud quanto a nord del Bidasoa la gente è sempre la stessa, parla la medesima lingua e si identifica nella cultura basca. Nella parte spagnola, gli abitanti di Irún vanno a comprare le sigarette che costano meno. La benzina invece la vanno a fare in Francia, dove è meno cara. Quando manifestano contro la frontiera, cantano tutti insieme una versione in lingua basca della canzone di Eros Sciorilli, “La riva bianca, la riva nera”, che in Italia è diventata famosa cantata da Iva Zanicchi.

Photo credit: Caravana Abriendo Fronteras (il fiume Bidasoa)

I migranti, ad Irún, sono arrivati all’improvviso, nell’estate del 2018, in fuga dalla ripresa dei conflitti nel Sahel e nei Paesi sahariani. I più arrivavano in treno da Madrid o da altre città di Spagna, imbarcati con un biglietto di sola andata dalla stessa Croce Rossa. “Non sapevano nemmeno dove erano capitati – racconta Maite – Si guardavano attorno spauriti, non sapevano perché non potevano proseguire per il nord Europa. Nessun o gli aveva spiegato che c’era un confine tra la Spagna e la Francia e che le guardie di frontiera non li avrebbe lasciati continuare il loro cammino. Le autorità comunali di Irún non avevano predisposto nessuna accoglienza. Respinti ai controlli effettuati sui ponti che attraversano il fiume, non avevano altra scelta che aspettare la notte per gettarsi in acqua e raggiungere la Francia. Almeno ventuno di loro sono morti affogati”.

Ad aprire per primo la porta dell’accoglienza è stato il gaztetxe (centro sociale, in basco) Lakaxita. Ma con l’arrivo dell’inverno e l’aumento del numero di migranti, gli spazi del gaztetxe non bastavano più. Le attiviste e gli attivisti di Irún allora hanno messo in pedi una efficiente rete divisa in quattro gruppi di lavoro. Il primo, Gautxori, si occupa di accogliere i migranti che scendono nel piazzale della ferrovia e dei bus. “Ci sono degli orari abbastanza precisi per gli arrivi – continua Maite -. Noi andiamo ad accoglierli, spieghiamo loro dove sono capitati e li accompagniamo alla Croce Rossa, che sta dall’altra parte della Città, dove possono trovare da mangiare e da dormire, sia pure solo per poche notti. Le orme verdi le abbiamo dipinte per dare una indicazione a quelli che arrivano quando noi non ci siamo e collegano la stazione con la sede della Croce Rossa”. Poi c’è il gruppo Ropero, che si incarica di fornire vestiti e cibo ai migranti, il gruppo Acogida che fornisce informazioni e mezzi a coloro che hanno passato la notte dalla Croce Rossa e ora intendono proseguire l viaggio. La strada tra la sede della Croce Rossa e l’Acogida è segnata da un’altra serie di impronte ma di colore bianco. Il quarto gruppo Laguntza Ayuda, si occupa invece delle persone vulnerabili come malati, bambini, donne in attesa.

C’è una vergognosa ipocrisia di fondo alla base di un sistema di accoglienza così indegno – commenta Maite -. Questi migranti provenienti dal nord Africa non vogliono fermarsi in Spagna. Il Governo e la stessa Croce Rossa lo sanno bene, e così non si fanno scrupolo di spedirli con tanto di biglietto del treno alla frontiera, ben sapendo che non hanno i documenti in regola per poterla attraversare! La ‘soluzione’ che hanno adottato è quella di far finta di non vedere. Poi, se la gente affoga nel tentativo di guadare il fiume, tutto quello che hanno fatto è piazzare qualche cartello sulla riva con la scritta ‘Attraversare il fiume a nuoto è pericoloso’ scritto, per di più, in una lingua che ben pochi migranti conoscono”.

Riccardo Bottazzo

Sono un giornalista professionista.
La mia formazione scientifica mi ha portato a occuparmi di ambiente e, da qui, a questioni sociali che alle devastazioni dei territori sono intrinsecamente legate. Ho pubblicato una decina di libri tra i quali “Le isole dei sogni impossibili”, edito da Il Frangente, sulle micronazioni dei mari, e “Disarmati”, edito da Altreconomia, che racconta le vice de dei Paesi che hanno rinunciato alle forze armate. Attualmente collaboro a varie testate cartacee e online come Il Manifesto, Global Project, FrontiereNews e altro.
Per Melting Pot curo la  rubrica Voci dal Sud.